— Non c'è altro? — disse Raimondo.
— Mi pare che basti.
— E tu non potrai chiedere la sua mano, capisco. Ma se un altro la chiedesse per te? Io, per esempio. —
A quella uscita improvvisa, l'Aldini balzò sulla scranna.
— Spero bene che non lo farai; — diss'egli concitato.
Ma quell'altro non si scompose punto; anzi, guardando placidamente in viso l'amico, ripigliò:
— E se lo avessi già fatto?
— Tu? — gridò Filippo, impallidendo.
— Io, sì; che ci trovi di strano? Più strano fu il tuo “non c'è male„, mentre io avevo avuto il piacere di vederti così animato nella tua conversazione con quella cara fanciulla. —
[pg!59] Infastidito da quel ricordo, e da altri ancora, Filippo Aldini crollava il capo e batteva le labbra.
— Rinfacciami sempre una frase disgraziata! — diss'egli. — Dovevo rispondere che è un sole? che è un angelo?
— Eh, perchè no? L'avevo ben detto io, che pure amo mia moglie, e non conosco altra donna da metterle in paragone; potevi dirlo tu, che sei libero. —
Filippo rimase un tratto in silenzio, cercando argomenti che non volevano lasciarsi trovare. Infine, di guerra stracco, girò di fianco il punto difficile, ritornando alla sua prima linea di difesa.
— Sei curioso, col tuo modo di ragionare! — riprese. — Orbene, se pure avessi pensate tutte quelle belle cose, dovevo io dirle, lasciando scoprire Dio sa che orgogliose intenzioni? Dovevo in quella vece pensare che sarebbe stato un errore avanzarmi nella regione dei sogni. E mi son castigato, se mai, di un sogno pazzo, come quello che tu vorresti fare per me. Ma ti pare? Io, non sospettato finora, non sospettabile di calcoli così vili?... Dunque ti prego, Raimondo, non mi parlar più del tuo sogno, e tralascia i buoni uffici che vorresti fare per me.
— Ti ho detto che ho già aperto il fuoco.
— Con lei?
— Con lei, no, con sua madre. Ma, per quello ch'io ne so, dev'essere tutt'uno.
— Tutt'uno! Che cosa ne sai?
— Questo, che la signora Eleonora ti vede di buon occhio, e ti stima moltissimo; intendi? moltissimo; è [pg!60] stata la sua parola. E aggiungo che la signorina Margherita ti ha lodato come un cavaliere compito, il primo ch'ella abbia ancora conosciuto, per ingegno, per cultura, per serietà, per buon gusto; e ti fo grazia del resto. —
Filippo si era lasciato andare, come sfinito, contro la spalliera della scranna; aveva arrovesciato il capo, e ad occhi chiusi meditava. Che cosa? Forse le parole di Margherita; forse la gravità del suo caso. Ah, quel prepotente Raimondo! faceva come voleva, senza chieder permesso, senza avvisare, e metteva lui negl'impicci.
Intanto, il prepotente Raimondo proseguiva la sua narrazione.
— Tornando alla signora Eleonora, le ho parlato a cuore aperto, esponendole la mia idea. S'intende che non potevo darla intieramente per mia, e che dovevo lasciarla credere un po' tua, anzi molto tua. Se ho fatto male, se ti ho compromesso, accoppami, o perdonami; ti lascio la scelta. Ma tu lasciami aggiungere che la madre è tutta per te; l'hai conquistata, pare. La buona signora, che tutti credono così orgogliosa, così piena di sè, è nel fatto una donna di gran buon senso, semplice di gusti e dotata di un ottimo cuore; non mi ha fatto altra osservazione che questa: “bisognerà parlarne a mio marito; ogni cosa dipende da lui„.
— Ah, vedi? — gridò Filippo scuotendosi. — Ecco qui, dove incomincia il difficile. —
Raimondo gli rispose a tutta prima con una spallata.
— Ma che difficile! — soggiunse poscia. — Che difficile mi vai tu sciorinando? Conosco l'uomo; è ragionevole, un vero filosofo, e pensa che la boria dei quattrini [pg!61] va lasciata agli sciocchi. Figùrati che al suo paragone io sia un mostro di superbia. Egli dunque non farà questione di denaro, te ne sto io garante. E poi, che si canzona? un partito come te non si trova ad ogni cantonata. Non ne convieni? Hai torto. Lascio stare la tua persona, per non offendere la tua modestia; le tue doti morali, non le vuoi mettere in conto? E il tuo titolo, che ha pure il suo prezzo? Non sei ricco; ma sei pieno d'onore. E poi, che cos'è questa ricchezza? Da dove si comincia a calcolarla? Tu hai finalmente dugentomila lire al sole.
