Teste quadre. Enrico Panzacchi. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Enrico Panzacchi
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Документальная литература
Год издания: 0
isbn: 4064066069476
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pretende universaleggiare questi fatti e li scambia, essi effetti, colle veraci ed alte loro cagioni. È questa la critica addottrinata, paziente, minuziosa, sottile, che si intende e si usa comunemente dagli ingegni mezzani, non senza profitto grande, a dir vero, finchè essi si rimangano ne' cerchi minori dello scibile, o meglio ancora, quando si associno all'opera degli ingegni eminenti e loro sgombrino la via degli impacci volgari o loro traducano ad applicazioni scienziali e pratiche le somme cogitazioni e discoperte. — Ed ecco che siamo venuti di conserva tratteggiando alcune qualità di tali ingegni eminenti: ma ciò veramente che fa il loro nerbo principale e li leva sulla comune, si è la potenza superiore della facoltà critica colla quale scrutando e giudicando la scienza anteriore e contemporanea, non solo ne rilevano i difetti parziali, ma sanno cogliere ciò che havvi di fondamentalmente difettivo in essa. Per tal modo gli ingegni mezzani correggono più che altro la forma: gli eminenti rimutano la sostanza, e da essa si versano ai corollari estrinseci, facendo correre un nuovo alito di vita fecondatrice per tutto l'albero enciclopedico.

      L'epoca del Rinascimento scientifico, che fu massimamente italiano, s'apre e si chiude con una falange numerosa di fortissimi ingegni: l'Aconzio, Leonardo da Vinci, il Porta, Telesio, Bruno, Campanella, Bacone da Verulamio, Cartesio e parecchi altri. Su tutti questi giganteggia, a nostro avviso, la figura di Galileo Galilei, perchè egli solo fra tutti questi possedeva in grado eminente l'ingegno critico per cogliere la vera magagna della scienza vecchia, e v'aggiungeva acutissima l'attività sperimentale e l'energia inventiva per inaugurare la scienza nuova. Vediamo nella storia come questa massima trovi conferma.

       Indice

      Mentre in Italia Galileo s'adoperava a restaurare definitivamente le scienze sperimentali, Cartesio in Francia intendeva al medesimo fine, massime nel campo psicologico. Questi, parlando di Galileo, ci mostra di non partecipare punto per lui all'ammirazione di Keplero e degli altri contemporanei. E non fa meraviglia. Per poco, di fatti, che si paragonino la fisica del turennese con quella del fiorentino, appare che le cagioni di dissenso fra loro due non potevano mancare. Il silenzio del Cartesio rispetto a Galileo e le sue scoperte, per cui si levava tanto rumore per tutta Europa, eccitava già mormorazioni e sospetti d'invidia, quando quegli si risolvè a dar fuori il suo giudizio. «Galileo in generale filosofeggia assai meglio dei volgari; respinge più che e' può gli errori delle scuole e s'adopera a conoscere i fatti fisici con ragioni matematiche. In questo mi accordo con lui e convengo che non vi ha altro mezzo per conoscere tal sorta di veri. Ma d'altra parte io trovo, che molto ancora gli manca, perchè esce di continuo in digressioni e non si ferma a spiegare quanto basta alcuna materia: ciò che mostra non averle egli tutte esaminate per ordine, e che lasciando di scoprire le prime cause della natura, e' s'è contentato di trovare solo le ragioni di qualche effetto particolare. Per la qual cosa egli ha fabbricato senza fondamento.»

      Il Cartesio accenna qui solo di passaggio e quasi sbadatamente ad uno dei pregi massimi della filosofia galileana; vo' dire l'applicazione delle leggi matematiche allo studio dei fatti naturali, pel quale fatto solamente la fisica potè costituirsi e mantenersi in dignità di scienza uscendo per sempre dalle fluttuazioni dell'empirismo volgare. Subito dopo viene innanzi coll'accusa al Galileo di non avere egli esaminate in ordine tutte fino ad una le materie scientifiche, e per non essersi rifatto dalla conoscenza delle prime cagioni. Questa accusa, è di gran momento, non perchè abbia in sè alcun saldo valore critico, ma perchè essa esprime un pregiudizio comune al Cartesio e a tutti gli scienziati del suo tempo: dirò di più, un pregiudizio, che pesò sulla storia intera della scienza, e ne impedì e ritardò pertinacemente i progressi. Questa censura dunque guardata coll'occhio della critica si risolverà nella attestazione del capital merito di Galileo, per il quale egli si leva sovrano di molte epoche, e si rivela come uno degli ingegni più benefici che abbiano mai avvantaggiati i progressi della scienza.

