Il campione giapponese, che intanto si era rialzato, cominciava a perdere certezze, provò ancora a colpire l’avversario senza riuscirvi e subendo i colpi sferrati da Raptor. Quando il robot alieno si accorse dell’esitazione del contendente, sferrò l’attacco finale, fece un balzo e con un calcio discendente in pieno volto lo ributtò al tappeto, finendolo, prima che potesse rialzarsi, con una serie di pugni che appiattirono la testa dell’automa nipponico come una lattina vuota.
La gente era impazzita di gioia e, mentre la musica risuonava dagli altoparlanti e lo speaker annunciava il nuovo campione del mondo, alcuni tifosi avevano sollevato Joshua portandolo in trionfo fino al palchetto sul quale si sarebbe svolta la premiazione. Accanto a lui, sui gradini più bassi, il ragazzo giapponese e quello italiano non riuscivano a nascondere la delusione dai loro volti. Joshua strinse la mano all’italiano congratulandosi con lui, poi mentre stringeva quella del giapponese, gli disse sorridendo tutto soddisfatto:
<<Lo schiaccerai nella prossima vita il mio robottino.>>
Il ragazzo andò a festeggiare col padre e col suo amico Lucas, che intanto lo aveva raggiunto incredulo fino al palazzetto. Avrebbe voluto portare anche il suo amico Raptor ma per ovvie ragioni dovette lasciarlo in auto. Tornò a casa felice, il suo sogno si era realizzato, aveva raggiunto il suo obiettivo, adesso, dopo una meritata notte di riposo, poteva concentrarsi sul problema degli alieni.
L’indomani, molti giornalisti andarono a trovarlo cercando di ottenere un’intervista, lui rispose volentieri alle domande che gli rivolgevano, voleva godersi il suo momento di gloria prima che qualcosa potesse rovinare tutto. La sua giovane età lo salvò dalle domande più maliziose e non dovette dare spiegazioni sulla forza della sua creatura, in fondo, anche se aveva vinto contro i migliori automi del mondo, lo aveva fatto senza creare sospetti e senza mostrare una superiorità schiacciante.
Nel pomeriggio finalmente lo lasciarono in pace, si recò quindi al capanno a trovare il suo amico robot per chiacchierare un poco. Raptor conosceva tutto del suo giovane amico potendogli leggere nella mente e quindi Joshua non aveva nessun problema a confidarsi con lui né si vergognava a chiedergli consigli ai quali il nuovo campione del mondo non si sottraeva, sfruttando la saggezza che l’enormità di dati nella sua memoria gli conferiva.
Si rese conto che nella sua vita gli era sempre mancata una figura come il suo amico metallico, non aveva fratelli e il padre e la madre erano spesso assenti, impegnati in attività mondane. Lucas era un bravo ragazzo e un ottimo amico ma non aveva mai voluto confidarsi con lui e non riusciva a spiegarsene il motivo.
Si era già fatta sera e Joshua, rientrando a casa, notò sul tavolo, sul quale la madre gli aveva preparato una cenetta veloce, un biglietto. I genitori gli comunicavano che erano andati fuori a cena da alcuni amici e che sarebbero rientrati a tarda ora, gli raccomandavano di cenare e di non andare a letto tardi.
<<Che cosa li hanno inventati a fare i cellulari?>> si domandò, visto che i suoi non li usavano mai.
Cenò velocemente, guardò un po’ di TV e se ne andò a letto ancora stanco dagli eventi e dalle emozioni del giorno precedente. Continuava a pensare agli avvenimenti di quel mese, a cosa fare per risolvere il problema degli alieni ma soprattutto a come liberare il suo amico dalla connessione senza rischiare di danneggiarlo.
Aveva chiuso gli occhi e stava per addormentarsi quando un rumore lo fece trasalire, sentiva dei passi molto lenti far scricchiolare il legno delle scale che conducevano alla sua stanzetta. Dapprima credette che fossero rientrati i suoi genitori poi, vista l’ora, pensò che fosse troppo presto. Un pensiero gli fece gelare il sangue nelle vene, si alzò di scatto dal letto, mise il cuscino sotto le lenzuola per far credere di essere ancora coricato, aprì la finestra e si nascose accanto alla scrivania. La porta si aprì lentamente, vide gli occhi luminosi del robot fissare il letto, stava per saltare fuori dal suo nascondino per correre verso il suo amico Raptor, quando un raggio laser fece esplodere il letto sollevando una nuvola di piume d’oca, fuoriuscite dal cuscino nascosto sotto le lenzuola.
