— La lettera che mi annunziava il risultato finale de' tuoi studi mi ha portato somma consolazione, e desideravo vivamente di tornarmene a casa per farti a voce le mie congratulazioni. Hai finito lodevolmente la prima parte della vita, quella che apparecchia l'avvenire, quella dalla quale dipende in gran parte tutta la nostra esistenza. L'età matura e la vecchiaia possono considerarsi come legittime conseguenze della gioventù. Le prime impressioni riescono più durevoli; appunto perchè sono le prime esse trovano il campo libero e fresco, la natura ingenua, l'età opportuna a ricevere ogni forma. Nella quiete e nella solitudine di questa casa, tu non hai ricevuto che buone impressioni, e le hai coltivate collo studio assiduo; le lunghe ore passate nella tua cameretta daranno i loro risultati, ne sono sicuro. Ora è giunto il tempo che devi entrare coraggiosamente nella vita sociale, e prendere il posto che ti è destinato dalla Provvidenza. Ci hai tu pensato, Daniele?...
— Ci ho pensato sovente, — io risposi, — e spero, caro zio, che un giorno non avrà a pentirsi di avermi raccolto in casa, permettendomi d'attendere agli studi.
— Ne sono sicuro e spero bene tanto della tua condotta morale, quanto della tua cultura. Ma per giungere ad una meta bisogna mettersi in istrada, e compiere il dovere che il Signore prescrisse ad Adamo: « mediante il sudore della tua faccia, mangerai il tuo pane. »
— Sono pronto, — risposi, — a dimostrarle la mia buona volontà alla prima occasione....
— L'occasione si presenta opportuna, — egli soggiunse, — e appunto la tua lettera ti aperse la porta....
— Come mai?...
— Io la comunicai ad alcune persone influenti, che mi accordarono la loro benevolenza, vivendo in rapporti quotidiani nello stabilimento balneare di Bormio, e mi promisero il posto di maestro appunto nel villaggio di X**, ove andresti ad abitare la mia casetta....
— In Valtellina?...
— In Valtellina! Il vecchio maestro mio locatario ha ottenuta una pensione dal Comune, e si ritira a Sondrio coi suoi parenti. Io pongo a tua disposizione la mia casetta e i pochi campi, una sommetta di denaro pei necessari ristauri, ti raccomando al mio buon amico il parroco don Vincenzo Liserio, ed all'ottima famiglia Bruni, che conosco da tanti anni, e te ne vai a vivere beato e felice in quell'aria elastica delle montagne che stuzzica l'appetito e conserva la salute.... Ecco quanto mi premeva di comunicarti, e credo che sarai contento di così bella notizia!...
Rimasi sbalordito, e senza parole. Pensando alla finestra del palazzo Brisnago, che si sarebbe fra poco riaperta, alla riapparizione della divina fanciulla, alla felicità di rivederla e di riprendere quelle soavi contemplazioni, tanto indispensabili alla mia anima, quanto l'aria ai miei polmoni, Milano mi appariva in tutta la sua bellezza. Io vedevo come in un sogno rapido, intenso, tutti gli splendori della città, il lusso, i corsi, i teatri, una scena spettacolosa irradiata da uno sguardo che animava ogni cosa, mentre le parole dello zio m'indicavano confusamente e lontano un povero villaggio deserto al piede delle Alpi, con un orizzonte di montagne nevose nel fondo.
Mio zio mi guardava in silenzio, aspettando tranquillamente la mia risposta. Io sentiva tutto l'orrore della mia posizione, ed una lotta terribile si agitava nel mio animo. Finalmente, vedendomi esitante, egli soggiunse:
— Io confesso che aspettavo tutt'altra accoglienza alla mia proposta, e mi sorprendo assai della tua esitazione.
— Caro zio... l'idea di abbandonare Milano mi opprime talmente, che forse mi sfuggono i vantaggi della proposta che mi fa. Un collocamento che mi permettesse di continuare a vivere presso di lei sarebbe il mio più ardente desiderio, ma allontanarmi dalla sua casa, e da Milano, io solo, per recarmi in un ignoto villaggio, è un progetto che mi spaventa... le confesso ingenuamente la verità....
