Quando per fine si tratta d'esaminare quanto abbia fatto la dottrina di Maometto a danno, o a pro della sua patria, e i Cristiani e gli Ebrei più violenti, o più superstiziosi, concederanno sicuramente, che se quel Profeta attribuissi una falsa missione, nol fece che per introdurre una dottrina salutare; e solamente meno perfetta della loro. Piamente pose per cardine della sua religione la verità e la santità delle rivelazioni di Mosè e di Gesù Cristo, le virtù loro, i lor miracoli. Disparvero gl'idoli dell'Arabia in faccia al trono di Dio; fu espiato il sangue delle vittime umane coll'orazione, col digiuno, colla elemosina, lodevoli o per lo meno innocenti artificii della divozione, e Maometto dipinse i premii e le pene dell'altra vita sotto le immagini più adatte all'intelligenza d'un popolo ignorante e carnale. Era forse inetto a dettare un sistema sminuzzato di morale e di politica che acconcio fosse pe' suoi compatriotti; ma insinuava ne' fedeli uno spirito di carità e d'amore; raccomandava la pratica delle virtù sociali, e colle leggi, come co' precetti, reprimeva l'ardore della vendetta, e ostava alla oppressione degli orfani e delle vedove. La fede e l'obbedienza ricongiunsero le tribù disunite, e il valore, vanamente gittato sino a quel tempo in litigi domestici, energicamente si volse contro un estero nemico. Se meno forte fosse stato l'impulso, libera nell'interno l'Arabia, e formidabile al di fuori avrebbe potuto fiorire sotto una lunga serie di sovrani nativi del suo paese. Colla dilatazione e colla rapidità de' conquisti venne a perdere la sua sovranità; disperse furono in oriente e in occidente le sue colonie, e si mischiò il sangue degli Arabi con quello de' loro proseliti o de' prigionieri. Dopo il regno de' tre primi Califfi, fu trasportato il trono da Medina alla valle di Damasco e su le sponde del Tigri: da un'empia guerra violate furono le due città sante; si curvò l'Arabia sotto il giogo d'un suddito, forse d'uno straniero; e i Beduini del deserto, rinvenuti dalle speranze chimeriche da cui erano affascinati di dominare al di fuori, si restrinsero all'antica e solitaria loro independenza208.
CAPITOLO LI
Conquisto della Persia, della Siria, dell'Egitto, dell'Affrica e della Spagna, fatto dagli Arabi o Saraceni. Impero de' Califfi o successori di Maometto. Situazione de' Cristiani sotto quel governo.
A. D. 632
La rivoluzione dell'Arabia non avea cangiata l'indole dagli Arabi; la morte di Maometto fu segnale d'independenza, e sin dalle fondamenta crollò l'edifizio ancora mal fermo del suo potere e della sua religione. Solo un drappello fedele e poco numeroso, formato da' suoi primi discepoli, ne aveva intesa la voce eloquente, e divise con lui le angustie; con lui erano scampati dalla persecuzion della Mecca, o raccolti i fuggiaschi entro le mura di Medina. Que' milioni di uomini, che poi salutarono Maometto per loro Profeta e re, erano stati domati dalle sue armi, o sedotti dai suoi trionfi. L'idea semplicissima d'un solo Dio inaccessibile a' sensi, difficilmente entrava nel capo dei politeisti, e que' Cristiani o Giudei che s'erano dati all'Islamismo sdegnavano il giogo d'un legislatore mortale già lor contemporaneo. Le abitudini di fede e di ubbidienza non erano ben radicate, e fra i nuovi convertiti buon numero si dolea d'aver posposta la veneranda antichità della legge di Mosè, i riti e misteri della Chiesa cattolica, o gl'idoli, i sagrifici e le feste piacevoli del paganesimo professato dagli antenati. Non ancora un sistema d'unione e di subordinazione aveva acquetato il tumulto degli interessi e le liti ereditarie delle tribù Arabe; i Barbari non potevano sottomettersi alle leggi, anche più dolci e salutari, quando comprimevano le passioni loro o ne violavano i costumi. S'erano essi acconciati con repugnanza ai comandamenti religiosi del Corano, all'astinenza totale dal vino, al digiuno del Ramadan, e alle cinque orazioni quotidiane; e sotto altro nome non ravvisavano, nelle elemosine e nelle decime che si esigevano per l'erario di Medina, altro che un tributo perpetuo e ignominioso. L'esempio di Maometto avea destato uno spirito di fanatismo, e d'impostura, e lui vivente aveano molti de' suoi rivali osato imitarne il costume e affrontarne l'autorità. Il primo Califfo, co' suoi fuorusciti ed ausiliari, si vide ristretto alle città della Mecca, di Medina e di Tayef, e sembra che i Coreishiti