Avviene per lo più, che i mali prodotti dalle contese dell'ambizione si restringano a' tempi e a' luoghi ove insorsero le contese medesime; ma la discordia religiosa degli amici e nemici d'Alì, riaccesa in tutti i secoli dell'Egira, nutre pur oggi l'odio perenne de' Turchi e de' Persiani189. Questi ultimi avviliti col nome di shiiti, o settari, hanno aggiunto al simbolo Musulmano l'articolo seguente di fede: che se Maometto è l'appostolo di Dio, il suo compagno Alì n'è il Vicario. Nel commercio abituale della vita, e nel culto pubblico, scagliano imprecazioni contro i tre usurpatori la cui esaltazion successiva lo ha per sì lungo tempo, ad onta de' suoi dritti, rimosso dalla dignità d'Imano e di Califfo; e nell'idioma loro il nome d'Omar esprime il colmo della scelleraggine e dell'empietà190. I Sonniti, la dottrina dei quali è accettata generalmente e si fonda sulla tradizione ortodossa de' Musulmani, seguono una opinione più imparziale, o per lo meno più decente. Rispettano la memoria d'Abubeker, d'Omar, d'Othmano e d'Alì, tutti santi e successori legittimi del Profeta; ma credendo che il grado di santità abbia determinato l'ordine di successione191, danno l'ultimo luogo allo sposo di Fatima. Quello storico, che con una mano ritrosa a' monumenti della superstizione bilancerà il merito de' quattro Califfi, pronuncierà sentenza che i lor costumi furono egualmente puri ed esemplari, che ardente ne fu lo zelo, e giusta tutte le apparenze sincero, e che in mezzo all'opulenza e potenza loro consacrarono la vita alla pratica dei doveri della morale e della religione; ma le virtù pubbliche d'Abubeker e d'Omar, ma la sapienza del primo, e la severità del secondo mantennero in pace e nella prosperità lo Stato. Per debolezza di naturale e per la vecchiaia Othmano fu inetto a dilatare l'Impero colle conquiste, o a reggere il peso del governo. Egli delegava ad altrui l'autorità, ed era ingannato; ammetteva altri alla sua confidenza, ed era tradito. I più saggi tra i fedeli gli furono inutili, o si cangiarono in nemici, e le sue prodigalità gli suscitarono ingrati e malcontenti. Per le province si sparse il mal seme della discordia: s'adunarono i deputati di quelle a Medina, e co' Charegiti, disperati fanatici, i quali recalcitravano alla subordinazione e alla ragione, si confusero gli Arabi, che, nati liberi, chiedeano riforma degli abusi di cui dolevansi, e punizione degli oppressori. Cufa, Bassora, l'Egitto e le tribù del deserto armarono i lor guerrieri, vennero ad accamparsi ad una lega circa da Medina, e imperiosamente al sovrano intimarono di fare ad essi giustizia, o di scendere dal trono. Di già il suo pentimento disarmava e disperdeva i rivoltosi; ma l'artificio de' suoi nemici li accese di nuovo furore, e per una falsità, a cui si lasciò indurre un perfido secretario, perdette Othmano la riputazione, e più presta ne fu la caduta. Non aveva più il Califfo la stima e la fiducia de' Musulmani, unico presidio de' suoi antecessori: un assedio di sei settimane lo ridusse a mancar d'acqua e di viveri, nè le deboli porte del suo palagio ebbero altra difesa che gli scrupoli di pochi ribelli più timorati che gli altri. Abbandonato da coloro che aveano abusato della sua bontà, al venerando Califfo, rimasto senza difensori, non restò che attendere la morte: si presentò condottiero degli assassini il fratello d'Ayesha: fu trovato Othmano che teneva il Corano sul petto, e fu da mille colpi trafitto. Dopo cinque giorni d'anarchia, cessò il tumulto colla inaugurazione d'Alì; il rifiutar la corona sarebbe stato cagione d'una strage generale. In questa critica situazione, mantenne egli la fierezza che s'addiceva al Capo degli Hashemiti, e dichiarò che preferito avrebbe il servire al regnare; gridò contro la presunzione de' soldati esteri, e volle l'assenso se non volontario, almeno espresso de' Capi della nazione. Non fu mai accusato d'essere stato complice dell'assassinio di Omar, quantunque si celebri in Persia senza riguardo la festa dell'uccisore di quel Califfo. S'era dapprima interposto Alì ad accomodare la lite fra Othmano e i suoi sudditi, ed Hassan, il primogenito de' suoi figli, mentre difendeva il Califfo, fu insultato e ferito. Rimane dubbio peraltro se Alì sia rimasto ben saldo e fosse sincero nell'opporsi a' ribelli, ed è poi certo che si giovò del loro delitto. Un'esca simile potea ben sedurre e corrompere la più specchiata virtù. Non solo su la sterile Arabia si stendeva lo scettro de' successori di Maometto, ma i Saraceni erano stati vincitori in oriente e in occidente, e le doviziose contrade della Persia, della Siria, dell'Egitto erano il patrimonio del comandante de' fedeli.
