Il ponte del paradiso. Anton Giulio Barrili. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Anton Giulio Barrili
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066071240
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questo non senza impeti di ribellione in fondo al cuore. O Dio, perchè una donna è troppo ricca, bisognerà dunque odiarla? Ma c'erano altre ragioni, purtroppo; tanti sono i fili che ci muovono, o che non ci lasciano muovere, ingarbugliandosi maledettamente tra loro, e togliendoci ogni libertà di operare. Dunque, nessun passo oramai, che non fosse per dare indietro. E per fortificarsi in quel duro proposito aveva fatto quest'altro ragionamento, che era una consolazione, in verità, ma una consolazione di dannato. Ebbene, diceva egli, l'ho veduta, l'ho ammirata, l'ho tutta raccolta in me, questa [pg!70] bellezza trionfante; le dedicherò un culto severo nel profondo dell'anima. E vecchio, gelato il sangue nelle vene, ma non offuscata nel cervello la memoria degli anni vissuti, potrò dire a me stesso con legittimo orgoglio: veramente son nato in un felice periodo della vita del mondo, che m'ha fatto contemporaneo d'una bellezza così nobile e cara.

      Niente più visite, adunque; ma dentro di sè gli pareva di essere diventato un altr'uomo. Avrebbe chiuso il suo cuore, lo avrebbe sigillato come una fiala di essenze odorose. Più nulla avrebbe concesso al mondo circostante, se non la parte più vana di sè; stoicamente chiuso ai profani avrebbe serbato il sacrario dell'anima sua dolorosa. La tristezza, infine, non nuoce; pari a certe acri sostanze, profuma e custodisce tutto ciò che involge e compenetra. Filippo ne aveva già conosciuto qualcheduno, di quegli uomini misteriosi, ai quali è custodia e nutrimento un celato dolore, e che, calmi nell'aspetto, cortesi senza condiscendenze alle altrui leggerezze, interamente padroni di sè medesimi, passano e lasciano sul loro cammino un tenue solco di luce, un bagliore incerto e discreto, che li rivela e li nasconde ad un tempo.

      Disegno triste e caro, per tanti giorni vagheggiato nell'anima, com'eri ad un tratto svanito? Raimondo voleva; Raimondo aveva mutato ogni cosa, disfatto il faticoso edifizio di Filippo in un soffio. Era il destino, e Filippo si lasciava trascinare dal destino. Aveva egli poi modo di operare diversamente? I due terzi della notte erano stati passati da lui a meditare, a combattere, a fremere di cento scrupoli, di cento rimorsi. Nessuno scampo, [pg!71] nessuna difesa; era il destino, che voleva così. Filippo se lo ripetè cento volte, dopo aver cento volte rivoltato per ogni verso il suo caso di coscienza. Non ci voleva oramai pensar più. E qui, o per istanchezza che sentisse, o per senno che avesse fatto, si addormentò finalmente.

      Si addormentò, dunque, ma il suo sonno non potè andare tant'oltre, che non fosse visitato da un sogno. Aveva meritato di farlo piacevole, dopo tanti contrasti; e veramente il suo sogno fu tale, ch'egli non avrebbe potuto desiderarlo migliore. Filippo era solo, tutto solo, in una barca senza vela e senza remo; e andava tuttavia, scivolava sull'onde verso il mare alto, a lume di sole mattutino, entro una massa leggera, trasparente, formata di rosei vapori, lasciandosi indietro un fitto velo di tenebre. Non si voltava a guardarle, quelle tenebre dense; le sentiva alle spalle, gravide di tempesta, sibilanti, piene di mostri, di gòrgoni e di chimere; e le cacciava col pensiero da sè, a grado a grado allontanandosi, sempre più immergendosi in quella nebbia rosata e luminosa, che attenuandosi via via gli faceva balenare allo sguardo i vaghi contorni d'una riva lontana. La barca scivolava, volava sulle spume, già era fuori d'ogni pericolo. Ma c'era egli stato, il pericolo? Egli non ne aveva, a dir vero, un'idea molto chiara.

      E la riva lontana si avvicinava, pareva correre incontro a lui, quanto più volava la barca prodigiosa sulle acque tranquille, senza aiuto di vela, senza impulso di remo. Già una forma gentile si disegnava tra quei tenui vapori rosati; si veniva condensando ad occhi veggenti in persona conosciuta; alzava il braccio, stendeva [pg!72] la mano per dargli il benvenuto, mentre una vocina soave, uscita dal suo labbro vermiglio, gli echeggiava per tutti i recessi dell'anima: “Ah, finalmente, ritorna il mio cavaliere?„

      Sì, ritornava a lei, così volendo il destino. E la barca, frattanto, appena toccato il lido incantato, spariva; ed egli era là, sulla spiaggia, preso per mano dalla gentile apparizione. Allora, per miracolo nuovo, il lido spariva a sua volta; ed egli e lei, tenendosi sempre per mano, muovevano leggeri leggeri sul verde smalto d'un prato, di tanto in tanto levandosi a piccoli voli, posando il piede a terra un istante per rivolare ancora, come due uccellini che alternassero capricciosamente i passi coi salti, e i salti colle volate, spensierati ed allegri, contenti di sè e dell'ora propizia, senz'altro desiderio che di sentirsi vivere. E si addentravano, così muovendo i passi e i voli, in una valle ampia, per lenti giri sinuosa tra due ordini di colline verdeggianti, lungo le rive d'un fiume, ora ristretto e gorgogliante tra scogli muscosi e macchie di ontàni e di càrpini, ora placido e disteso sui greti come una lunga fascia d'argento. Dal colmo dei poggi, frattanto, occhieggiavano al sole ceppi di case e castella; dalle alte ripe sassose ruzzolavano branchi di capre a dissetarsi nei tònfani; sulle vette dei pioppi inneggiavano i rosignuoli ai non contesi amori, alle gioie imminenti del nido.

