— È la contessa Savina Brisnago....
Non mi è possibile descrivere l'effetto prodotto sullo zio dalle mie parole.
Dapprima rimase come istupidito dall'impreveduta sorpresa, poi diede in uno scroscio così impetuoso e violento di risa, che temetti per un istante che gli avesse dato di volta il cervello. Furono tre assalti successivi, così clamorosi, così sbardellati, e irresistibili, che lo facevano evidentemente soffrire, ma non poteva calmarsi. Si contorceva sopra una sedia, convulso; pareva che si calmasse un istante, soffiava e ansava, e poi già un altro assalto più sganasciato del primo, accompagnato da singhiozzi e da lagrime... una vera tortura.
Ritto, immobile, insensato, io era rimasto al mio posto, e un brivido mi percorreva le membra, come se mi fosse caduta addosso una doccia d'acqua gelata.
— Mio Dio!... non ne posso più... — furono le prime parole di mio zio... poi il pover'uomo mi domandava scusa, voleva riprendere la sua serietà, ma ricadeva nelle risa. Dopo una lunga vicenda di soste e di ricadute, finalmente giunse a calmarsi intieramente, e mi disse:
— Vedi, Daniele, non è per offenderti, ma la tua ingenua rivelazione mi riuscì così impreveduta, così strana, così esorbitante, che ne rimasi colpito, e poi una convulsione irresistibile mi assalì con tale violenza, che credevo morire. Che vuoi?... se tu fossi uno sciocco, non mi sarei sorpreso di nulla, ma colla tua intelligenza, col tuo buon senso, colla tua modestia e moderazione in ogni cosa, vederti così tranquillamente annunziarmi il nome della contessa Savina come la cosa più naturale del mondo... ne sono rimasto colpito... e mi hai fatto terribilmente soffrire.... Ora che è passata, ti prego di dirmi, come mai ti è entrata in testa una simile dabbenaggine!... Tu non ignori certamente il numero di milioni attribuiti alla famiglia Brisnago?...
— Non ci ho mai pensato....
— Non hai mai veduto i dodici cavalli delle scuderie, il lusso degli equipaggi, lo sfarzo signorile della casa, i numerosi domestici....
— Ho veduto... e non ho veduto... ho veduto materialmente cogli occhi, ma non ci ho mai arrestato il pensiero. Non ho mai pensato nè all'ineguaglianza sociale che ci divide... nè alla mia miseria... nè alla loro opulenza... ho amato! ho adorato con entusiasmo... ecco tutto!
Allora raccontai distesamente a mio zio i più minuti particolari della mia cieca passione, gli sguardi modesti di lei, ma perseveranti che mi colpirono, tutti gli atti che interpretai in mio vantaggio ed agitarono il mio cuore, l'evidente gelosia dei fiori appassiti, il mazzetto raccolto in giardino, la mestizia manifestata la vigilia della partenza, l'addio misterioso della sera... la mia disperazione... e le mie speranze.
Egli mi ascoltò con profonda attenzione, e poi mi disse:
— Pur troppo nei giovani l'amore nasce da un nonnulla, vive di tutto, e non ragiona mai. Le fanciulle hanno l'istinto innato di farsi ammirare. Si fanno belle, vogliono piacere a tutti indistintamente, e credono che uno sguardo non dica nulla; poi, quando travedono d'aver colpito, provano una soddisfazione che le spinge a rinnovare la prova e ignorando le conseguenze della replica, a poco a poco si avanzano con leggerezza nella via pericolosa spinte da sentimenti diversi di simpatia, d'ambizione, di riconoscenza; animate al giuoco fatale dalla voluttà del mistero.... In vero non cercano altri trofei che quelli dell'orgoglio soddisfatto, e per ottenerli slanciano delle freccie; queste possono colpire gravemente, ma i feriti non hanno altro vantaggio che di passare all'ambulanza, e soffrirne con rassegnazione i dolori, mentre un eroe predestinato dalla sorte trionfa senza aver combattuto. Talvolta avviene che qualche audace assalitrice rimane vittima della propria imprudenza, ed allora porta per tutta la vita la cicatrice d'una ferita ricevuta scherzando nei ludi giovanili. Per questo il candore dell'anima è tanto raro e prezioso, e la prudenza è una delle prime virtù che le madri dovrebbero insegnare alle fanciulle. Tu sei rimasto vittima, povero Daniele, d'uno di questi filtri sociali tanto diffusi, e tanto pericolosi, dai quali si guarisce però colla ragione e col tempo. Ma quando si rimane feriti sul campo di battaglia, bisogna ritirarsi, per evitare inutilmente nuovi pericoli. Questa tua disgrazia aggiunge nuovi e più forti argomenti alla tua partenza. Non tarderai molto, io spero, ad aprire gli occhi; intanto ritirati tranquillamente, riposa il tuo spirito, richiama il senso comune al suo ufficio... un altro giorno parleremo con calma del resto.
