Tornò quindi vicino al robot per guardare da cosa fosse scaturita tutta quella luce e vide un oggetto luminoso, grande quanto una pallina da tennis, giallo e accecante come il sole, che fluttuava all’interno della sfera metallica. Toccò di nuovo l’involucro ed esso si richiuse riportando la penombra nel capanno.
<<Questa sì che è una batteria!>> urlò, sempre più esterrefatto dalla tecnologia degli alieni.
<<Questi alieni sono centinaia di anni più evoluti di noi>> pensò, richiudendo con un semplice tocco il petto del robot.
<<Devo riuscire a controllarlo>> disse, sedendosi sullo sgabello accanto al banco da lavoro.
Chiuse le palpebre e di nuovo vide ciò che gli occhi del robot continuavano a fissare.
<<Alzati!>> comandò.
Davanti all’immagine del soffitto cominciarono ad apparire dei segni, simili a geroglifici, che scorrevano in rapida successione, poi alla destra dei geroglifici apparvero delle parole, come se l’intero dizionario della lingua inglese fosse sfogliato. Passarono alcuni minuti, poi a un tratto, apparvero delle scritte e una voce di una tonalità così bassa da far paura, cominciò a risuonare nella testa del ragazzo.
<<Conversione linguistica effettuata.>>
<<Analisi dei circuiti completata.>>
<<Setup aggiornamenti nuovo comandante, eseguito con successo.>>
<<INMX1 pronto e in attesa di comandi. Definire modalità.>>
<<INMX1 è il tuo nome?>> chiese Joshua titubante.
<<Sì, comandante>>, rispose il robot.
Poi disse di nuovo: <<Definire modalità.>>
Il ragazzo restò un attimo in silenzio, perplesso, poi comandò: <<Elenca modalità.>>
<<Modalità riposo, modalità lenta, modalità veloce, modalità combattimento. Definire modalità.>>
<<Modalità lenta>> disse Joshua, provando a indovinare.
<<Da oggi il tuo nome sarà Raptor>> comandò il ragazzo, dopo aver riflettuto un istante.
<<Sì, comandante!>> rispose il robot.
Il giovanotto era sempre più incredulo ma, nello stesso tempo, sentiva una forza e una sicurezza che non aveva mai provato prima. Poteva impartire ordini solo col pensiero senza dover muovere, come una marionetta, un inutile robot col quale non poteva in nessun modo interagire.
Prese dal cassetto un foglio di un materiale azzurro simile al plexiglass ma molto più malleabile, ritagliò due rettangolini e li incollò sul volto dell’automa per ricreare la mascherina che si era rotta nel bosco e coprire la fessura sulla cabina di pilotaggio.
Poi volle metterne alla prova le capacità, ci pensò un attimo e comandò:
<<Si è fatta sera, accendi la luce Raptor.>>
Il robot si diresse verso l’interruttore e accese la luce. Joshua era sbalordito, non era necessario spiegargli cosa fare o comandare ogni singolo movimento, bastava impartirgli un ordine e lui lo eseguiva senza esitazioni.
<<Prendimi la mia bibita preferita>> disse, provando a impartire un ordine più complesso.
Il robot si diresse verso il piccolo frigorifero, lo aprì e prese una lattina di Coca Cola, tornò dal ragazzo e gliela porse con delicatezza. La connessione mentale era così profonda che Raptor poteva accedere a tutte le informazioni necessarie al completamento dell’ordine ricevuto, senza la necessità di ricevere chiarimenti o spiegazioni. Lo conosceva meglio della sua mamma e aveva un potere immenso. Il giovane gonfiò il petto e sorrise soddisfatto. Che cosa poteva desiderare di più?
Joshua cominciò a fantasticare su quello che avrebbe potuto fare col suo nuovo amico, pensò al torneo e a come avrebbe potuto vincerlo con facilità. Non avrebbe voluto usarlo, perché pensava che non sarebbe stato leale nei confronti degli avversari, poi, ripensandoci, arrivò alla conclusione che fino a quel momento, lottare contro le multinazionali della Robotica, agli immensi fondi di cui disponevano e agli innumerevoli scienziati che ogni giorno lavoravano per creare robot sempre più evoluti e potenti, non era stato per niente leale e gli era valso numerose e umilianti sconfitte. Adesso aveva la possibilità di riscattarsi e ripagarli con la loro stessa moneta.
