oppure si parte dall’ipotesi psicologicamente insostenibile, che le denominazioni dei colori siano sorte non dall’influenza di certi oggetti esterni, ma dal reale significato delle sensazioni corrispondenti (vedi sopra pag. 50); si ammette che, dati quattro colori fondamentali, le due copie di contrari, rosso e verde, giallo e bleu, siano i sostrati delle sensazioni di colore, alle quali per le sensazioni pure di chiarore si contrappone un’altra copia di contrari, nero e bianco; mentre tutte le altre sensazioni di luce, come grigio, aranciato, violetto, ecc., sono per determinazione soggettiva e oggettiva sensazioni composte (ipotesi di Hering). In appoggio così della prima come della seconda ipotesi, si sono portati innanzi i casi non rari di
parziale cecità ai colori. I sostenitori dei tre colori fondamentali affermavano che tutti questi casi dovessero essere ricondotti alla mancanza della sensazione o di rosso o di verde, o talora anche di ambedue. I sostenitori dei quattro colori fondamentali opinavano che la parziale cecità ai colori si riferisse sempre a due dei colori fondamentali che stanno fra loro in contrapposizione, epperò o cecità per il rosso e il verde, o per il giallo ed il bleu. Un esame spregiudicato dei ciechi ai colori non conferma nessuna di queste affermazioni. Se la teoria dei tre colori fondamentali non è in grado di spiegare la totale cecità ai colori, contro la teoria dei quattro colori stanno i casi di cecità per il solo rosso o per il solo verde. Ambedue le ipotesi poi non rispondono ai casi non dubbi, nei quali specialmente alcune parti dello spettro, che non corrispondono a nessuno dei tre o dei quattro colori presi come fondamentali, sono vedute come acromatiche. L’unica cosa che si può dire allo stato delle nostre cognizioni si è, che ogni sensazione luminosa si basa verosimilmente sulla connessione di due processi fotochimici: di uno
acromatico, il quale risulta alla sua volta di una decomposizione preponderante in una intensità piuttosto forte di luce, e di una restituzione che predomina in una luce più debole: e di un processo
cromatico, il quale varia così gradatamente, che la serie complessiva delle decomposizioni fotochimiche costituisce un
processo circolare, nel quale i prodotti della decomposizione di due gradi posti in una distanza relativamente grandissima, si neutralizzano a vicenda[12].
Le diverse modificazioni che si osservano nella retina ancor viva in seguito all’azione luminosa, vengono in appoggio alla teoria di un processo fotochimico: così il lento passaggio allo stato incolore della sostanza rossa, che si vede nella retina non illuminata (imbiancamento della porpora visiva) e i microscopici passaggi del protoplasma pigmentato fra gli elementi senzienti, i bastoncini e i coni; infine le variazioni di forma degli stessi coni e bastoncini. I tentativi di collegare questi fenomeni ad una teoria fisiologica dell’eccitazione luminosa sono decisamente prematuri. È assai verosimile che colla differenza di forma dei due elementi, dei coni e dei bastoncini, si connettano anche differenze di funzione. Poichè precisamente il centro della retina, che è la regione della vista diretta dell’uomo, contiene soli coni, mentre nelle parti laterali predominano i bastoncini; e poichè inoltre nella parte centrale, dove del resto manca la porpora visiva, la distinzione dei colori è assai più completa che nelle regioni laterali, le quali sono d’altra parte più sensibili ai gradi di chiarore; vien naturale il supporre che queste differenze si connettano colle proprietà fotochimiche dei coni e dei bastoncini. Ma anche qui manca ancora la dimostrazione.