"i personaggi â a partire dal protagonista â che compaiono nel libro sono perlopiù inventati; e inventate sono molte scene che tra essi si svolgono... [per poi specificare ciò n.d.a. ] che ai curatori del volume sta più a cuore: la pubblicazione della vertenza che ha permesso allâex Cdf [Consiglio di fabbrica, n.d.a.] Alucentro di opporsi allâennesimo scambio di posti di lavoro con ammortizzatori sociali". (36. Cerasi E., Quando la fabbrica chiude, Marsilio, Venezia 1994).
Câè da chiedersi, visto lâimportante obiettivo dei curatori, per quale ragione si fa ricorso a personaggi inventati, quando si poteva ricorrere ai protagonisti reali. Personaggi inventati possono facilmente portare a storie inventate, che mirano a imporre un punto di vista. Non si può mettere in discussione (si dovrebbe farlo?) la buona fede, ma la verità che può emergere dal testo di Cerasi non rende giustizia alle capacità del giovane e promettente scrittore. La mia analisi critica si fonda su alcuni assunti. Il primo: non è affatto vero che la storia sindacale di Porto Marghera sia la storia dello âscambio di posti di lavoro con ammortizzatori socialiâ come è detto nel romanzo. à un giudizio ingeneroso, ad esempio, contro la storica lotta dei lavoratori della Sava, che con oltre 800 ore di sciopero seppero conquistare, già oltre ventâanni prima della vertenza Alucentro, alternative produttive alla chiusura della fabbrica, con la costruzione di nuove aziende. Lo stesso può dirsi per la lotta, a metà anni Ottanta, dellâAlluminio Italia di Marghera. à ingeneroso verso le lotte che migliaia di lavoratori per lunghi anni hanno sostenuto per la creazione di nuove attività e non certo per lâestensione degli ammortizzatori sociali. à ingeneroso verso coloro che in cassa integrazione hanno accettato di dedicarsi, come ripiego estremo e non certo come occasione festosa, ai âlavori socialmente utiliâ, per non perdere la dignità e lâidentità di lavoratore. A meno che Cerasi non voglia, invece, sostenere che i lavoratori volevano âbattersiâ per il lavoro e il sindacato si âaccordavaâ per ottenere ammortizzatori sociali. In realtà , quando le vertenze per la difesa dellâoccupazione minacciata si sono concluse senza lâacquisizione di alternative produttive e con il solo ricorso agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, prepensionamento, mobilità ), questo è dipeso soprattutto dalla indisponibilità (e dalla mancanza di un interesse) di gruppi imprenditoriali privati, come dimostra â ma in senso opposto â la stessa vertenza Alucentro. Non si dimentichi, poi, che dove è passata la logica dei soli ammortizzatori sociali (comunque una difesa di certe condizioni) si trattava quasi sempre di aziende sindacalizzate, prevalentemente di maggiori dimensioni e con capitale interamente o parzialmente statale e non di quelle piccole e private, dove la crisi aziendale portava semplicemente ai licenziamenti, lasciando ai lavoratori la sola possibilità di autotutelarsi. Ma cosa è successo allâAlucentro? Lâazienda di Porto Marghera, di proprietà dellâAlusuisse (la stessa multinazionale svizzera della vertenza Sava del 1972) produceva anodi per le celle elettrolitiche per la produzione di alluminio della Tlm, unâazienda dellâallora Iugoslavia collocata a Sebenico. Nel settembre del 1991 la guerra etnica in Iugoslavia fa cadere la Tlm sotto i bombardamenti. LâAlucentro perde il principale cliente e lâapertura della cassa integrazione diventa la prima conseguenza per i lavoratori di Porto Marghera. Per una fase non breve lâazienda funziona a regime ridotto nellâattesa di unâauspicabile ripresa produttiva della Tlm. Il conflitto in una Iugoslavia che si frantuma in più Stati non lascia ben sperare. à a questo punto che si pone il âche fareâ? LâAlusuisse intende chiudere completamente lâattività , i lavoratori e il Cdf si oppongono e chiedono di trasferire alcune commesse di lavoro dallo stabilimento del gruppo Alusuisse di Rotterdam a Porto Marghera. Il sindacato territoriale, invece, apre sul fronte delle alternative produttive, mettendo in risalto i pericoli di logoramento conseguenti a una lotta che aspirava a salvare impianti che non si sapeva se, quando e per chi avrebbero poi dovuto riprendere a produrre. Dice il protagonista inventato da Cerasi nel suo libro, come se fosse non inventato:
â... semplicemente si era aperta una diversità di vedute tra chi riteneva che si potesse ancora giocare qualche carta per impedire la chiusura dellâAlucentro e chi invece era del parere che la nostra lotta per il lavoro dovesse ricominciare dallâacquisizione del dato che la fabbrica era ormai inevitabilmente destinata alla chiusuraâ. (37. Cerasi E., Quando la fabbrica chiude, Marsilio, Venezia 1994, p. 82).
