Mattia Zangari
Tre storie di santità femminile tra parole e immagini
Agiografie, memoriali e fabulae depictae fra Due e Trecento
Narr Francke Attempto Verlag Tübingen
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ISBN 978-3-8233-8360-4 (Print)
ISBN 978-3-8233-0199-8 (ePub)
Prefazione
Questo bellissimo studio di Mattia Zangari indaga, con eleganza e maestria, i complessi rapporti fra le parole e le immagini nelle esperienze di tre mistiche vissute fra Due e Trecento. Il lavoro è costituito da tre parti: la prima è dedicata a un modello di donna paradigmatico per l’agiografia medievale, ossia la Vita di santa Lutgarda d’Aywières (1182-1246), redatta da Tommaso di Cantimpré (1200?-1270); la seconda parte è dedicata al famoso Memoriale di sant’Angela da Foligno (1248-1309) e si concentra sulle relazioni fra il testo, le visioni e il programma iconografico della basilica di San Francesco di Assisi; la terza parte è dedicata alla mistica sant’Agnese da Montepulciano (1268?-1317), della quale si indagano le visioni, secondo un metodo affine a quello utilizzato nelle due parti precedenti.
Il lavoro ha origine da un’idea che si è sedimentata nel giovane studioso fin dai tempi della sua tesi magistrale, nella quale si prendeva in esame il rapporto fra le immagini e l’allora beata Angela da Foligno, che intanto è stata innalzata agli onori degli altari con la canonizzazione. La tesi magistrale ha conosciuto un significativo sviluppo, che ha condotto a una ricchissima e riuscitissima tesi di dottorato. Ciò che caratterizza la tesi dottorale, che oggi è un libro, è la struttura ternaria: il primo capitolo è dedicato a Lutgarda d’Aywières, il secondo ad Angela da Foligno e il terzo ad Agnese da Montepulciano. Lutgarda era una monaca benedettina proveniente dal Brabante che in seguito divenne cisterciense nel monastero di Aywières, nel Brabante vallone. Tommaso di Cantimpré le ha dedicato l’ultima parte delle Vitae matrum, una raccolta di biografie di quattro religiose: la monaca Lutgarda e le tre beghine Maria, Cristina e Margherita. Lo studio di Mattia Zangari si concentra sulle visioni della monaca Lutgarda e sulle relazioni della Vita Lutgardis con altri testi coevi (quali lo Specchio di Margherita Porète), con l’iconografia del tempo e, cosa molto interessante, con gli oggetti devozionali (ad esempio le culle con le quali le monache celebravano Gesù Bambino). Lo studioso analizza anche un elenco di motivi tradizionali (topoi) – tra questi lo «scambio del cuore» – presenti sia nella Vita di santa Lutgarda sia in molte altre Vitae di Sante, riprendendo una pista d’indagine proposta per la prima volta da Romana Guarnieri.
Agnese da Montepulciano, biografata dal noto Raimondo da Capua (1330-1399), è, come Lutgarda, molto sensibile alle rappresentazioni figurative; esse stimolano la sua immaginazione al punto che si può pensare a un influsso delle iconografie dell’epoca sulle visioni della mistica. Dopo aver condotto, con molta accortezza, un’analisi del testo (che rivela nessi molto interessanti fra il testo della mistica di Montepulciano e i testi della letteratura latina), l’autore analizza le visioni di Agnese e mette in luce alcuni tra i più importanti motivi di esse. Per esempio una volta la Madonna, con in braccio Gesù Bambino, compare alla mistica e poco dopo scoppia una lite fra la Vergine e la religiosa, che litigano perché si contendono Gesù Bambino. Sorprendentemente sant’Agnese afferra il Divino Infante trattenendolo per la collanina che ha indosso. La scena sembra essere esemplata sulle iconografie dell’epoca, che ritraggono Gesù Bambino con un amuleto al collo. Il collegamento fra testo e immagine sembra quindi fattibile e tutto è argomentato in modo molto convincente.
Tanto all’agiografia di Lutgarda, quanto a quella di Agnese è applicata la griglia interpretativa dei motivi tradizionali delle agio-biografie femminili e si dimostra la sussistenza di topoi che ritornano con corrispondenze sistematiche, delineando un fenotipo di santità femminile europea in cui le Sante del Nord Europa e quelle italiane sembrano essere straordinariamente consimili.