— Ma come vuoi che un giovane appena ottenuta la patente di maestro trovi il modo di collocarsi a Milano? questa è davvero una strana pretesa! Bisogna che ciascheduno percorra la propria strada, incominciando dai primi passi; quando avrai acquistati dei titoli maggiori potrai ottenere degli avanzamenti, e coi meriti e il tempo ritornare anche a Milano. Ma dovendo incominciare con un posto modesto, dimmi ove potresti essere più felice che in un villaggio, nel quale trovi una casa e dei campi che ti vengono ceduti gratuitamente, e dei vecchi amici della nostra famiglia disposti ad accoglierti colle braccia aperte, come un'antica conoscenza?... Tutti non hanno di queste fortune... ma nessuno sarebbe così difficile di contentare... e devo dirtelo francamente, nessuno tanto ingrato verso la sorte!...
Il malcontento di mio zio era evidente, e d'altronde l'obbligo di lasciare Milano mi sembrava che corrispondesse ad una sentenza di morte. Tuttavia per rinunciare ad un impiego, con l'aggiunta di eccezionali vantaggi, ci volevano delle ragioni importanti. Diventava inevitabile la necessità di manifestare il vero motivo che metteva ostacolo alla mia riconoscenza per questo nuovo benefizio offerto con tanta cordialità. E mi parve che l'amore irresistibile che accendeva il mio cuore dovesse giustificare pienamente la mia condotta, e spiegare la fede che animava i miei lavori letterari, i soli che potessero aprirmi la strada della fortuna. Pensai dunque che fosse giunto il momento d'aprire sinceramente il cuore a chi mi teneva luogo di padre, pensai che la mia ingenua confessione l'avrebbe commosso e convinto, e che avrei trovato nel suo cuore generoso un consiglio e un aiuto. Deciso a tale rivelazione, ruppi il silenzio colle seguenti parole:
— Zio!.. la mia gratitudine per tutte le bontà che mi ha prodigato avrà fine colla vita.... Ma io non posso lasciare Milano; la mia partenza è impossibile. Un vincolo superiore alla volontà decide del mio destino!... Io non sono più padrone di me stesso!...
Il povero canonico cogli occhi spalancati dalla sorpresa, colla bocca semichiusa, mi fissava in volto attentamente senza pronunziare parola, ma il suo sguardo doloroso e severo m'interrogava con ansiosa inquietudine. Sentii la necessità di abbreviare le sue pene, e soggiunsi:
— Non tema nulla per la mia onestà, non ho commesso veruna azione malvagia, la coscienza non mi rimprovera alcuna colpa... ma io amo, amo teneramente una fanciulla, e tutte le mie aspirazioni tendono a meritarmi la sua affezione.... abbia pietà del mio cuore....
Mio zio si alzò in piedi, e fece un giro per la stanza, come se volesse acquetare l'animo esagitato, prima di rispondermi. Io pure m'ero alzato da sedere, e diritto in un angolo della stanza, rivolto verso il mio giudice, colle mani giunte e con voce commossa, andavo ripetendo queste parole:
— Abbia pietà del mio cuore.
Dopo alcuni giri, egli mi si arrestò dirimpetto, esclamando con parole interrotte:
— Non me l'aspettavo... così presto!... Ah gioventù, gioventù! che non sa mettere freno alle sue passioni, che si lascia trasportare facilmente in balìa del pericolo... che non diffida dei precipizii!... mah!.. fragilità dell'umana natura!...
E continuava i suoi giri. Dopo qualche sospiro che parve sollevarlo da un peso, raddolcendo a poco a poco la voce, come un uomo rassegnato che ha preso una determinazione decisiva, soggiunse:
— Ebbene... pazienza!... pazienza!... vedremo di accomodare anche questa.... Sei molto giovane... ma privo di famiglia... e talvolta una buona compagna può salvare un giovane da pericoli gravi... Iddio benedice le buone famiglie... e il mio desiderio è di vederti contento.
A tanta bontà caddi ginocchioni ai suoi piedi, io sentiva la riconoscenza fino all'entusiasmo, la vita mi sorrideva, presi le mani di mio zio e le ricopersi di baci, e vidi due grosse lagrime che scendevano sulle guance rugose del povero vecchio, commosso dalle mie dimostrazioni affettuose. Io mi sentiva rinascere.
Poi dopo breve sosta, guardandomi con occhio benevolo,
— Su via, — mi disse, — ora puoi completare la confessione, e dirmi senza altre ambagi il nome della tua innamorata!
Mi alzai, e sorrisi ingenuamente, ma esitavo a pronunziare il suo nome. Egli mi fece coraggio dicendomi:
— Su via,