Questo confronto, con tratti anche molto aspri, si esplicitò in continue assemblee dei lavoratori dellâAlucentro, dove sempre prevalse la posizione del sindacato, nonostante la costante contrapposizione della maggioranza del Consiglio di fabbrica. Ma qual era la posizione sindacale? Nella relazione introduttiva al Comitato Direttivo della Fiom-Cgil veneziana del 26 ottobre 1992 si legge:
"Domani mattina saremo al Ministero del Lavoro insieme alla multinazionale svizzera Alusuisse. Dieci anni fa avremmo messo in campo tutte le iniziative per impedire la chiusura, poi alla fine â se isolati e senza essere riusciti a modificare le posizioni dellâazienda, cioè sconfitti â ci saremmo âaccontentatiâ degli ammortizzatori sociali. Oggi, almeno per me, ciò non è più possibile. Cioè se il Governo ci dirà : si chiude e per i 180 lavoratori sarà garantito il prepensionamento, la Cig, lâincentivo per chi sceglierà di andarsene, io sono per dire che tutto ciò da solo non ci interessa e che abbiamo bisogno di ottenere qualcosa di più e di diverso e cioè, da parte di Alusuisse o di altri, vogliamo in quellâarea nuovi investimenti e il Governo insieme con altri â la Regione, il Comune â deve fare la propria parte per questo obiettivo. Gli ammortizzatori sociali â accettati senza nullâaltro â significano la morte di Marghera". (38. Aiello A., Articoli, interviste, interventi, 1975-2004, Relazione introduttiva al Comitato Direttivo della Fiom-Cgil, 26 ottobre 1992, dattiloscritto).
Nel libro di Cerasi si legge anche una Postfazione di Giancarlo Fullin che può aiutarci nella comprensione dello scontro tra le due diverse linee politiche. Una lunga citazione:
Viene infine novembre [1992, n.d.a.] e la notte del 17 [in realtà è il 5 e non il 17, n.d.a.] a Roma, malgrado tutto e malgrado il voto contrario di otto dei nove lavoratori del comitato di lotta presenti, il sindacato sottoscrive lâaccettazione della chiusura dellâAlucentro [in realtà lâaccordo è stato âsiglatoâ e sarà sottoscritto solo dopo il parere favorevole dei lavoratori, n.d.a.] e lâinizio della cassa integrazione invece della mobilità [cioè licenziamenti, n.d.a.]. La mattina seguente i dirigenti sindacali si presentano in azienda di buonâora (sono rientrati in aereo) a presentare lâaccordo ai quadri del sindacato in fabbrica. Solo a fine mattina arrivano invece, in treno, i membri del comitato di lotta a spiegare le ragioni del loro rifiuto. Poche ore di differenza ma sufficienti perché il clima sia divenuto teso e sospettoso, e il giorno successivo [ il grassetto è mio] lâassemblea ratifica, sia pure a maggioranza, lâaccordo [solo dieci i contrari, n.d.a.]. (39. Cerasi E., Quando la fabbrica chiude, cit., p. 130).
Tutto questo non è sufficiente e dopo lâesito della votazione dellâassemblea «si apre (...) la fase più difficile dellâintera