Il capitolo dedicato ad Angela da Foligno presenta dei risultati particolarmente interessanti. Si indagano coerentemente tre aspetti importanti del Memoriale: le specificità della tradizione manoscritta; la trasposizione linguistica delle percezioni soprasensibili, in specie percezioni visive e uditive che possono essere confrontate con altre testimonianze quali i testi poetici (come ad esempio il laudario di Jacopone da Todi); la connessione fra i contenuti delle visioni e il contesto delle mistiche, particolarmente con le testimonianze iconografiche (che danno luogo a dimensioni in cui la visione va «necessariamente» concepita come la risultante di parole e immagini, le quali si sovrappongono senza possibilità di scindere le une dalle altre).
L’ipotesi più originale riguarda il rapporto fra il Memoriale di sant’Angela e le immagini della basilica di San Francesco. Oggi possiamo ricostruire il programma iconografico della basilica di Assisi, elaborato dal Maestro di San Francesco prima di Giotto, e possiamo dunque capire come esso appariva ai tempi del pellegrinaggio di Angela da Foligno nel 1291. Secondo l’ipotesi di Zangari, le vie purgativa e illuminativa, percorse spiritualmente dalla Santa, possono essere ricollegate al ductus delle immagini, alla loro disposizione e al loro «potere». Ad esempio la scena nella quale sant’Angela si denuda davanti alla Croce dovrebbe essere ricondotta al fatto che la mistica vede l’affresco della Spoliazione di San Francesco, rappresentata negli affreschi della navata all’epoca del pellegrinaggio della Santa. La scena dunque può essere concepita nei termini di una sceneggiatura immaginaria del monito di san Girolamo «Nudum Christum nudum sequere». Tutte queste congetture mettono in luce l’acribia e più in generale le qualità intellettuali di Mattia Zangari.
Lo studioso parla, in definitiva, di forza «modellizzante» delle immagini (le cosiddette fabulae depictae), come se il testo, in alcune sue parti, prendesse corpo grazie alla percezione ottica. Nel contesto degli ultimi studi questa interpretazione sembra molto appetibile e metodologicamente solida; essa adotta gli strumenti del cosiddetto «ritorno delle immagini» (iconic turn), allontanandosi da prospettive tradizionali e unilaterali e ponendo in risalto i fenomeni di «intermedia», presenti nell’esperienza visiva e uditiva delle mistiche. L’autore sostiene che ci sia fluidità e permeabilità fra parole e immagini, fra testi e altri media. Le ipotesi si fanno più forti e convincenti quando si dimostra come oltre alle immagini ci fossero altre dimensioni che incrociavano l’esperienza mistica, come le varie biografie di san Francesco (spesso trasmesse solo oralmente), le sacre rappresentazioni, i «giochi» paraliturgici, la nascente poesia religiosa. A queste dimensioni si potrebbero aggiungere alcuni luoghi delle Sacre Scritture, le omelie e i sermoni, le collationes monastiche e anche le semplici catechesi, e cioè una gran quantità di prediche e di «dispositivi discorsivi» che trasmettevano conoscenze e risvegliavano l’immaginazione. Insomma tutte quelle pratiche comunicative che Michel de Certeau chiamava «scena dell’enunciazione» e che Etienne Gilson, ancora prima di Certeau, aveva definito con il termine polisemico di «conversatio» (divenuta, nella Spagna del Cinquecento, l’attività del «conversar» all’interno dei monasteri carmelitani).
Tutti questi influssi convergono creando un vero tesoro di immagini, di rappresentazioni e di contenuti sapienziali; stimolano l’immaginazione, la percezione uditiva e talvolta anche i sogni. Le acquisizioni presentate in questo libro fanno vedere che le esperienze mistiche non possono essere considerate fenomeni a sé stanti perché fra immagini, vetrate e affreschi intercorrono relazioni strutturali e bilaterali, affinità iconiche, così come pure sorprendenti e talvolta drammatiche trasformazioni, che creano forme e «schemi» culturali. Per esempio