–Come?—gridò mastro Jacopo.—Che cos'è questa novità?—
E guardava gli altri, frattanto, come se aspettasse da loro la spiegazione di quelle parole del Chiacchiera. Ma gli altri stavano zitti. Il Chiacchiera riprese il discorso per tutti.
–Ecco qua, maestro;—diss'egli;—si tratta d'un disegno che abbiamo fatto in tre, cioè io, persona prima, Cristofano Granacci e Lippo del Calzaiolo. Ce ne andiamo.
–Ve ne andate?—esclamò mastro Jacopo sgranando gli occhi.—E perchè, se è lecito saperlo?
–Anzi, è obbligo nostro il dirvelo;—rispose il Chiacchiera con aria di umiltà meravigliosa.—Quantunque, a dir le cose come stanno, tre lasagnoni, come siamo noi, tra fannulloni….
–È vero, perdiana!—interruppe mastro Jacopo.—Per la prima volta in tua vita, hai detto una verità.
–Eh, che volete, maestro? A furia di sentirle dire, s'imparano;—replicò il Chiacchiera, con ironico accento.—Ma vedete un po' che combinazione! C'è al mondo qualcheduno che non la pensa come voi, Agnolo Gaddi, per esempio, che sta a Firenze, e sarebbe disposto a prendere con sè Lippo del Calzaiolo; il Giottino, di Firenze, e il Berna, di Siena, che farebbero a spartirsi il nostro Cristofano Granacci.
–Ah!—esclamò il vecchio pittore inarcando le ciglia.—Quei tre valentuomini hanno posto gli occhi su voi?—
Cristofano Granacci e Lippo del Calzaiuolo risposero asciuttamente con un cenno del capo.
–Non me ne congratulo con loro;—ripigliò mastro Jacopo, poi ch'ebbe veduta la mimica.—Sentiamo ora, poichè non mi hai detto tutto,—soggiunse, volgendosi al Chiacchiera,—sentiamo ora chi sia disposto a prender te, succiaminestre!
–Oh, non vi date pensiero per me! Io vado dove mi pare. Il primo che capita, mi servirà. Che cosa si fa qui, alla fine? Si macina, si mestica, s'incollano i cartoni, si fanno le imbasciate, si apre e si chiude la bottega; insomma, un servizio da fanti, non una scuola da pittori. Scusate, mastro Jacopo; io sarò un succiaminestre, un mangiapane, tutto quel che vorrete, ma ho l'uso di chiamare ogni cosa per il suo nome. Che cosa ci stiamo a far qui? In che modo ci avete voi insegnati i principii dell'arte?—
Mastro Jacopo cascava dalle nuvole, a tanta audacia di discorso. Già era sul punto di mandarli tutti e tre al diavolo, per la più spiccia; ma le ultime parole, che racchiudevano un'accusa formale, lo toccarono sul vivo.
–Per l'anima di…—gridò egli, dando di fuori senz'altro.—Che cos'è quest'accusa che voi mi fate? Credete voi che l'arte s'insegni come il leggere, scrivere e far di conto? Bietoloni! Anch'io sono stato a scuola, e ricordo come insegnava Taddeo Gaddi, che a sua volta ricordava come insegnasse Giotto di Bondone. Macinavo, mesticavo, aprivo la bottega e la chiudevo, come voi; facevo le imbasciate del maestro, maneggiavo la granata, secondo il bisogno, e molto più che non maneggiassi i pennelli; insomma facevo ogni più umile ufficio come voi. Con questa differenza, per altro; che voi vi lagnate, ed io non mi lagnavo; che voi non intendete nulla di nulla, ed io cercavo di profittare degli esempi che avevo sott'occhio. Guardando ciò che il maestro faceva, io, bene o male, e mettete pure che fosse male, ho imparato a fare anch'io qualche cosa. Indovinavo, dov'era facile indovinare, e quello che non intendevo alle prime, chiedevo al maestro. È dei maestri il rispondere, non già il sapere da bel principio quel che si debba insegnare ai giovani. Avete capito, lasagnoni? Si può egli instillare per via di precetti quello che la natura dà all'uomo di cogliere dall'esempio quotidiano? Per precetti s'insegna la grammatica, non l'arte del dipingere. Ora, quale è stato il vostro costume, in bottega? Mi avete voi mai domandato come si facesse la tal cosa, o perchè si facesse la tal altra? Avete voi posto mai attenzione a ciò che facevo io? Non lo so; ma se bado all'esito, mi pare di poter dire che non avete guardato mai, come non avete mai chiesto. E allora, di che vi lagnate?—
Il Chiacchiera lasciò passare quella folata di parole, indi rispose:
–Oh, non a tutti i vostri scolari avete lasciato la cura d'imparare da sè.
