Gli antichi romani erano dei grandissmi specialisti nell’erigere fortificazioni di vario tipo, soprattutto mura. Le innalzavano ovunque mettevano piede le impolverate calighe6 degli audaci legionari. Una rete di fortificazioni difensive si estendeva dalle aride sabbie del Sahara con il «Limes Mauritano», fino alle piovose montagne della Scozia, dove furono eretti il vallo di Adriano e Antonino. La cosa interessante è che quest’ultimi hanno fatto da spunto per il ciclopico «Muro» dell’epopea fantasy di George Martin – «Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco», resa celebre dalla serie televisiva «Il Trono di Spade». Questo «Muro» difendeva il mondo civilizzato dei Sette regni dal selvaggio mondo del belligerante Nord, le cui vaste aree erano occupate da orde di incontrollabili «Bruti», da tremendi zombie – gli «Estranei» e varie altre entità maligne. Nella vita reale prorio per lo stesso scopo a difesa di Roma prima furono erette le antiche mura Serviane7, e in tempi più recenti quelle Aureliane. Solo che al posto dei «bruti» le mura romane venivano attaccate da altri invasori del nord – le tribù dei galli, goti, vandali e longobardi…
Per i russi forse sarà interessante sapere che a immagine della prima Roma fu costruita anche Mosca – la nostra Roma del nord, la terza per ordine e la quale come molti sanno «si tiene ancora in piedi, ultima nel suo genere»8. Sette colli di Mosca circondavano le mura dell’antica città. Il suo perimetro di 16 chilometri è il percorso che oggi segue il movimentato anello di giardini che fa da confine al centro storico. Nella Roma odierna lo stesso ruolo è ricoperto dalle mura Aureliane, erette 1300 anni prima, e più lunghe di tre chilometri di quelle di Mosca.
L’imperatore Aureliano cominciò la costruzione di queste mura fortificate nel 271. Le mura difendevano i sette colli di Roma, il campo Marzio e l’area «Zamoskvorech’ye»9 (se continuare con le analogie con Mosca) – il quartiere Trastevere, sulla sponda destra del Tevere. Aureliano fu molto perspicace a costruire questa imponente fortificazione. Da quì a non molto sarebbero cominciate le invasioni barbariche.
La tensione che aumentava al confine dell’impero Romano richiedeva la necessità di fortificare la città, e le mura furono terminate molto velocemente – in 4 anni. Per la costruzione del muro non si badò a spese e si usarono ingenti quantità di calcestruzzo, allargando le mura fino a 3,4 metri e facendole arrivare ad un’altezza di 8 metri (più tardi, durante il regno dell’imperatore Onorio10 all’inizio del V secolo vennero innalzate fino a 10,5—15 metri), e rivestite subito di mattoni. Ad una distanza di ogni 30 metri furono erette imponenti torri, e tutte le strade, che secondo il detto, portano a Roma, passavano attraverso le 18 porte, l’aspetto esteriore e la capacità difensiva delle quali venivano progettate basandosi sull’importanza strategica.
All’interno delle antiche mura Aureliane, sulla propaggine del colle Celio si trova l’area che si chiama Laterano. Non lontano da quì cominciava l’antica via Campana che portava verso la regione Campania11.
La porta in mezzo alle due massive torri rotonde ha il pittoresco nome di Porta Asinaria, che molto prosaicamente si traduce come… Porta degli Asini. Durante l’innalzamento delle mura quì venne costruito solo un piccolo passaggio – la postierla per i proprietari terrieri che vivevano fuori della città. Da quì conduceva in città la Via Asinaria (o Via degli’Asini). Siccome per i contadini dell’antica Roma il mezzo di trasporto principale era l’asino, se ne deduce che è da quì che prendono il nome sia la porta che la via. Lo stretto passaggio venne allargato solo durante il regno del fervente cristiano – l’imperatore Onorio. Approposito, fù proprio Onorio ad abolire i combattimenti dei gladiatori nel 404, dopo che il monaco Telemaco fù ucciso a sassate dalla folla mentre cercava di porre termine ad una delle sanguinose battaglie che si tenevano nell’anfiteatro.
