Tale ci appare in una miniatura sopra una tabacchiera di Monaldo: nessun sorriso, nessuna mollezza nelle austere sembianze: non sembra una delle graziose, voluttuose donne del secolo passato, ma un'antica matrona travestita.[1]
Alla festa di San Vito, protettore di Recanati, il conte Monaldo fissò per la prima volta gli occhi su la marchesina Antici e non seppe distorneli a lungo; la rivide a le feste del Corpus Domini e non pensò più che a lei, quantunque la sapesse promessa ad un conte Castracane di Cagli, del quale però si diceva ch'ella fosse tanto scontenta da voler riprendere la propria libertà. Monaldo andò senz'altro dal fratello della fanciulla, Carlo Antici, che era amico suo, e saputo con certezza ch'ella s'era già sciolta da la prima promessa, lo pregò di chiederle se avrebbe accettato lui per marito. Adelaide gli fece rispondere francamente ch'era stata domandata dal conte Borgogelli di Fano, il quale attendeva solo l'assenso e la donazione di una zia per combinare in modo definitivo il matrimonio, ella frattanto non poteva prendere alcuna decisione. Monaldo, innamorato, rispose: Aspetterò; e non aspettò molto, chè, malgrado un astio antico tra le due famiglie per ragione d'interessi, gli fu data la preferenza; di che i vecchi Leopardi non rimasero punto soddisfatti, ed ecco perchè. Quel tal conte Castracane era andato la prima volta a Recanati per conoscere Amalia, sorella maggiore di Adelaide, ma, veduta questa, s'era innamorato di lei e non aveva voluto più saperne della prima; la madre e gli zii di Monaldo avevano proposto a costui di sposare egli Amalia e, quantunque questa fosse, com'egli medesimo assicura, una carissima e amabilissima giovane, egli aveva rifiutato. Sentendo più tardi aver il conte chiesta la mano di Adelaide, si mostravano avversi a tale unione, ma nè il loro rifiuto ostinato e minaccioso, nè i gravi dispiaceri che gliene vennero, nè la tenuità della dote che il suocero gli fissò, mentre già gliene aveva offerta una maggiore per Amalia, lo smossero dalla sua decisione. La madre un giorno lo pregò con tanto calore di non sposare la marchesina Antici, da giungere ad inginocchiarsi dinanzi a lui per supplicarlo di cedere, ma egli rialzatala e postosi egli medesimo in ginocchio, le baciò la mano, confessandole che restava fermo nel suo proponimento.
Fissò di condurre la sposa a Pesaro, perchè ella non soffrisse amarezze e mortificazioni, entrando in una casa dove tanti non la volevano: ma compiute le nozze, mentre la carrozza attendeva già pronta, egli s'avvicinò ad Adelaide e le disse: — Andiamo a baciar la mano a mia madre. — La buona contessa, scordando ogni risentimento, abbracciò e benedisse la nuora, pregandola di ritornar presto, molto presto da Pesaro: e i due giovani, lieti di questa riconciliazione, passarono ne l'appartamento dello zio Ettore, il quale si fece loro incontro così frettoloso ed agitato, che essi, sapendolo vivacissimo, temettero chi sa che cosa.
— Dove andate?
— Veniamo ad usarvi un atto di rispetto e a baciarvi la mano.
— Dove andate partendo di qui?
— Partiamo per Pesaro.
— Oibò — replicò egli rivolgendosi a Monaldo — non sarà così: la vostra sposa appartiene ora alla nostra famiglia e voi non ce la toglierete. Andiamo dal decano, il quale sarà di un sentimento uguale. — (Così narra Monaldo stesso nel c. XXXIX dell'Autobiografia.)
Scesero con lui nelle stanze del decano, zio Pietro, che li abbracciò, piangendo di tenerezza e, ricordando l'opposizione sua al matrimonio:
— Il Diavolo — disse — mi aveva preso per i capelli, anzi per la perrucca, chè di capelli non ne ho più, — ed egli pure li pregò di restare.
Adelaide stringeva forte il braccio di Monaldo per indurlo ad acconsentire, egli interpretava invece quella timida preghiera come incitamento a non cedere e insisteva per partire; per troncare gl'indugi, lo zio Ettore senz'altro se ne andò da gli Antici ad annunziare che la pace era fatta, e ordinò di riporre i cavalli nelle stalle e la carrozza nella rimessa. Intanto Monaldo aveva avuto agio di conoscere il desiderio della sposa ed egli pure di buon grado, saputo di non far dispiacere a lei, acconsentì a rinunziare al viaggio. La riconciliazione fu sincera e la nuova contessa Leopardi visse poi sempre in perfetta armonia coi congiunti, amandoli ed essendone ricambiata d'affetto vero.
