17 G. NIGRO, L’economia, cit.
18 Scelta di poesie liriche del primo secolo della lingua fino al 1700, Le Monnier, Firenze 1839, p. 119. Reperibile all’indirizzo internet: <https://books.google.it/books?id=-DpyKbNUXUxMC>, consultato l’11 marzo 2018.
19 G. NIGRO, Et coquatur ponendo…, in Et coquatur ponendo…cultura della cucina e della tavola in europa tra medioevo ed età moderna, Istituto Internazionale di Storia Economica «F. Datini»-Prato, Prato 1996, pp. 19-26.
20 E. ULIVI, Scuole e maestri d’abaco in Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo. Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascenza della matematica in Occidente, a cura di E. Giusti, Firenze 2002, pp. 121-159.
21 C.M. CIPOLLA, Istruzione e sviluppo. il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale, il Mulino, Bologna 2002, p. 52. Si veda anche A. ORLANDI, Mercanzie e denaro: la corrispondenza datiniana tra Valenza e Maiorca (1395-1398), fonts històriques valencianes, Universitat de València, Valenza 2008.
22 F. MELIS, Sulle fonti tipiche della storia economica: per una particolare tecnica di lavoro dello storico (relativamente ai secoli XII-XVII), «Rassegna Economica», XXXIX, 2, 1972, pp. 307-332, pp. 332.
23 F. MELIS, La banca pisana e le origini della banca moderna, a cura di M. Spallanzani, Istituto Internazionale di Storia Economica «F. Datini»-Prato, Le Monnier, Firenze 1987.
24 F. MELIS, Werner Sombart e i problemi della navigazione nel Medioevo, in F. MELIS, I trasporti e le comunicazioni nel Medioevo, a cura di L. Frangioni, Istituto Internazionale di Storia Economica «F. Datini»-Prato, Firenze 1985, pp. 3-68.
25 G. NIGRO, Il mercante e la sua ricchezza, in Francesco di Marco Datini. L’uomo il mercante, a cura di G. Nigro, Fondazione Istituto Internazionale di Storia Economica «F. Datini»-Prato, FUP, Firenze 2010, pp. 81-104.
26 G. Todeschini, I mercanti e il tempio. La società cristiana e il circolo virtuoso, il Mulino, Bologna 2002.
27 M. SPALLANZANI, Maioliche ispano-moresche a Firenze nel Rinascimento, SPES, Firenze 2006.
L’ARTE DELLA LANA IN ITALIA (SECOLI XIII-XV): PESO ECONOMICO E FUNZIONE SOCIALE
Giuliano Pinto Università degli studi di Firenze
«Ars lane omnes italicas civitates exaltat et extollet»: così a metà Quattrocento i Capitoli dell’Arte della lana di Perugia sottolineano il ruolo che la manifatturiera laniera aveva assunto da tempo nelle città –ma aggiungiamo anche in moltissimi centri minori– dell’Italia dei secoli finali del Medioevo.1 Espressioni simili, che fanno riferimento all’importanza dell’arte della lana e alla fama e alla ricchezza che ne derivavano per le singole città, si incontrano di frequente nella documentazione pubblica, specchio questa di un sentire comune. Così a Pisa nel 1335 una commissione di savi, approvando una serie di provvedimenti a favore dell’arte, sottolineava nella premessa come fosse noto a tutti quanto la presenza di una manifattura laniera contribuisse a rendere le città ricche e ben popolate.2 Lo stesso concetto era espresso nel 1358 nel Consiglio maggiore di Venezia, ovvero che le arti della lana e del fustagno «sunt hee que pocius faciunt ad populationem civitatum mundi quam alie».3 Nel 1366 nel Consiglio generale di Siena si affermava che i panni prodotti in città «undique denarios adducunt et alia honorabilia ad civitatem Senarum».4 Nel 1454 la commissione del Comune di Prato, incaricata di riformare lo statuto dell’Arte della lana, sottolineava all’inizio della delibera che tale manifattura «è il principale membro di decta terra et quella che insino al presente dì à mantenuto decta terra di Prato, et manchando quella la terra di Prato sarebbe totalmente disfacta».5 A Firenze nel 1458, il divieto di importazione di panni forestieri venne motivato con il fatto che «la città nostra s’è facta potente et grande mediante le industrie et exercitii et per mezzo di quelle s’è difesa da ogni oppressione, et maxime per lo exercitio dell’arte della lana».6 Mezzo secolo prima, nel 1409, sempre a Firenze, i vertici dell’Arte della lana sottolineavano come la città avesse sempre primeggiato nella manifattura laniera tanto da essere in questo «domina et magistra» di tutte le altre città e di avere acquistato così fama nel mondo intero.7 Più o meno negli stessi anni i documenti pubblici vicentini definiscono il lanificio «beneficium civitatis».8 All’inizio del ‘500 una delibera consiliare veronese definiva la manifattura laniera «l’anima della città».9
Anche le fonti narrative si soffermano sull’importanza dell’arte della lana. Per Firenze sono note e oggetto di discussione le cifre sulla produzione di panni lana riportate da Giovanni Villani –su cui torneremo più avanti– e le indicazioni presenti nella Cronica di Benedetto Dei, dove in riferimento al 1472 si scrive di 270 botteghe della lana dislocate soprattutto nell’Oltrarno.10 Bonvesin della Riva nel passo che elenca gli addetti alle principali attività economiche dei milanesi a fine XIII secolo pone al primo posto i tessitori di lana.11 Nel 1514 il canonico fiorentino Bonsignore Bonsignori in visita ad Ascoli per conto del papa metteva in rilievo come in città vi fossero molti artigiani che «fanno grandissima quantità di panni ogni anno, et assai boni».12
La manifattura laniera si era sviluppata a partire dal XIII secolo in concomitanza con il forte incremento della popolazione cittadina e con il conseguente aumento della domanda di capi di abbigliamento da parte di una popolazione sempre più differenziata al proprio interno.13 Gualchiere, tiratoi, botteghe di tinta, fondaci, lavatoi caratterizzarono presto il paesaggio urbano e sub-urbano di molte città.14 Eppure, le condizioni naturali per il suo sviluppo erano meno favorevoli in Italia rispetto ad altre parti dell’Occidente europeo e del mondo mediterraneo: le lane migliori erano prodotte, come sappiamo,