L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Francesco Domenico Guerrazzi
Издательство: Bookwire
Серия:
Жанр произведения: Языкознание
Год издания: 0
isbn: 4064066069841
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di grandezza; tipo generoso in origine, tralignato quindi per tempo o per avvicendare di generazioni; — pareva un getto ricavato da forme sublimi, ma per uso consunto. — La fiamma del genio guizzò intorno a cotesta fronte, a guisa del fuoco fatuo sull'orlo dei sepolcri, — non vi posò, come lo Spirito sul capo degli apostoli nel giorno della Pentecoste. Il popolo, il quale non sa tanto addentro discernere, rimase percosso dalla nobile sembianza.

      Egli, spingendo oltre il palafreno, ad alta voce esclamò:

      «Chiunque di voi nacque italiano saprà chi fosse Pietro Capponi! Ora chi fra voi vorrà credere che io suo legittimo figliuolo, io Nicolò Capponi venga a frodare la gabella a un papa dei Medici?»

      Per avventura il Montauto, tra le bande della Repubblica Fiorentina militando, non solo aveva conosciuto l'illustre cittadino Pietro Capponi, ma essendo a campo seco lui sotto il castello di Soiana, lo sorresse ferito a morte nelle sue braccia; onde a quel suono adesso sentì commuoversi le viscere, e tocco da reverenza e da stupore si trasse indietro chinando la persona. I soldati, imitando quel moto, si scostano anch'essi: e agli ambasciatori fu fatta abilità di procedere liberamente per la via.

      Il popolo, mutando subito affetto e costume, innalza al cielo chi volle gettare alla riviera poc'anzi, e grida:

      «Viva Pietro Capponi! Viva Fiorenza!»

      I quali applausi crebbero poi all'infinito quando Nicolò Capponi e suoi compagni, messa mano alla borsa, gli gettarono dei pugni di fiorini: — non ebbero finalmente più modo allorchè, scavalcati alla prima chiesa che loro si offerse davanti, gli ambasciatori molto devotamente si recarono a ringraziare Dio del trascorso pericolo, e fatto chiamare a sè il rettore, gli consegnavano certa somma di danari affinchè provvedesse di convenevole dote due delle più povere fanciulle della cura.

       Indice

      Giunta l'aquila al nido ond'ella uscio,

      Possiate dir, vinta la terra e l'onde:

      Signor, quant'il Sol vede è vostro e mio.

      Annibal Caro, Sonetto a Carlo V.

      Voi lo vedete! I potenti della terra si cingono una corona di punte per avvertire i popoli ch'eglino intendono lacerare e ferire. Alcuni di loro, non so bene se io mi dica meno perfidi o più cauti, cuoprirono ipocritamente queste punte: chi con perle, come i conti; chi con gigli, come i re; chi con fronde di alloro, come gl'imperatori; ed altri con altro. Però badate, per andare coperte, le punte non cambiano natura; la tigre ha facoltà di rendere la sua branca gentile quanto la mano della vergine. Ma se un giorno le punte, volgendosi nella testa di quale cinge corona, restituissero a costoro il male che fecero altrui, se condizione di chi anela portarla fosse averne le punte confitte nel cranio; credete voi che si troverebbe per uno il quale volesse sostenere la corona appartenergli per diritto divino? E non pertanto, se a siffatti martirii non fossero serbati dalla eterna giustizia i tormentatori dei popoli, gli uomini lancerebbero contro il firmamento tale un grido che farebbe impallidire le stelle, tremare gli angioli nei loro sogli dorati, sospendere la ineffabile armonia delle sfere... gli uomini urlerebbero: — Il Creatore è tiranno!

      Io per me penso esistere nel mondo enti di così strana natura i quali invidiano il trono a Lucifero, quantunque di fuoco, i quali con animo lieto stringerebbero a scettro anche uno stinco della propria madre; e perchè no? Fu ambito il regno dove i principi si cingevano le tempie con la corona di spine, e i discendenti di Goffredo Buglione non abbandonarono Gerusalemme se prima non vennero cacciati dalla lancia ottomana.

      Corona di ferro! poichè, a guisa di Olla ed Oliba, le infami meretrici vedute dal profeta Ezechiello[76], ti lasciasti stuprare da contatto straniero, possi un giorno, priva di gemme sozza di fango, essere adattata per collare al collo di uno schiavo! — Tu sei stata infedele ai capi italiani, tu hai volato di capo in capo, come femmina rotta alla libidine insanisce negli abbracciamenti vituperosi; tu ti sei data a chi ti ha voluto prendere... Però, quando i popoli italiani risorgeranno alla vita di gloria, nessuno vorrà del tuo ferro per fabbricarsene un pugnale, tutti rifiuteranno il tuo oro per comporsene l'elsa della spada.