Joshua si precipitò terrorizzato fuori dalla finestra, sul tetto di tegole e legno sottostante, corse verso il tubo di scolo della grondaia, si aggrappò, si lasciò scivolare fino al pianterreno e cominciò a correre. Vide il robot saltare dalla finestra per inseguirlo, ma le tegole, sotto il peso e l’irruenza di quel salto, si ruppero facendolo scivolare e precipitare giù dal primo piano. Il tonfo fece un rumore assordante, il robot rimase immobile e i suoi occhi luminosi si spensero. Joshua si fermò ad aspettare, vide che il robot non si muoveva e decise quindi di tornare indietro sui suoi passi.
Per un attimo aveva creduto che quel robot fosse il suo amico, ma adesso che lo vedeva bene alle luci dei lampioncini della sua villa, si era accorto che la mascherina non era quella in plexiglass che lui aveva incollato sul viso del suo Raptor, ma era come quella che si era rotta nel bosco.
<<Cavolo, ne hanno già costruito un altro>>, pensò contrariato.
Mentre sollevava la mascherina per aprire l’abitacolo del pilota, vide un altro alieno anch’esso vestito come il precedente, ma restò senza fiato nello scoprire che questa volta avevano imparato la lezione e avevano dotato il pilota di un casco e di cinture di sicurezza. Tentò il più velocemente possibile di slacciarle, ma non ci riusciva e il cuore batteva nel suo petto come un tamburo facendogli pulsare le vene della fronte e colorare il viso di rosso. Sarebbe voluto scappare ma era troppo tardi, gli occhi del robot si erano riaccesi e si sentì perduto.
Finalmente c’era riuscito, le cinture si erano aperte, lui aveva afferrato l’alieno e aveva cercato di alzarsi per correre via ma il robot lo aveva preso per il pigiama e non intendeva mollarlo, le parole del suo amico riecheggiavano nella sua mente:
“Con il comandante precedente la connessione non era buona, la sua mente non gli consentiva di allontanarsi oltre i venti centimetri.”
Si divincolò e allontanò la mano che reggeva l’alieno portandola il più distante possibile dal robot. Vide gli occhi dell’automa spegnersi ancora e il suo braccio metallico mollare la presa sul suo pigiama. Joshua fece un lungo respiro di sollievo e rimase ansimante in terra per riprendersi dalla paura.
L’alieno si agitava, scalciava e dava dei pugnetti sulla sua mano, decise quindi di metterlo al sicuro. Il ragazzo corse al capanno per cercare un posto in cui poter rinchiudere la piccola e ricalcitrante lucertola. Si ricordò del terrario in cui aveva tenuto dei serpenti che i suoi genitori gli avevano regalato da bambino e che lui aveva custodito gelosamente. Tolse il casco e i vestiti al piccoletto per evitare che qualcuno capisse la sua vera natura e lo infilò dentro il contenitore che aveva trovato su uno scaffale. Quell’essere verdastro saltava come fosse indemoniato, dava calci e pugni contro il vetro ma mai sarebbe potuto uscire dal robusto terrario.
Si guardò intorno, Raptor era sparito, provò a chiamarlo mentalmente e vide, attraverso i suoi occhi, il cielo pieno di stelle in quella splendida notte di fine primavera. Capì che lo stavano portando via, gli fece guardare attorno a sé per vedere in che situazione si trovasse e notò altri due robot che lo trasportavano tenendolo per i piedi e per le spalle.
<<Raptor, amico mio che sta succedendo?>> domandò sconvolto.
<<Mi hanno immobilizzato e mi stanno portando alla base, non riesco a muovermi.>>
<<Non riusciranno a disconnetterti da me finché sarò vivo. Cercherò di venire al più presto a salvarti.>>
<<No! È troppo rischioso, cosa può fare un ragazzo contro due robot?>>
<<Non lo so, tenterò l’impossibile, non ti porteranno via da me>>, disse quasi piangendo.
<<Dov’è la base? Dove si trova?>> domandò Joshua.
<<È dentro il lago al centro del bosco, dove ci siamo incontrati.>>
<<Maledetti, come