«Ardisci! — Occupa i seggi vuoti: — un passo e basta.»
Si scosse all'avvertimento, — si guardò attorno lento e feroce a guisa di leone, non vide nessuno; — uno sgomento ineffabile lo travagliava quando, volgendo la testa dalla parte opposta della colonna, vide di contro a sè nella medesima posa atteggiato un uomo da lui singolarmente riverito e avuto in pregio.
«Siete voi, messere Alamanni?»
«Messere Doria, son io...»
«Ditemi, Luigi, come vanno le cose della patria?»
«Il mal la preme e la spaventa il peggio...»
«Ostinati che siete! ma e perchè non accordaste con Cesare quando ve lo consigliai a Barcellona? Perchè non aderiste ai miei conforti a Genova? — Avreste allora conservata, parte della libertà, la quale adesso avrete a piangere interamente perduta...»
«Prima, perchè, se le cose vanno male, non sono mica disperate per questo; — nè abbiamo deposto tutta speranza di vincere. Un'altra volta un imperatore vide le mura di Fiorenza; le vide, ma non l'espugnò...»
«Oh! allora non adoperavano come ora le artiglierie, che a tempo fisso disfanno le più solide torri, ed ogni più arduo impedimento rendono piano agli arditi assalitori...»
«Sì; ma ora, come allora, dietro le mura diroccate stanno altri muri — più gagliardi, — i petti dei cittadini...»
«Dio vi protegga, messere Luigi; così vi conceda le sorti favorevoli com'io ve le temo contrarie.»
«Ad ogni modo, i padri hanno creduto migliore partito essere tirannide intera che non mezza servitù: imperciocchè a questa a mano a mano si adattino le anime degli uomini; ed essendo della nostra natura abituarci a tutto quanto non riesce insopportabile, la mezza libertà converte in libertà intera, la vera libertà in desiderio, poi in languida speranza, finalmente, ogni vigore spento, la patria si addormenta al suono delle catene; nella tirannide per lo contrario intera v'ha fremito implacabile, guerra a morte tra l'oppressore e l'oppresso, — tra il tiranno e lo schiavo patto unico la morte; il tradimento, virtù; studio, la strage; il popolo incatenato può con le lacrime dell'ira, con i ruggiti della rabbia consumare le catene, — comunque di ferro; — il popolo assennato non romperà i suoi ceppi mai, — comunque di seta si fossero...»
«La tirannide, Luigi, può far piangere ai popoli un tal pianto che gli anni non valgano ad asciugarlo; può di tal piaga ferirli che gli anni si consumino invano a sanarla. La tirannide semina il deserto e la morte. Sentiste voi mai muovere rumore nei campi santi?»
«Sì, io ho udito fremere l'ossa negli avelli; — e i Greci a Maratona...»
«Voi siete poeta, voi; io poi, educato nella esperienza delle armi e dei governi, conosco a prova gli stati non reggersi con siffatti entusiasmi; — alle armi conviene opporre le armi; le parole, quando inferociscono i soldati, buone; senza i soldati, siccome sempre infelici, le più volte ancora contennende. Io quando dal ponte della mia galera, il guardo teso sul mare, scorgo da lontano le vele nemiche, già non conforto i miei compagni rammentando la virtù latina, le glorie liguri: e' non m'intenderebbero; addito loro le galere e dico: — Prodi uomini, voi lo vedete, il nemico ci stringe; il vento ha in filo di rota, e a noi riesce impossibile la fuga; nè voi d'altronde avete fuggito fin qui. L'armata avversa supera di un terzo la nostra, ma la nostra è munita senza pari, governata da voi, capitanata da me Andrea Doria soprannominato Buona fortuna. Su via, apparecchiate le armi: — vincendo, nostre diventeranno le ricche spoglie, nostri i riscatti dei prigioni, la gloria nostra; perdendo, diventeremo poveri e infami per aggiunta. — Ella è più agevole cosa rizzarsi in piedi all'uomo che se ne sta a sedere che non all'altro il quale giace lungo e disteso sulla terra. Male fece la vostra città ad avventurare così grossa posta; io per me penso che ne vada della morte o della vita...»