Educata severamente, Adelaide, prima del suo matrimonio, aveva passato la vita fra la casa e la chiesa, e quantunque il suo spirito, naturalmente vigoroso, fosse nato piuttosto per comandare che per obbedire, per forza di virtù e di consuetudine ella si era fatta mite, obbediente, modesta. Religiosissima, poneva innanzi a tutti gli altri i suoi doveri di donna cattolica, ma la sua non era la fede che riscalda il cuore e lo apre ai più divini affetti de l'indulgenza e de la carità, la fede che mantiene nell'anima un'alta serenità ed insegna ad amare; la sua era una fede rigida, tirannica e benchè, con la potenza della religione sincera, le desse forza e conforto nei più dolorosi momenti della sua vita, diveniva non di rado un tormento per lei e per chi le stava dintorno. Questa donna ultrarigorista, vero eccesso di perfezione cristiana,[2] per quel poco che si permetteva di pensare con la sua mente, ch'era tuttavia una mente aperta, ferma, acuta, andava in tutto d'accordo nelle idee col conte suo marito; anch'ella, come lui, era ciecamente ligia al passato; anche in lei i racconti dei profughi francesi capitati nelle Marche avevano inspirato il terrore, anzi l'orrore della rivoluzione. Ella e Monaldo del pari avevano accolte le convinzioni della famiglia, degli amici, della società aristocratica e clericalissima in cui vivevano; tutt'e due avevano alto concetto della propria casa; solo Monaldo pensava che a sostenerne il decoro occorresse lo sfarzo di una vita opulenta; ella avrebbe preferito un solido patrimonio, come quello della sua casa paterna. Rimasto orfano di padre, da bambino, Monaldo aveva ottenuto a diciott'anni dal governo pontificio l'amministrazione del suo patrimonio, e, quando s'ammogliò, aveva già sperperato somme non lievi, credendo di seguir così degnamente le tradizioni di famiglia e l'esempio dello zio marchese Mosca, principescamente generoso. Nel 1796 aveva speso mille scudi nell'armare, stipendiare e fornir di cavalli un milite per aderir all'appello di Pio VI ai sudditi contro i Francesi; nello stesso anno un trattato di matrimonio con la nobile Diana Zambeccari di Bologna, trattato ch'egli prima accettò e poi non volle più conchiudere in nessun modo, gli costò tanto, che i danni derivatine furono calcolati da lui ventimila scudi. Nel 1801 fece risorgere l'Accademia dei Disuguali, l'accolse in casa sua e ne sostenne le spese; nel 1802 si obbligò per cinquecento scudi in favore di un suo nemico.
Nel 1797 anche nelle Marche si accese la rivoluzione e in Recanati fu instituita una repubblica affatto democratica, che abolì la nobiltà e i suoi titoli e privilegi, e di questo e delle ruberie dei Francesi il conte Monaldo mostrò così vivamente e apertamente lo sdegno, che dal comandante della colonna francese, un tal Contavice, fu condannato a morte. Denari e amicizie autorevoli riuscirono a salvarlo, e questo suo pericolo fu potuto nascondere a la contessa incinta, che però poco di poi vide il marito arrestato e dovette passare giorni di orribile agitazione e di pianto. Dopo questo periodo di pene e di tristezze le sale del palazzo Leopardi, che già erano state liete nello splendore della vita fastosamente signorile, amata dal giovane Monaldo, e nelle gioviali compagnie raccolte intorno a la sposa, ritornarono lietissime, chè gaie voci infantili vennero a ridestarne gli echi.
Nel 1798 nasceva il primogenito, cui, come era di prammatica da secoli nella famiglia, venne posto il nome di Giacomo. Le inquietudini provate dalla sposa influirono dannosamente su la salute del bambino, che nacque delicato e gracile, benchè apparentemente sano e senza alcun difetto; un anno dopo veniva al mondo Carlo e un altr'anno di poi Paolina.
Par che la voce del suo primo nato risvegli in ogni donna un'anima nuova, l'anima della madre, un ignoto tesoro di amore, d'indulgenza, di sacrificio, un'anima pura ed elevata anche nelle donne che meno sono tali, un'anima che vive tutta nell'intensità del più caldo affetto umano. Ma quest'anima non si destò nella contessa Adelaide, che non conobbe le carezze infantili, la divina poesia per cui la madre sente il figlio vivere ancora della sua