I ragazzi, per quanto spaventati, accettarono, sperando che si sarebbe trattato di poco tempo.
Rotha guardò fuori e vide gli Khmer Rossi allontanarsi dalla loro capanna per controllare un’altra famiglia, e non ne vedeva altri nelle vicinanze.
“Svelto, Ravuth! Vai tu per primo” sussurrò lei.
Ravuth scese cautamente gli scalini e percorse di corsa la breve distanza che separava la loro casa dalla giungla. Si nascose quindi dietro un gruppo di alberi, e si guardò indietro in attesa del fratello.
Vide Oun ai piedi degli scalini, ma verso di lui si stava dirigendo un soldato, che si fermò accanto al fratello. Il ragazzo agitò il fucile verso Rotha e Tu, ordinando loro di scendere immediatamente. Il cuore di Ravuth batteva all’impazzata quando si nascose dietro il largo tronco dell’albero.
Le grida degli Khmer Rossi svanirono, quindi Ravuth sbirciò da dietro l’arbusto. Vide la madre, il padre e il fratello venir condotti verso la capanna comune. Si rese conto di non essere stato visto, quindi costeggiò il villaggio, nascondendosi grazie agli alberi e alla vegetazione della giungla per osservare ciò che stava accadendo all’interno dello stesso.
I compaesani restarono nella capanna comune per un’altra ora prima di uscire e aggirarla.
I soldati selezionarono quattro anziani dal gruppo di persone. Ravuth sperò che li avrebbero fatti restare al villaggio. Pensava che si sarebbero potuti prendere cura di lui fino a quando i suoi genitori e Oun avrebbero fatto ritorno.
Sul viso del comandante si fece strada un ghigno quando i suoi soldati spinsero i quattro anziani a terra e spararono loro alla testa.
Gli abitanti urlarono dalla paura mentre gli Khmer Rossi puntarono i fucili sulla folla caduta nel panico e urlarono “Fate silenzio o morirete!”
Il comandante si rivolse alla folla “State zitti!” Esclamò, e attese fino a quando ebbe la loro completa attenzione. “Queste persone erano così vecchie da non poter produrre nulla per l’Angka. Le loro vite non portano alcun beneficio all’Angka e le loro morti non sono una perdita”.
I paesani, tremanti e spaventati, sembravano degli avviliti rifugiati. Incespicarono lungo il tragitto che portava a Koh Kong per unirsi all’esodo della popolazione rastrellata e destinata ai campi di lavoro.
Gli Khmer Rossi lasciarono che gli abitanti portassero con sé i loro miseri averi, che avrebbero sottratto loro alla fine del viaggio.
Restarono solamente due soldati. Ravuth li guardò trascinare il cadavere di Dara dalla capanna comune, gettandola insieme agli altri. Presero poi una tanica di benzina dal capanno in prossimità del generatore, e ne versarono un po’ sulle abitazioni e sui cadaveri. Ridacchiarono nell’appiccare il fuoco, incendiando le capanne e incenerendo i corpi. Quegli assassini senza pietà erano adolescenti, che non mostravano alcun tipo di rimorso per le loro azioni. Un soldato si divertì a colpire con un bastone le teste dei cadaveri ardenti, e alzò lo sguardo sulla vegetazione della giungla quando captò un movimento. Urlò qualcosa a un suo commilitone, il quale imbracciò il fucile e corse verso il nascondiglio di Ravuth, fermandosi però sui propri passi.
“Te lo sei immaginato. Qui non c’è nessuno” disse il giovane.
“Sono sicuro di aver visto qualcuno” disse l’altro con fare indignato.
“Vuoi addentrarti nella giungla per cercare meglio?”
“No. Non so cosa ci sia lì dentro, forse è un animale selvatico. Andiamo, raggiungiamo gli altri”.
“Okay. Perché hai paura, andiamo” lo prese in giro l’altro ragazzo. Si voltarono e tornarono di corsa al villaggio per seguire il resto della truppa.
Ravuth tremava. Indietreggiò ulteriormente nel fitto sottobosco. I militari degli Khmer Rossi erano arrivati solo a qualche centimetro dal suo viso.
