Si guardi anche solamente alle implicazioni della ruminatio, alla compuntio cordis, quindi al ricordo che avviene, come dire, con dolore di cuore, dolore di cui parla Anselmo d’Aosta nelle Orazioni e meditazioni, composte fra i 1070 e il 1080.19 A questo, volendo, potremmo associare il dato della figliolanza spirituale che lega Tommaso di Cantimpré a Riccardo di San Vittore, a sua volta discepolo di Ugo di San Vittore, la famosa abbazia nei pressi di Parigi. Quest’ultimo è autore, si ricorda qui, del trattato De arca Noe mystica, costruito attraverso la presenza di un diagramma, o meglio di una figura della Bildensatz. Si tratta in pratica di una figura della mnemotecnica in cui l’opera, o una sezione di essa, si apre con una pictura (la pictura può essere, a seconda, una mappa, una rosa, uno schema, una ruota…). Il De arca Noe mystica è incentrato sulla figura mentale del quadrato, che si rifà alla rappresentazione biblica (in forma di quadrato appunto) della città celeste.20 Tommaso allora doveva essere bene addentro all’«arte della memoria», come la definiva Ugo di Rouen, ecco perché sembra pertinente applicare una lettura in senso mnemotecnico ai verbi che abbiamo visto qui. Ma riprendiamo a parlare, dopo questa digressione, delle visioni di Lutgarda.
«Mirandis plus miranda succedunt»,21 per usare le parole dell’agiografo, si verifica a metà del primo libro, nel capitolo intitolato «Varie estasi e visioni divine. Passaggio dall’Ordine benedettino a quello cisterciense»,22 una visione funzionale alla comprensione della «meccanica» del procedimento estatico, riportiamo allora la scena:
Cum aliquo incommodo cordis aut corporis gravaretur, stabat ante imaginem Crucifixi: et cum diu fixis oculis imaginem inspexisset, clausis oculis et resolutis in terram membris, instar Danielis viri desideriorum, super pedes suos stare non poterat; sed elanguens prorsus rapiebatur in spiritu, et videbat Christum cum vulnere lateris cruentato.23
Ci viene detto in modo manifesto che Lutgarda sosta davanti al Crocifisso per una lunga contemplazione, con gli occhi fissi sull’immagine; successivamente è rapita in spirito e vede il Christus humanatus e passionatus con la ferita del costato, come persona viva e presente in tutto il suo essere divino. Subito dopo ecco la monaca baciare la piaga assieme al Battista, il quale sopraggiunge in forma di aquila bianchissima.24 Nei colloqui divini si assiste sporadicamente ad esiti sorprendenti: ella si offre, supplica, ma anche si impone con audacia a Cristo, come in II, 1: «O libera lui o separe me da Te».25 Chiede continue conferme del suo lavoro d’intercessione per la salvezza dell’uomo e affronta travagli intensi, fintantoché non le viene chiaramente rivelato come il suo impegno spirituale aiuterà Dio a perdonare l’umanità.26 Un altro aspetto relativo all’esito di questi colloqui è il superamento delle paure della Santa rispetto all’ira divina, un concetto espresso secondo la tradizione medievale e veterotestamentaria (« […] calice irae eius», II, 20), così come pure l’attaccamento alle sofferenze di Cristo come pena interiore «in fletibus rugiens».27 Le appaiono le anime liberate grazie alla sua preghiera d’intercessione, tra queste quella di papa Innocenzo III, che ha ottenuto la grazia di pentirsi prima di morire,28 ma le appaiono pure i demoni tormentatori, i quali puntualmente fuggono, snervati dalle sue preghiere.29
Come si diceva, il testo di Tommaso può risultare interessante anche dal punto di vista delle apparizioni della Madonna.30 È da notare come la Vergine venga indicata, nelle glosse al testo, come «Deipara», vale a dire «generatrice di Dio», dal verbo latino «pario» (appunto «genero»). Alla fine del secondo libro leggiamo:
Accidit ergo nocte quadam, ut dum in Cantico, Te Deum laudamus, versum illum, Tu ad liberandum suscepturus hominem, non horruisti Virginis uterum, diceret; ei beatissima Virgo Maria, quasi congratulans appareret: intellexitque versum istum beatissimæ Virgini fore gratissimum, per quem memoratur suscepisse Dei filium. Hoc ergo mihi ipsamet sicut filio dilecto revelans; admonuit, ut quoties versum istum dicerem, me toto corpore ad laudem gloriosæ Virginis inclinarem.31
Ogni volta che le monache cantano il Te Deum laudamus, si legge, c’è un luogo di questo inno particolarmente gradito alla Vergine: la Madonna le appare e facendole un gesto di riverenza si congratula con la monaca.32 Non si può certo pensare che Lutgarda conoscesse l’iconografia della Madonna dell’Umiltà, tuttavia c’è traccia di statuette lignee appartenute a monasteri di monache cisterciensi, nelle quali è possibile vedere la Madonna che palesa un atteggiamento di deferenza nei confronti di Suo Figlio, il piccolo bambino in braccio, quasi come se la Vergine santa stesse specchiandosi nel volto del pargolo. Diamo in figura un esempio del 1300, ma ricordiamo che la presenza di quest’iconografia è appurato esistesse già prima del 127033 (fig. 1). A nostro modo di vedere quindi l’iconografia (quale potrebbe essere quella della Madonna specchiantesi) sembra fare da linea-guida nell’implementare il meccanismo della visione.