A. D. 655-660
Una vita passata in orazione e in contemplazione non avea raffreddato l'ardor guerriero ed operoso di Alì: giunto all'età matura, con una lunga esperienza del Mondo, lasciava vedere nel suo contegno una temerità e imprudenza giovanile. Ne' primi giorni della sua amministrazione non pensò ad assicurarsi con benefici, o con catene, della mal certa fedeltà di Telha e di Zobeir, due Capi arabi i più poderosi. Si ricoverarono essi alla Mecca, indi a Bassora, inalberarono il vessillo della ribellione, e s'insignorirono della provincia d'Irak e dell'Assiria, che invano domandate aveano per guiderdone de' servigi prestati: la maschera del patriottismo giova a coprire le più manifeste contraddizioni; e i nemici d'Othmano, che forse ne furono gli assassini, chiesero allora che fosse vendicata la sua morte. Furono nella fuga accompagnati da Ayesha, la vedova di Maometto, che sino all'ultimo istante di vita serbò implacabil odio al marito e alla posterità di Fatima. I più ragionevoli tra i Musulmani si scandolezzarono al vedere, che la madre de' fedeli cimentasse e persona e dignità in un campo, ma la moltitudine superstiziosa credè che dalla sua presenza fosse consacrata la giustizia, e accertato il trionfo dalla causa da lei abbracciata. Il Califfo seguìto da ventimila de' suoi fidi Arabi, e da novemila prodi ausiliari di Cufa, diede battaglia sotto le mura di Bassora a' ribelli superiori di numero, e riportò la vittoria. Telha e Zobeir, Capi dell'esercito nemico, caddero in quel conflitto, il primo ove l'armi de' Musulmani si tinsero del sangue de' concittadini. Ayesha, dopo aver corse le file per incoraggiare i soldati, s'era posta in mezzo al pericolo. Settanta uomini, che teneano le redini del suo cammello, furono uccisi o feriti, e la seggiola o lettiga in cui era chiusa si trovò, finita l'azione, tutta traforata e carica di chiaverine e di dardi. Sostenne la augusta prigioniera con volto intrepido i rimbrotti del vincitore, il quale, con quei riguardi e quell'affezione che doveva sempre alla vedova dell'appostolo, la rimandò subito al luogo ove solamente poteva essere confinata in modo decoroso, cioè alla tomba di Maometto. Dopo questa vittoria, che si denominò la giornata del cammello, Alì si volse contro un avversario più formidabile, contro Moawiyah, figlio d'Abu-Sophian, che aveva preso il titolo di Califfo, ed era francheggiato dalle forze della Siria, e dalla riputazione della casa d'Ommiyah. Dopo il passaggio del Thapsaco, la pianura di Siffin192 s'allunga su la riva occidentale dell'Eufrate. In questo terreno vasto e piano fecero i due competitori per centodieci giorni una guerra d'avvisaglie. La perdita d'Alì in novanta scaramucce, succedute in que' giorni, fu valutata di