—Ma bisogna tener conto anche della accortezza di V. S.—questo diceva Marco ironicamente,—nel metter a parte di tutti i suoi segreti un uomo onesto come me… e affezionato! S'io non avessi saputo nulla delle speranze di V. S., dei pericoli che la minacciavano….
—Oh,—.disse il marchese,—lasciami mi po' di raccoglimento. La morte della principessa mi contrista… essa fa sempre buona per me… una martire….
E concedeva un vero rimpianto alla memoria della gentildonna.
—Ma ch'io possa far credere al mondo che ho una figlia… ecco l'idea da cui sono tutto ravvivato, ecco il punto da cui muove per me una vita, la quale avevo spesso sognato. Tutte le mie speranze risorgono col fatto da te compiuto. Ma chi sarà quella bambina: e quali saranno, fra poco, le sue avventure nel mondo?… Non ci diamo, per ora, pensiero di nulla,—disse il marchese cui tornava la sua solita spensieratezza,—per ora il meglio è assicurato…. Non mi resta che a rendere l'ultimo tributo di onore alla mia cara moglie.
Si alzò, assai soddisfatto, dal mucchio di macerie sul quale era caduto sì sconsolato.
Ora gli pareva esser altr'uomo.
—Mi hai detto,—esclamò, rivolto a Marco,—che il dottore Krag ti aveva dato per me una lettera…. Egli è partito?
—Un telegramma l'aveva richiamato sin da ieri a Vienna per una cura importante…. Di più, il dottore deve prender parte a una spedizione scientifica, che si reca in Asia e vi si tratterrà varii anni.
Mia moglie volle questo medico ad ogni costo…. Egli ha già ricevuto, prima di muoversi da Vienna, una somma cospicua: farà intendere che vuole dell'altro…. Dammi la lettera…. La leggerò con comodo.
—Eccoci a un altro punto serio,—disse con piglio solenne Marco e, nel tempo stesso, toccava familiarmente in un braccio il marchese, anzi glielo stringeva in modo da rinnovargli l'idea della sua forza erculea.—Io dirò a V. S. una cosa, che non le parrà strana…. Noi siamo associati in un'impresa commerciale!… Il capitale vivo è rappresentato da una bambina…. Chi lo ha fornito? E che dobbiamo sfruttare con questo capitale?… I milioni delle parenti della defunta principessa….
E Marco si tolse il cappello in segno di rispetto.
—Ora, io sono particolarmente interessato in questo affare; non posso permettere che il signor marchese…. che V. S… dissipi la mia parte; o possa negarmela. Io ho usato, dunque, di un mio diritto di socio in affari: la ditta è; marchese Piero di Trapani e Marco Alboni. Non se n'esce!
E le sue dita stringevano come tanaglie il braccio del marchese.
L'uomo nascosto tra le rovine non udiva queste ultime parole perchè, nel pronunziarle; i due si erano spinti un po' innanzi nel casolare.
—Ho usato, dunque,—proseguiva Marco,—del mio diritto. Ho aperto la lettera del dottore….
—Eh!—sfuggì detto al marchese.
—Sì, sì; e la lessi accuratamente…. Il dottore Krag vi annunzia la morte della principessa e della vostra bambina. Di quest'ultima descrive alcuni segni particolari: nota alcune gravi imperfezioni con cui era nata: indica le ragioni irrefragabili della sua morte…. Vi è poi qualche altra cosa…. Questa lettera è, insomma, la garanzia che, negli affari della ditta, marchese di Trapani e Marco Alboni, la parte di questo ultimo sarà rispettata.
Io voglio esser ricco, fra pochi anni,—disse in tono reciso
Marco,—al pari di voi: se occorre, più di voi!
—Ebbene, tu potrai far nascere i sospetti di una sostituzione di creatura: potrai nuocere a' miei interessi: potrai far sì che coloro, a cui la bambina fu rapita, e che l'ebbero sostituita con un piccolo cadavere, si risveglino, e vengano contro di me….