— Dugentomila! — ripetè Filippo, tentennando la testa.
— Al quattro per cento, sicuro; — replicò Raimondo. — La tua piccola tenuta non ne rende forse ottomila? E ancora, se Dio vuole, sarà governata alla diavola, sfruttata in prima mano dal fattore, e in seconda mano dall'agente. Ci campano tutti, e non migliorano il fondo. Questo, frattanto, vigilato un po' meglio, può rendere dieci, dodicimila lire; ed allora tu ne possiedi trecentomila, sempre al quattro per cento. Potrai dunque garantire la dote di tua moglie, se, puta caso, la batterà dalle dugento alle trecentomila. Meglio ancora; quella dote, da uomo serio, tu non la sciupi; puoi convertirla subito in terre, allargando, raddoppiando il tuo fondo. E se ciò non basta, se la dote è più vistosa ancora, non sono qua io per far fronte?
— Tu? — disse Filippo, arrossendo fino alla radice dei capelli.
— Io, sì, io che son ricco, e per una volta tanto me ne voglio vantare; io posso aggiungere che tu hai, [pg!62] depositate al mio banco, centomila lire in cartelle di rendita.
— Una bugia! — esclamò Filippo, torcendo le labbra.
— No, caro; dipende da me che sia una verità. Tu non conosci l'amico tuo, lasciatelo dire; non sai fin dove, al bisogno, egli porti l'amicizia, e come la intenda. Ti parlo solenne, vedi? Ma tu mi trascini pei capelli. Sono senza figli; Dio non mi ha concessa questa felicità.... se pure si ha da crederla tale; — soggiunse Raimondo, cercando consolazione dove poteva; — e poco sarebbe per me il perdere quella somma.
— Non permetterò che tu ne corra neanche il pericolo.
— Ma non la perderò; — riprese Raimondo, — poichè rimarrà nella mia cassa forte. Se tu m'annoi, bada, dirò che il tuo deposito è di dugentomila. Infine, senti, non mi far pena coi tuoi rifiuti, più orgogliosi che tu non pensi, più orgogliosi del sogno che non osavi fare, e di cui ti volevi castigare. Voglio il tuo bene; voglio vincere; Margherita è un angelo, e deve esser tua. Sono impegnato, dopo tutto; che figura farei, se dovessi rimangiarmi quello che ho detto? Sii ragionevole, amico; obbedisci a chi ti ama, e non lo far passare per un burattino. —
Filippo Aldini era stato lungamente zitto, come oppresso da quella valanga di ragioni, di esortazioni, di prepotenze. Ma bisognava rispondere qualche cosa; Raimondo era in attesa, smanioso, incalzante, con la tensione dello sguardo e col fremito delle labbra.
— E allora.... — chiese Filippo, esitando, — dirai alla tua signora....
[pg!63] — Che c'entra lei? — gridò Raimondo, inarcando le ciglia dallo stupore.
— C'entra benissimo; — rispose Filippo, questa volta con accento più risoluto, staccando le frasi e battendo le sillabe. — La moglie è ricca di ciò che possiede il marito. E tu dovrai dirle che mi vuoi far ricco d'una parte, sia pur piccola, del tuo, e che io ho accettata l'offerta. Che cosa penserà ella? Che io sono un matricolato furfante, entrato destramente nelle tue grazie, in veste di amico sincero, coll'idea di accostarmi alla cassa. Infine tutto ciò che dovrei fare per compiacerti, mi diminuisce nella mia propria stima. Come oserò andare dalle signore Cantelli, dopo quello che hai detto alla signora Eleonora? Come oserò mettere ancora il piede in casa tua, dopo quello che dirai alla signora Zuliani?
— Oh Dio! — esclamò Raimondo, che incominciava a sentirsi scappar la pazienza. — La signora Eleonora sa da me che saresti andato da lei, e mi ha mostrato di gradire assai la tua visita. Non puoi farne di meno, senza passare per uno screanzato. Quanto allo scrupolo che hai per la mia cassa, siccome è una probabilità molto lontana