      Vincenzo Gioberti in un luogo d'oro della sua Protologia apre un capitoletto intitolato: Posizione della questione. Topotesia (Vol. I. 3.) Ivi è detto: «Il primo fondamento della scienza è di determinare e descriver bene i problemi. Quando il problema è mal posto non si può venire a capo d'una buona soluzione, ancorchè si disputasse in eterno.»

      Una vera ed utilissima teoria è questa senza dubbio; ed essa ne richiama un'altra non meno utile, non meno vera e trascurata affatto nelle trattazioni del metodo. Gioberti proclama l'importanza del collocamento o giacitura delle questioni in ordine al processo, o vuoi organismo scientifico di un libro, d'una disputa etc., e non avverte di far rilevare tale importanza di collocamento anche in ordine al tempo. Omissione non del Gioberti solo, ma in genere degli investigatori del metodo, che talvolta s'aggirarono intorno a tal concetto, ma o non lo colsero in pieno o non lo misero in quella luce, che merita. Ove alla Topotesia si fosse aggiunta la «Cronotesia,» quanti errori e divagazioni e ritorni faticosi, si sarebbero risparmiati al pensiero umano che su tante materie oggi si meraviglia e s'indegna di trovarsi, dopo viaggio di secoli, al punto donde s'era partito! — La Cronotesia è nient'altro che l'applicazione del massimo criterio della scuola storica a giudicare l'intimo movimento del pensiero filosofico e scientifico rispetto ai problemi, tanto psicologici che del mondo esteriore. La forza e importanza critica della Cronotesia appare formulando così:

      — Dato un problema scientifico in un certo momento delle civiltà, si domanda: il pensiero umano trovasi egli in grado di risolverlo, o in che termini può risolversi? —

      Ognun vede che rispondendo a tale domanda lo spirito scientifico viene come a concepire un adeguato concetto delle sue forze subbiettive e del progresso storico fatto in ordine a quel dato problema e de' mezzi estrinseci, che si posseggano, accomodati o no a risolverlo; tutte cose necessarie per tenere l'ingegno in un ambito di speculazioni proporzionate alle sue facoltà. Disgraziatamente l'antichità non conobbe questa maniera di cautela, la quale non è altro che una capitalissima legge di metodo. Essa, non consultando che il proprio desiderio di sapere, interrogò tutti i segreti della natura, affermò, negò, distinse, suddistinse, incastellando ingegnosamente una enciclopedia anzi tempo nata, che la forza della critica doveva in molte sue parti diroccare.

      Quando il popolo dice filosofo o sapiente, intende uomo, che sa tutto, e se è costretto a chiarirsi del contrario, fa le meraviglie. Questo concetto popolare esprime ancora al vivo la grande illusione dell'antichità: una volta che la mente umana si volgeva ad indagare il principio e l'esser delle cose, essa dovea rendersi ragione di tutto, e non v'erano limiti nè alle indagini, nè alla evidenza. Bastava porre un principio, perchè da quello si dovesse svolgere appuntino un sistema compiuto, esplicativo di tutto l'essere. Tale illusione era facile e direi quasi fatale, essendo proprio dell'ingegno umano ciò che gli aristotelici erroneamente attribuivano alla natura, vo' dire l'orrore del vuoto, e il vuoto in questo caso è l'ignoranza. Potentissimo nell'animo nostro il bisogno di conoscere su qualunque materia: quando poi si tratti di quelle nozioni, che si attengono al principio ed al fine delle cose in universale e dell'uomo in particolare, questo bisogno diviene irresistibile e vuol essere soddisfatto onde a ragione dice il Kant nella prefazione alla sua Critica della ragione pura, che l'uomo è destinato da natura a travagliarsi in perpetuo intorno ai problemi fondamentali dell'essere e della vita, avvenga che può. Manca una ragion vera? E' si appaga d'una imperfetta. Non vale l'ingegno? Entra in campo l'immaginazione, e avanti sempre.

      Quando noi ci andiamo figurando il quadro storico della scienza, ci pare di vedere il pensiero umano procedere laborioso, lento e circospetto accertando il noto e poggiando grado grado all'ignoto. Ma lo studio dei fatti ci mostra tutt'altro. Ad ogni tratto della lunghissima via quanti stacchi recisi, quanti salti, quante lacune lasciate addietro; come spesso si è precipitato a conclusioni lontanissime da princìpi appena intravveduti! — Talete, a modo d'esempio, osserva che nelle composizioni e nel dissolvimento degli esseri di natura l'umido ha parte costante, ed eccolo a conchiudere, l'acqua principio facitore e governatore di tutte cose. Ex aqua cuncta fingit. Parmenide vede il caldo e il freddo alternarsi confondersi, contrapporsi in natura con visibili effetti, e spiega tutto con questi due princìpi. Si tien conto del fondo comune che è negli esseri, ed eccoci alla unità immobile di quei d'Elea: nulla nasce e nulla muore. Si tien conto del movimento e mutamento