Ravuth ritornò al villaggio al tramonto, avendo troppa paura di muoversi nel caldo opprimente del giorno. Era stordito, confuso e assetato. Avanzò nel villaggio deserto, oltrepassando i cadaveri fumanti, e raggiunse la propria casa. Nonostante gli Khmer Rossi avessero incendiato diverse capanne e quella comune, l’abitazione della propria famiglia era rimasta relativamente incolume. Quando entrò apprese che non era rimasto molto, in parte perché l’abitazione era stata saccheggiata, e in parte perché era stato portato via dai suoi genitori. Ravuth si accovacciò e si mise a piangere. Restò nella propria casa per tutta la notte, domandandosi che cosa fosse successo e che cosa potesse fare. Quando giunse il giorno, la luce filtrò nella stanza, e il ragazzo vide la scatola fatta di foglie di banano fare capolino da un buco nelle assi del pavimento in un angolo della stanza. Si rese conto che i propri genitori avevano tentato di nasconderla dai soldati. Ravuth prese in mano la scatola e l’aprì. All’interno si trovava la strana pianta, insieme a qualche piccolo articolo di bigiotteria sotto alle fotografie della sua famiglia. Estrasse quindi le foto, e con le lacrime agli occhi le accarezzò una a una, chiedendosi che cosa fosse successo ai propri cari.
Ravuth si sentiva solo, impaurito e confuso. Ripose le foto nella scatola, uscì dalla capanna e si aggirò nel villaggio in cerca di cibo, acqua o oggetti utili rimasti. Oltrepassò i macabri resti, andando di capanno in capanno e raccogliendo quanto di valido. Trovò un machete, mangiò, e bevve un po’ di acqua. Avvolse i resti di cibo in una foglia di banano e incanalò un po’ di acqua in alcune zucche da un contenitore raccogli-pioggia. La sua conoscenza delle piante commestibili e delle fonti di fluidi gli avrebbe permesso di sopravvivere nella giungla. Ravuth prese la scatola, il machete e altri oggetti che aveva trovato nel villaggio, quindi lo attraversò, diretto verso la strada che portava a Koh Kong.
***
Ravuth avanzò nella giungla per due ore. Aveva percorso quella strada diverse volte con il fratello e il padre, ma nel momento in cui Tu raggiungeva la strada e procedeva in bicicletta insieme ad altri paesani, i fratelli facevano ritorno al villaggio. Uscì dalla giungla, inoltrandosi sulla strada a lui non familiare, camminando sul ciglio, nel caso avesse incrociato delle ronde di Khmer Rossi. La sua lunga camminata verso la periferia della cittadina fu senza sorprese, non vide né traffico né persone. Lungo il tragitto notò diverse case di legno distrutte e depredate.
Una volta raggiunta la periferia di Koh Kong, Ravuth proseguì verso il centro città, il quale era inquietante, data l’assenza di persone. Avanzò per qualche chilometro fino a quando arrivò alla baracca della polizia di frontiera. Si nascose dietro al capanno quando vide un soldato degli Khmer Rossi appoggiato alla recinzione costruita da poco, che delimitava il confine con la Tailandia.
I tratti apatici del bambino soldato installarono rinnovata paura in Ravuth. Si allontanò furtivamente dal posto di blocco e ritornò al centro città deserto. Ravuth entrò in un piccolo café abbandonato, e rifornì le proprie riserve di cibo e acqua con i pochi avanzi rimasti. Si accomodò per ponderare sulla propria situazione.
Giunse la notte, e Ravuth non aveva ancora deciso il da farsi. Udì un veicolo avvicinarsi. Terrorizzato, si nascose sotto un tavolo mentre un vecchio pick-up si fermò davanti al café in cui entrarono sei Khmer Rossi.
Ravuth tremava dalla paura, e restò immobile mentre i giovani soldati attivarono un piccolo generatore per illuminare il locale prima di accomodarsi. Ravuth si era nascosto sotto a un tavolo nell’angolo buio del café.
Un soldato aveva portato con sé diverse bottiglie di whisky Mekong, che consumò insieme agli altri.
Ravuth ascoltò i giovani Khmer Rossi vantarsi delle loro atrocità del giorno, di chi avevano giustiziato, descrivendone dettagliatamente il modo. Parlarono del loro bottino di guerra e di che oggetti avessero sgraffignato. Uno di loro disse qualcosa che stimolò l’interesse di Ravuth.
“Il mio gruppo è andato direttamente a *Choeung Ek, e abbiamo selezionato chi tra loro potrebbe diventare un giovane cittadino Khmer Rosso o un bravo combattente” disse.
“Oggi abbiamo