      Ma egli aveva già veduta quella valle; la conosceva bene da un pezzo. Laggiù, sulla sua destra, quel monte solitario, sparso di casolari a mezza costa, non era lo Sporno? Più in là, sulla sinistra, quell'altro monte, erto [pg!73] e lungo, non era il Caio, giustamente superbo del suo nome romano, vestito i fianchi di pini e di cerri, il dorso di faggi, o le alte insenature di corbezzoli e di peri selvatici? Più oltre ancora e più su, non erano quelle le creste dell'Appennino, dalla rupe dell'Orsaro all'alpe di Succiso? E lì, poco lontano da lui, quelle folte siepi di biancospino, ben ragguagliate dal falcetto, correnti in lunghe file accanto alla strada, non segnavano forse i confini del suo lembo di terra? E le indicava, tutto felice, alla sua dolce compagna. “E qui il mio Lesignano; il vostro Montechiarugolo è laggiù da sinistra. Volete che ci andiamo? Anch'io lo vedrò volentieri. Ma quanto cammino fin là, e in terra non nostra, pur troppo! Bisogna che l'intervallo si colmi, non vi pare? Bisogna che siano unite le nostre terre, come sono unite le nostre mani....„ — “Sì, sì,„ gli rispondeva la cara voce; e una cara mano tremava nella sua.

      Bel sogno! bel sogno! Quanto era durato? Certo, a contenere le molte cose vedute, tutto il tempo ch'egli aveva passato dormendo. Si era destato, infatti, avendo ancora quella dolce visione negli occhi, e la sua destra ancor tiepida dal tocco della mano di Margherita. La giornata che doveva seguire, non sarebbe stata meno lieta per lui. Quella mattina andò al Danieli verso le undici, ora combinata per l'appunto colle signore Cantelli. Le trovò, che avevano finito di far colazione, essendosi volentieri adattate ad anticiparla un poco, per conceder più tempo alla gita che avevano disegnato di fare.

      La signorina Margherita fu lesta a mettere il suo cappellino nero alla spagnuola, dal nastro cremisi, sul ricco [pg!74] volume della chioma corvina, e a gittarsi sulle spalle il corto mantello di velluto, nero anche quello e con la fodera dell'istesso colore del nastro. Nero e rosso le andavano d'incanto. La signora Eleonora fu più lenta ad aggiustare intorno alle staffe dei suoi capegli grigi il cappellino chiuso, guernito di viole mammole, e a tapparsi con molta cura nella sua pelliccia di martora. Uscite col signor Filippo dall'albergo, passarono il ponte dei Sospiri, svoltarono dal palazzo Ducale a San Marco, e di là, per l'arco dell'Orologio, entrarono in Mercerìa, non già per rimanervi, a goder lo spettacolo, sempre nuovo della turba affaccendata e chiacchierina. Quel giorno andavano assai più lontano, e senza avere da dondolarsi in Laguna. Che piacere! Margherita amava far diverso, se poteva, dalle altre viaggiatrici: quelle in gondoletta per ogni piccola corsa; lei volentieri a piedi per le corse più lunghe. Che peccato non aver sempre al fianco una guida come il conte Aldini gentilissimo! Per quella volta, a buon conto, non mancando la guida desiderata, non c'era da temere di smarrirsi in quel labirinto di calli, di campi e di campielli, di fondamenta, di ponticelli: senza darsi pensiero della via da tenere, Margherita avrebbe osservata e studiata frattanto, di quartiere in quartiere, quella calca di popolino così gaio, così originale nella sua vivacità, e sentita bene quella sua parlata tutta vezzi e moinerie, arguzie di pensiero e carezze di suoni.

      Riusciti al ponte di Rialto, ed ivi passato il Canal Grande, scesero a San Giacomo, donde piegarono a sinistra per Campo San Polo. Laggiù era un altro viluppo di strade, con gran delizia della signorina Margherita, [pg!75] che rideva spesso e volentieri, quel giorno, dovendo fare, al cenno della sua guida severa, tanti giri e rigiri impreveduti, andare a sghembi come le saette, ficcarsi per cento viottole, varcare cento ponticelli minuscoli, e pensare frattanto, pensare con un vago terrore quante volte si sarebbero smarrite, lei e la mamma, se avessero dovuto fare quel curioso tragitto da sole.

      — Ci siamo; — disse Filippo, come furono nella contrada di San Giovanni Decollato. — Ella sarà un po' stanca, signora?