L'uomo nascosto strisciava fra le rovine come un rettile e facea sforzi incredibili per poter avvicinarsi a' due, senza che essi s'avvedessero della sua presenza.
E udì benissimo queste parole proferite dal marchese:
—Ma io ho sempre saputo custodire un altro segreto…. Io ti ho molto perdonato…. Non ho propalato che tu non ti chiami Marco Alboni, bensì Jacopo Scovatto e che sei stato condannato in Ancona a undici anni di casa di forza per una grassazione contro due operai, padri di famiglia…. Non ho mai propalato che tu sei fuggito; e ti rimangono a scontare alcuni anni della tua pena.
—Anche di questo bisogna tener conto,—interruppe, pensoso, Marco.—Però la lettera io non la restituisco…. I rischi della associazione così sono eguali. Tutt'e due abbiamo interesse a stare uniti….
E, a poco a poco, chiacchierando, si allontanarono.
L'uomo, sino allora nascosto, uscì dalle rovine. Aveva saputo abbastanza.
IV.
Il giorno appresso continuarono le feste nel parco del duca.
Enrica, mentre la mattina era nella serra, avea ricevuto una lettera, gettata nel grembo di lei da un fanciullo, che s'era poi dato a correre come un capriolo.
Sulle prime Enrica fu tentata di buttar via quella lettera senza aprirla: ma un forte presentimento la vinse.
La lettera era di Roberto Jannacone; egli le annunziava il suo ritorno; le dava convegno nel luogo più inaccesso del parco.
In quel luogo eravi un altissimo precipizio formato da due pareti rocciose, o in fondo di esse gorgogliava il mare.
Era stato gettato un ponte da una parete all'altra; un piccolo ponte di ferro leggero con bassa spalliera.
Molti e molti, a non dir presso che tutti, aveano paura di passar da quel ponte e preferivano di pigliar i viottoli più lunghi per arrivar dove voleano, anzi che andar da un luogo sul quale v'erano tante superstizioni.
Come luogo di convegno era scelto benissimo; nessuno avrebbe disturbato i due nel loro colloquio.
A Enrica, nel legger quella lettera, che conteneva espressioni di tanto amore, ed era nel tempo stesso sì imperiosa, avvampò il volto di sdegno.
Costui la credea proprio cosa sua; non nutriva ormai il menomo dubbio su' suoi diritti.
Ciò irritava la superbia di lei.
Parlò con Cristina e deliberò di andare al convegno; risoluta a ingannarlo, a perderlo, se occorresse, a far tutto, pur ch'egli rinunziasse a lei. L'altro vi si recava invece con l'animo che, magari il mondo dovesse perire, egli non avrebbe rinunziato ad essa.
Mentre le feste continuavano nel parco, Enrica e Roberto si trovarono presso il ponte, che era chiamato dell'Inferno: attorno a loro erano boschetti di alberi.
Si rivedevano dopo molti mesi.
Roberto era cresciuto di forza e di bellezza: aveva acquistato una certa eleganza.
Appena scorse Enrica, le mosse incontro tutto baldanzoso e soddisfatto.
Ma fu sorpreso di trovar Enrica in tale stato di abbattimento, d'aspetto sì cagionevole: sì fredda e altera.
Le parole d'entusiasmo gli si gelarono sul labbro.
Enrica si reggeva appena in piedi.
Senza quel convegno, ella si sarebbe già coricata.
—È questa l'accoglienza che mi fai,—disse il figlio di Cicillo Jannacone,—dopo una separazione sì lunga…. Non ti ricordi ciò che mi dicesti nel momento della mia partenza?…
—Mi resta poco da vivere, Roberto,—incominciò, dissimulando, Enrica.—Io non posso più esser la moglie d'alcuno: sono gravemente ammalata. Mi ami tu?
—E