La storia teneva in serbo un destino piuttosto movimentato per la Porta Asinara. Nel 536 la porta fu varcata dall’esercito del generale bizantino Belisario che entrò a Roma per liberarla dalla tribù germanica degli ostrogoti capeggiati dal re Vitige. Dieci anni dopo, distrutta la porta a colpi di ariete, la citta fù occupata dalle armate del nuovo re ostrogoto – Totila.
Nel 1084 in questo punto delle mura entrarono a Roma i normanni capeggiati da Roberto Il Guiscardo, che distrussero e saccheggiarono tutto quello che gli capitava davanti agli occhi. Dopo di questo l’esercito del Guiscardo diede fuoco alla città eterna agendo con una tale brutalità, che questo incendio verrà ricordato dagli storici come uno dei più catastrofici nella storia dell’Impero Romano. Eppure, nonostante tutte le peripezie la porta degli’Asini si è conservata benissimo. Tuttavia, attualmente, a causa dell’abbassamento del livello della strada la porta è chiusa al passaggio delle macchine, ma i passanti, e anche gli asini possono ancora attraversarla.
La sontuosa e larga Porta San Giovanni, chiamata in onore del santo e che fu costruita per il passaggio di persone importanti o solenni processioni, è comparsa nelle mura Aureliane solo nell’anno 1574. La sua costruzione fu iniziata su benedizione del papa Pio IV Medici (1559—1565), ma venne terminata durante il pontificato di Gregorio XIII Buoncompagni (1572—1585), al quale, tra l’altro, dobbiamo l’introduzione del nuovo calendario gregoriano.
I lavori di costruzione furono guidati dall’architetto Giacomo del Duca, poi seguito da un’altro Giacomo – della Porta, allievo di Michelangelo. Delle leggende popolari raccontano che Giacomo della Porta morì per torcimento dell’intestino causato da eccesivo ingerimento di cibo: si dice che il poveraccio si sia abbuffato di cocomero e meloni ad un picnic in campagna e che la morte lo colpì proprio mentre stava attraversando la porta di San Giovanni. Così l’anima lascio le spoglie mortali dell’architetto proprio sotto l’arco della volta della propria costruzione. Molto probabilmente si tratta, come si dice adesso, di un fake. Nei propri aneddoti la gente ama molto gettare fango su personaggi famosi, proprio facendo leva sui peccatucci dei quali si erano macchiati: nella Repubblica Ceca vi diranno che l’astronomo Tycho Brache bevve talmente tanta birra Krusovice fino a farsi scoppiare la vescica, e che in Russia lo scrittore di favole «nonno Krylov» morì dopo una grave indicestione a causa della grande quantità di frittelle mangiate durante la festa della Maslenitsa.
Nonostante le varie dicerie, siamo molto riconoscenti a Giacomo della Porta per la sfrazosa e imponente porta, che oltretutto fa da punto di riferimento per i turisti sulla via che porta dalla stazione della metro «San Giovanni» vicino alla basilica del Lateranense.
III. Nomen proprium, o nome prorio
Prima di cominciare la visita dell’area e del complesso di palazzi storici accomunati sotto il nome di Laterano, un viaggiatore curioso vorrà sicuramente sapere da dove viene fuori questa parola.
Come si sa, la scienza che si occupa dello studio dei nomi geografici si chiama toponimica. Questa scienza studia non solo la provenienza dei nomi geografici ma anche la loro evoluzione, il significato, la grafemica e così via. La scienza è scienza – una cosa difficile, confinata nei limiti della metodologia e delle esperienze del passato. Insomma, è una cosa noiosa.
Ma può essere che sia proprio la toponimica ad essere una cosa influenzata dal popolo! Nel suo ambito la proveninenza di ogni parola è sempre legata ad una bizzarra leggenda, un aneddoto storico o dalla più banale logica semplice come la più ovvia delle cose. Come si intende così si scrive. Per esempio, per gli studiosi del popolo la parola «Moscva» richiamava ad un suono simile al ronzio dei moscerini insieme al gracidio delle rane. Il luogo era stagnante e paludoso, ed è proprio per questo che è nata questa allusione12. La gente,