      Ah sacerdoti! — E voi che la prometteste allo straniero, e voi che faceste innanzi all'occhio di lui coruscare il lume delle sue gemme come un sorriso di donna lusinghiera, e voi che gliela poneste sul capo nel modo che altri spingerebbe la femmina comprata nel talamo lascivo... come vi chiamerete voi? La mia favella ha un nome per voi, ma le labbra non osano profferire l'oltraggio che avete le mille volte meritato.

      Da Desiderio perduta, voi la donaste a Carlomagno francese, poi agli Ottoni alemanni, poi a Bavari, poi a casa Lucemburgo, poi a casa Hohenstauffen; quindi la profferiste agl'Inglesi, di nuovo a Francesi, poi a casa di Habsburg; poco prima se la contesero Francesco di Francia e Carlo di Spagna: — Federico di Sassonia la ricusò[77], e tu adesso aneli, o Carlo di Gand, un diadema che altri raccolse un momento e subito dopo gittò via come cosa indegna di occupare il suo pensiero. Egli ebbe dai posteri il nome di sapiente, — per te quello di stolto è troppo poco.

      E la stella della tua casa ricambiò con le gemme di cotesta corona un saluto di luce per un tempo assai lungo; poi la fortuna stese la mano e disse: Basta.

      Comparve nel cielo un'altra stella che vinse la tua; venne sulla terra un Fatale destinato a far l'ultima prova se la tirannide potesse durare tra gli uomini splendida di gloria e di potenza, con l'ale del genio incerate alle spalle; — la tirannide di Napoleone: — i popoli hanno diruta la terra dagli artigli della sua aquila vittoriosa; quale altra tirannide può adesso aver vita nel mondo? Se il leone non ha potuto regnare, domineranno i lupi? Egli cacciò le mani nelle chiome agli antichi tiranni e tolse a un punto il sonno dagli occhi e la corona dalle teste di loro. — Oh! com'è miserabile cosa un re senza corona! lo sarebbe meno senza senno: — in questo modo moverebbe la nostra compassione, — in quell'altro eccita il nostro riso: egli tolse loro le corone e le gettò dai balconi della sua reggia ai parenti, ai compagni della sua fortuna, in quella guisa che un cavaliere novello sparge pugni di monete alla plebe in segno di larghezza.

      Te poi, o corona di ferro, non volle donare il Fatale, e chiamò il sacerdote a imporgliela sul capo. Il sacerdote si mosse a dargliela, imperciocchè egli potesse prendersela: ma quando si accostò all'altare, e il sacerdote incominciò le sue preghiere, egli impaziente vi stese le mani poderose e da sè stesso se ne cinse le tempie; allora il sacerdozio ebbe uno sfregio nella faccia il quale ormai non varranno a coprire nè benda di tiara, nè lembo di manto pontificio, sfregio che sembra una sentenza di morte incisa con ferro rovente sopra la carne: e tu saresti già morto, o sacerdozio, se alzando un grido di terrore altri non veniva a soccorrerti. Qual soccorso però! Per impedire la tua caduta, essi ti hanno posto ai fianchi due lancie per puntelli. — Ora che cosa hai tu fatto? Ti sei procurato una lunga e dolorosa agonia; tu hai voluto funestare le genti con lo spettacolo schifoso della tua decrepitezza.

      Ma se il sacerdote, quando il Guerriero fatale oltraggiò l'altare, avesse avuto il convincimento del sublime suo ufficio; dove bene avesse sentito sè essere vicario di Dio in questa terra, gli avrebbe rivolta la corona rapita e, la rompendo sopra i gradini dell'altare, avrebbe detto: — ecco io la spezzo, perchè tu la cingi alla tirannide dei popoli; — umiliati, pugno di polvere, davanti al Dio che cancella le intere generazioni col cenno del sopracciglio che solleva alitando un turbine di mondi; — e dov'egli ti avesse resistito, tu avresti levata al cielo la destra, e Dio l'avrebbe armata de' suoi fulmini.

      Adesso il cielo la ridonò alla tua casa, Carlo di Gand, — ma per quanto? — Poichè nel libro del destino non è concesso penetrare come nel libro della speranza, io abbandono il presente e il futuro, e ritorno nel tempo passato.

      Già ve l'ho detto: un giorno si apparecchia negli anni che Carlo vorrà liberarsi il capo da cotesto dolore di corona; — ora l'anelito dell'amante che per la prima volta aspetta la faccia desiata della sua donna è troppo poca passione per paragonarla a quella che agita Carlo.

      Contemplatelo