avrebbero rimessi gl'idoli della Caaba, s'egli non ne avesse affrenata la leggerezza con questo rimbrotto: «Uomini della Mecca, diss'egli, sarete voi stati gli ultimi ad abbracciare l'Islamismo, e i primi ad abbandonarlo?» Dopo aver esortati i Musulmani a confidare nell'aiuto di Dio e del suo appostolo, risolvette Abubeker di prevenire con un vigoroso assalto la congiunzion de' ribelli. Ritirò le mogli e i figli nelle caverne e ne' monti: sotto undici bandiere marciarono i suoi guerrieri, sparsero il terrore delle lor armi per ogni dove, e da questa comparsa di nerbo militare ravvivò e rassodò la fedeltà de' credenti. Le tribù incostanti si sottomisero con umile pentimento all'orazione, al digiuno, all'elemosina, e dopo qualche buon esito, e qualche esempio di severità, i più arditi appostati si prostrarono davanti la spada del Signore e quella di Caled. Nella fertile provincia di Yemanah209, tra il mar Rosso e il golfo Persico, in una città inferiore a Medina, un Capo possente, di nome Moseilama, s'era vantato Profeta, e la tribù d'Hanifa aveva ascoltato le sue prediche. Queste attirarono presso lui una profetessa: non si degnarono que' due favoriti del cielo d'osservare la decenza delle parole e delle azioni, e passarono più giorni in un commercio mistico ed amoroso210. Una sentenza oscura del Corano di Moseilama è giunta sino a noi211, e nell'orgoglio inspiratogli dalla sua missione, degnò proporre a Maometto la divisione della Terra. Questi gli rispose con dispregio; ma i rapidi avanzamenti di Moseilama diedero grande apprensione al successor dell'appostolo. Quarantamila Musulmani raccolti sotto il vessillo di Caled esposero la loro religione alla sorte d'una battaglia decisiva. In un primo fatto d'armi furono respinti colla perdita di mille e dugento uomini; ma mercè dell'abilità e perseveranza del lor generale finirono col vincere, vendicarono la prima sconfitta col sangue di diecimila infedeli, e uno schiavo Etiope trafisse Moseilama colla chiaverina che ferì mortalmente lo zio di Maometto. Non andò guari che il vigore e la disciplina della monarchia nascente conculcarono i ribelli dell'Arabia, privi di Capi, o d'una causa comune che raccozzar li potesse, e così tutta la nazione s'attaccò di bel nuovo, e più saldamente che mai, alla religione del Corano. Prestamente dall'ambizione de' Califfi fu aperto il campo da esercitare il turbolento valore de' Saraceni; tutto il grosso delle milizie maomettane si raunò in una guerra santa, i cui successi ed ostacoli ne crebbero del pari l'entusiasmo e il coraggio.
Vedendo i rapidi conquisti de' Saraceni, s'inclina a credere che i primi Califfi comandarono personalmente gli eserciti de' fedeli, e cercarono nelle prime file la corona del martirio. Abubeker212, Omar213 e Othmano214 dimostrato avevano in fatti un gran coraggio nel tempo della persecuzione e delle guerre del Profeta, e dalla sicurezza che avevano essi d'ottenere il paradiso avranno imparato a non curare i piaceri, e i pericoli di questo Mondo. Ma erano vecchi, o avanzati in età, quando ascesero il trono, e s'avvisarono che le cure interne della religione e della giustizia fossero i primi doveri d'un sovrano. Trattone l'assedio di Gerusalemme, fatto in persona da Omar, i lor più lunghi viaggi furono le frequenti peregrinazioni che facevano da Medina alla Mecca. Le notizie di vittoria li trovavano a pregare, o a predicare tranquillamente dinanzi alla tomba del Profeta. L'austerità e frugalità della vita erano effetto sia di virtù, sia d'abitudine, e la lor orgogliosa semplicità insultava la vana magnificenza de' re della Terra. Quando Abubeker cominciò ad esercitare la carica di Califfo, ingiunse ad Ayesha sua figlia di fare un inventario esatto del suo patrimonio, acciocchè si vedesse se diverrebbe ricco o povero al servigio dello Stato. Credè di poter chiedere per suo stipendio tre pezze d'oro, e il conveniente mantenimento d'un cammello e d'uno schiavo nero. Nel venerdì d'ogni settimana soleva distribuire quanto gli rimaneva d'averi propri, e del danaro pubblico, primamente a' Musulmani più virtuosi, poscia a' più indigenti. Alla sua morte, un vestito grossolano e cinque pezze d'oro componevano tutta la sua ricchezza: furono rimesse al suo successore che fu tanto modesto da dire sospirando, lui disperare di assomigliarsi mai ad un modello sì mirabile. Nondimeno non furono minori delle virtù d'Abubeker l'astinenza