«Ormai, messere Andrea, cosa fatta capo ha, come disse Mosca Lamberti: e voi in ogni modo potreste provvedere...»
«E come, Luigi, come?»
«Francia è vuota di sangue e di danari. L'imperatore stringono la Riforma e il Turco. Il papa si assomiglia agli antichi cadaveri conservati nei sotterranei, i quali si sciolgono in polvere tostochè gli abbia tocchi la luce. — Italia! Italia! La regina dei popoli, — la donna coronata un giorno di torri, ora di spine... deh! non vi dolga che anco una volta io dica: — Ardisci... ti stanno presso i due seggi vuoti; — un passo e basta.»
«E' pare, un passo, — ma egli è un abisso: — io ho molto bene considerata la bisogna ed ho meco stesso disaminato se le mie gambe fossero potenti a sì gran salto; non venne anche il tempo. Adesso vi perirei, e meco perirebbero le speranze. Per un passo mosso invano davanti, conviene darne cento all'indietro...»
«Se voi soccombete, nessun nome potrà pareggiarvi nella fama; se vincete, la terra non contiene creatura da paragonarsi con voi.»
«A me non garbano queste virtù di sacrifizio, nè gli anni miei mi persuadono mettermi allo sbaraglio dentro fortune dubbiose e difficili; mia divisa è il trionfo. Altri si contenti uscire dal mondo bello di fama e di sciagura; — io voglio vincere. Nè mi consolerebbe nella caduta dovessi pure, precipitando, imporre il mio nome ad un mare.»
«A voi, come ad Icaro, non giungono nuove le vie del firmamento: — i venti vi hanno trasportato mille volte il nome di Andrea Doria»
«Quindi io di tanto più temo la fortuna avversa quanto fin qui mi si mostrava favorevole. La fortuna, siccome donna, ama i giovani, dice Gianiacopo Trivulzio, e dice bene: ed io son vecchio, Luigi. La tarda età forse può disegnare gli alti concetti, ma il tempo e il vigore le mancano per condurli a fine...»
«Cominciate, Andrea; — non è poi così povera questa nostra patria di anime generose da rimanere spassionate ai nobili esempi.»
«Non oso; repugno dal mettere in avventura l'ultima spanna di terra dove la speranza può gettare la sua àncora: non mi parrà serva affatto l'Italia, finchè io lasci Genova come una porta aperta alla libertà. Finchè gli italiani uomini potranno trovare in Italia una spanna di terra dove tendere l'arco, aggiustarvi il dardo e tôrre la mira al cuore della tirannide, ogni momento della sua vita potrebbe essere l'ultimo...»
«Messere Andrea, i poeti hanno nell'anima gran parte di Dio...»
«Lo dicono.»
«Prova ne sia che io adesso leggo i pensieri più riposti del vostro cuore, nè la carne che lo fascia m'impedisce più di quello che fosse acqua limpidissima di una fonte o di un lago.»
«E che cosa vi leggete voi?»
«Vi leggo, e apertamente vo' dirlo, che a voi piace parere più ch'essere grande; che il misero pensiero di ampliare la famiglia di potestà e scemarla di fama s'insinua tra i concepimenti magnanimi di cittadino e gl'impedisce di spandersi. La patria, piuttosto che amare, non odiate; la desiderate grande, ma perchè Giannettino e gli altri vostri nepoti della sua grandezza partecipino; non ardite avventurare il bene acquistato perchè ve lo siete fatto vostro...»
«Per Dio! se non fossimo qui dinanzi gli altari...»
«Mi uccidereste, — e non per questo avreste ragione...»
«Luigi, io non voglio sdegnarmi con voi. — Le vostre parole non mi recano oltraggio; — al vostro cervello perdona il vostro cuore; — mi conoscerete quando il tempo avrà umiliata o spenta la fronte che adesso si corona.»
«Pessimo è, a parere mio, quel consiglio che conta con la morte altrui, non con la vita propria. Questo desiderio di morte è come palla che gli uomini si rimandano dall'uno all'altro tra loro: — chi le darà l'ultimo colpo? No, lasciatemi, io vo' dire tutta ed intera la verità...»
«Va' via, importuno; i popoli mi hanno innalzato una statua, come a liberatore della patria...[88]»