Uscii dallo studio di mio zio vergognoso e confuso della triste figura che avevo fatto; e non avendo più forza da sostenere una seconda diatriba, non dissi una parola sulle mie speranze letterarie; il modo col quale era stato accolto il mio amore non m'incoraggiava a parlare della gloria con un canonico che non poteva conoscere nè una cosa, nè l'altra.
Ritirato nella mia stanza, mi gettai sul canapè, piansi dirottamente, e mi addormentai oppresso dalla stanchezza.
III.
Mio zio ebbe la delicatezza di non ritornare a parlarmi nè de' suoi progetti, nè de' miei amori, lasciando al tempo ed alla riflessione l'incarico di accomodare ogni cosa. Intanto io passava giorni malinconici e notti irrequiete, rotolandomi nel letto senza trovare riposo. Mi sarebbe impossibile raccapezzare tutti i torbidi pensieri di quelle notti insonni, che inauguravano la mia gioventù come le nuvole burrascose dell'aprile annunziano la primavera. Ma il pensiero dominante era questo: — mi ama o non mi ama?... Il dileggio e le riflessioni di mio zio non avevano ottenuto altro risultato.
L'amore è sempre stato uguale sulla terra, ce lo dimostra l'adolescente degli antichi, che porta le ali sul dorso, e la benda sugli occhi. L'innamorato continua sempre i suoi voli senza saper ove vada; esso non conosce gli ostacoli che quando vi batta sopra col capo, come le vespe alle invetriate. L'amore non conosce ineguaglianze prodotte dalle vicende o dalle leggi sociali: esso è un impulso della natura, è un'aspirazione dell'anima che cerca il complemento di cui manca.
Io dunque non pensava più di prima nè alle mie tasche vuote, nè ai milioni di casa Brisnago; io pensava semplicemente a questo: — mi ama o non mi ama? — E sentivo dentro di me che mi amava, me lo diceva una voce arcana, un senso inesplicabile, un fremito irresistibile che ricercava tutte le mie fibre, non solo alla sua comparsa, ma semplicemente all'udire il suo nome, o nel vedere un oggetto qualunque che le appartenesse. Ma per convincere i profani, come mio zio, io sentiva il bisogno d'una prova materiale, evidente, sicura. Uno sguardo, un sospiro, un sorriso, una lagrima, sono prove sufficienti per l'innamorato; ma il mondo? Il mondo domanda di più. — E il mazzetto di fiori raccolto? — potrebbe essere un tratto di cortesia, di stima, di deferenza, mettiamo anche di simpatia e d'amicizia... ma d'amore? Nessuno potrebbe asserirlo. Ci vorrebbe qualche cosa di preciso, per persuadere mio zio dell'amore di Savina, qualche cosa di decisivo anche per me.
E se alla prova essa negasse l'amore... se osasse confermare l'accusa di civetteria che le venne slanciata da mio zio!... I sospetti sono contagiosi, ed io incominciava a dubitare di lei, di me stesso, d'ogni cosa. Se mi fossi ingannato! Se si burlasse di me! — quale atroce derisione! Eppure una ricca e bella signora può essa amare sinceramente, candidamente un povero diavolo! un povero orfano senza pane! — E poi, se ancora mi amasse, che cosa ne penserebbero i suoi parenti? — Forse potrebbero sospettare che io fossi un ambizioso, spinto dall'avidità, innamorato dei milioni!... Quale umiliazione! Ci avrà essa pensato!.. quali possono essere i suoi progetti? O mi ama come io l'amai sempre... senza pensare ad altro che ad amare?... Quali dubbi, quali incertezze, quanti sospetti mi entrarono nell'anima!... E se tali sospetti dovessero mutarsi in realtà!.. partirei da Milano all'istante. — Ma se all'opposto il suo amore fosse puro ed ingenuo come il mio, se avesse fiducia nella mia fede, nel mio disinteresse, nel mio ingegno, che può offrirmi i mezzi d'innalzarmi sino a lei, potrei io abbandonarla, tradire le sue speranze, partire, lacerando la sua anima!.. no, mai! — Un'ultima prova è dunque necessaria, deve essere franca e decisiva.
Con tale determinazione io aspettava ansiosamente il suo ritorno, discutendo in me stesso i diversi progetti che si presentavano al mio spirito come i più opportuni alla prova fissata. Ma ogni piano incontrava insormontabili ostacoli. Impossibile parlarle, difficile farle