Libri e immagini per Lutgarda
Se analizziamo sistematicamente le visioni di santa Lutgarda, si ha l’impressione, ad un certo punto, che la mistica abbia potuto avere davanti a sé uno dei messali miniati o uno dei codici contenenti la rappresentazione della Carità vista da sant’Ildegarda di Bingen e in seguito da lei rappresentata (fig. 2). Come si può vedere nel ms. di Mainz, conservato nella Biblioteca Statale di Lucca, la prima visione del Liber divinorum operum (fol. 1v) presenta una piccola Ildegarda durante un rapimento mistico ad opera del fuoco celeste; santa Ildegarda, in questa prima visione del Liber divinorum operum, assiste alla manifestazione della Carità, la quale le si presenta come figura antropomorfica, con quattro ali, che danno forma a due volti (uno maschile e uno femminile). La göttliche Liebe o Charitas, ha in mano un agnello, allegoria della mitezza divina.1 «Visibilibus oculis corporalis luminis», una consorella di Lutgarda, leggiamo nella Vita, stando di fronte alla Santa, vede – nel corso del canto dei vespri – una fiamma uscire dalla bocca di Lutgarda, una fiamma che sale in direzione del cielo più alto:
Cum ergo die quadam in Vesperis cantaret in choro, monialis quædam, quæ ab opposita parte in choro stabat, visibilibus oculis corporalis luminis, flammam de ore eius vidit ascendere, et in sublimi aëre penetrare.2
Sembra quindi che Lutgarda, e con lei le sue monache, abbiano confidenza con la rappresentazione della Charitas di santa Ildegarda di Bingen (†1179), che dovette circolare nei monasteri cisterciensi di quelle regioni dato che possiamo trovare traccia di questo nei manoscritti appartenenti alle monache di Liegi di allora. Il manoscritto IV-36 della Biliotèque royale Albert I di Bruxelles (ossia il sautier grazie al quale gli storici hanno in parte ricostruito una cronologia della diocesi di Liegi, quella in cui hanno hanno vissuto le «madri» di Tommaso e il cantimpratano stesso), mostra una miniatura che rappresenta la Trinità (fig. 3). Nell’immagine, nella quale il Padre sorregge Cristo crocifisso, campeggia una fiamma, che congiunge la bocca del Figlio a quella di Dio Padre secondo un’iconografia molto affine a quella della rappresentazione della Charitas di Ildegarda. È allora forse assai probabile che le immagini «private» della nostra Santa fossero proprio queste, trattandosi in quest’ultimo caso di una corrispondenza precisa e documentabile. Che le cisterciensi si formassero guardando le immagini dei codici che si ritrovavano in convento, arrivando addirittura ad esperire, grazie a quelle, forti esperienze mistiche è provato dalle rivelazioni di Gertrude di Helfta (monaca cisterciense) : la piaga del costato raffigurata su un crocifisso dipinto sulla pagina di un libro avrebbe trasmesso alla monaca tedesca il dono straordinario delle stimmate nel cuore:
Quindi, dopo aver ricevuto il sacramento di vita e tornata al posto dove pregavo, mi sembrò quasi che dalla destra di un crocifisso dipinto sulla pagina di un libro, cioè dalla ferita del costato, uscisse come un raggio di sole, appuntito come una freccia. […] Ed ecco che tu all’improvviso sei venuto e hai inflitto una ferita al mio cuore dicendo: «venga a raccogliersi qui l’insieme dei tuoi affetti, cioè che ogni piacere, ogni speranza, ogni gioia e ogni dolore, ogni timore e ogni tuo sentire si fissino nel mio amore».3
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