Mentre pensava a cosa avrebbe potuto fare col suo nuovo giocattolo, si rese conto che suo padre e sua madre gli avrebbero fatto delle domande e avrebbero voluto delle spiegazioni, doveva inventarsi qualcosa per giustificare l’esistenza del nuovo robot e doveva farlo in fretta prima che i suoi genitori tornassero a casa.
Continuò a pensare a tante possibili soluzioni, ma gli sembravano tutte poco plausibili, finché ebbe una folgorazione. Afferrò il telefonino, chiamò il suo amico Lucas Martin e gli disse di correre da lui perché erano successe delle cose incredibili che non poteva spiegare per telefono.
Lucas arrivò di corsa dopo alcuni minuti, per fortuna abitava vicino. Joshua gli spiegò per filo e per segno quanto era accaduto nel bosco, gli mostrò l’alieno nel barattolo e gli diede una dimostrazione delle capacità del nuovo robot. Gli spiegò il motivo per cui non si era rivolto alle autorità, poi gli chiese di aiutarlo nel fornire una spiegazione ai genitori.
Studiarono un piano perfetto. Avrebbero detto che il robot apparteneva a Lucas, che non era riuscito a iscriverlo alle qualificazioni del torneo in tempo e che quindi, essendo migliore del robot di Joshua, glielo avrebbe prestato volentieri. La loro versione dei fatti sembrava abbastanza credibile poiché il padre di Lucas, che era un milionario a capo di una multinazionale e un senatore, compensava la sua continua assenza e lo scarso interesse per suo figlio e per la famiglia con costosi regali. Il padre del piccolo inventore non avrebbe mai chiesto conferme al padre di Lucas perché tra i due non correva buon sangue per una vecchia questione di confini della proprietà.
Aspettarono insieme l’arrivo dei genitori di Joshua, definendo nel frattempo alcuni dettagli e seppellendo il corpo del piccolo alieno nel terreno vicino al capanno per evitare che potesse essere trovato da qualcuno. Lucas era riuscito a strappargli la promessa che, se ce ne fosse stata la possibilità, avrebbe procurato anche a lui un robot alieno.
Quando il padre del piccolo genio giunse al capanno per cercare suo figlio, i ragazzi gli raccontarono la storia che avevano inventato. Il genitore non ebbe difficoltà a credergli, anzi ringraziò Lucas per il pensiero gentile e gli chiese di ringraziare anche suo padre che aveva acconsentito al prestito. Sembrava contento per suo figlio che dopo tante umiliazioni aveva finalmente un buon robot per il torneo.
Joshua ordinò mentalmente a Raptor di mettersi in modalità riposo e uscì dal capanno insieme al padre e all’amico, si salutarono e ognuno si diresse verso la propria abitazione. Giunto in casa raccontò anche alla madre la storiella del prestito. La donna, che era più smaliziata del marito, era perplessa e cominciò a fare un sacco di domande. Voleva sapere per quale motivo la famiglia di Lucas avesse acconsentito al prestito, considerando che la possibilità della distruzione del robot non era per niente remota. Il ragazzo spiegò che il giocattolo del suo amico era fortissimo e che mai sarebbe stato distrutto e se malauguratamente ciò fosse accaduto, lo avrebbe ripagato lui con i suoi soldi.
I genitori che erano stati dei poveri operai e che dovevano al proprio figlio l’improvvisa ricchezza, di fronte a quelle parole si ammutolirono riconoscendo che Joshua non era uno sprovveduto, ma aveva dato sempre dimostrazione di avere la testa ben piantata sulle spalle nonostante la giovane età.
Cenarono e andarono a letto. Joshua non riusciva a prendere sonno, continuava a ripensare a ciò che era accaduto, alla responsabilità che si era preso nel non avvertire le autorità. Pensava alle conseguenze