–Non a tutti! Lo credo, io,—replicò mastro Jacopo.—Tuccio di Credi, per esempio, e Parri della Quercia, hanno saputo cavar profitto dei loro occhi. Perciò mettete pure che io, vedendoli più attenti di voi, li abbia consigliati qualche volta. Perchè non avete fatto come loro? Vi avrei consigliati ugualmente.—
Il Chiacchiera rispose all'argomento con una crollatina di testa.
–Non si parla di Tuccio, nè di Parri;—diss'egli poscia.—Si parla di Spinello Spinelli, del nuovo venuto, del vostro futuro genero. Quello è il vostro beniamino, mastro Jacopo, o ch'io non so più che cosa sia un beniamino. Vi capita in bottega con quattro scarabocchi, e voi v'innamorate subito di lui, come Cimabue s'è innamorato di Giotto.
–Benissimo detto; come Cimabue!—ripigliò mastro Jacopo.—Infatti, Spinello Spinelli meritava tutto quello che ho fatto per lui. Che ci trovate a ridire, voi altri?
–Nel vostro capriccio, nulla. Della sua pasta può far gnocchi ciascuno. Ma il modo!… Vedete? È il modo, che ci offende. Spinello Spinelli viene da voi con un fascio di tocchi in penna. Bellissime cose, degne di Giotto; lo ammetteremo anche noi, se può farvi piacere. Ma come va che tre mesi dopo la sua venuta a bottega egli passa avanti a Tuccio e a Parri, che sono con voi da tre anni? Come va che egli è già così addentro nel maneggio dei colori, da mettere il pennello nei fondi delle vostre composizioni?
–Nei fondi, l'hai detto tu, nei fondi!—gridò mastro Jacopo, con accento di trionfo.
–Eh!—ripigliò il Chiacchiera, che oramai era in ballo e voleva spendere il suo ultimo grosso; se non si trattasse che dei fondi!… Ma voi avete fatto assai più, mastro Jacopo. A questo pittor novellino, gli avete commesso un'opera di molta importanza, che era stata allogata a voi dai massari del Duomo.
–Ah, tu sai anche questo?—borbottò il vecchio pittore, un tal po' sconcertato.
–Sicuro, che lo so. Lo sa tutta Arezzo, lo sa.—
Mastro Jacopo si strinse nelle spalle.
–Ci ho gusto;—diss'egli,—Così non avrò più mestieri di dar la notizia a nessuno. Spinello si farà onore; questo è l'essenziale.
–Col vostro aiuto, maestro, non si dubita punto dell'esito;—ribattè gravemente il Chiacchiera.
–Che intenderesti di dire, manigoldo?
–Quello che voi avete già indovinato;—replicò l'impertinente scolaro.—Alle corte, qui c'è un salto troppo grande, per gli stinchi del vostro beniamino. Dai tocchi di penna all'affresco! E senza aver fatto nel frattempo nulla che meriti di essere osservato! Neanche una testa! Perchè noi—proseguì il Chiacchiera, riscaldandosi,—noi non gliel'abbiamo mica veduto fare, uno studio dal naturale, dal vivo! Se pure non vi piaccia di contare come uno studio dal vivo il profilo di madonna Fiordalisa!…
–Ah, ho capito!—esclamò mastro Jacopo.—Perchè non dirlo prima, che eravate gelosi? Ma io, vedete, mia figlia la dò a chi mi pare. E se anche avessi voluto romperle il collo con uno di voi, non mi sarebbe mica riescito di contentarvi tutti!
–No, maestro, disingannatevi, non siamo gelosi niente affatto;—rispose il Chiacchiera.—Siamo pieni di rispetto per madonna Fiordalisa, e fermi lì. Del profilo fatto dal vostro Spinello se ne parla ora, per dirvi, anzi per tornarvi a dire, che non era un ritratto. Spinello ha indovinata l'aria della figura e nient'altro. Se dovesse fare un ritratto, si troverebbe molto impacciato.
–Sì, sì, vecchia storia;—borbottò mastro Jacopo;—ed io v'ho risposto fin da principio che se Spinello vorrà fare un ritratto, lo farà, in barba a tutti voi, scimuniti!
–Non quello di madonna Fiordalisa, per altro:—ribattè il Chiacchiera, che trovava un gusto matto a contraddire il maestro.—Parri della Quercia e Tuccio di Credi, che stanno cheti come l'olio, vi hanno pur detto come e perchè un ritratto di madonna Fiordalisa non sia dei più facili.
–Ho capito, ho capito; ritornate in campo coi vecchi dirizzoni. Ma appunto per dar noia a voi altri, Spinello farà il ritratto della sua fidanzata, e voi resterete con un palmo di