Nell’ozio gli venne la buona idea di addossarsi volontario un lavoro che da prima non gli parve né difficile né faticoso: si propose di trovare il marito per la sorella. Diceva che l’età di Lucia domandava il matrimonio e ch’era certo che se nessuno se ne curasse lo sposatore non si sarebbe trovato giammai. Chiese ai genitori il permesso di poter condurre in casa dei giovanotti suoi amici. Il padre glielo diede pronto, perché per lui il matrimonio di Lucia avrebbe significato l’eliminazione di una bocca dalla casa. La madre invece si oppose ma era a magro di argomenti non avendo il coraggio di dire delle sue speranze su Alfonso. Si rosicchiava le unghie. Aveva parlato con disprezzo degli operai amici di Gustavo.
— Non vuoi accordarla a un operaio? — chiese il vecchio sorpreso. — E a chi poi? Attendi qualche principe?
Da molti anni padre e figlio non s’erano trovati tanto d’accordo e marciavano uniti contro la povera donna che in cuor suo, mentre si difendeva alla meglio, malediceva Alfonso che ancora non aveva voluto innamorarsi dell’unica giovanetta del suo stato ch’egli avvicinasse. Finì col fare una buona proposta. In luogo degli amici di Gustavo, operai o peggio, bisognava trarre in casa gli amici di Alfonso, agenti di banca e scritturali.
— Anche quelli! — disse il vecchio approvando, — ma però quelli e questi perché così siamo più sicuri di arrivare al nostro scopo.
Diede formalmente a Gustavo l’incarico di condurre in casa i suoi amici, i più ricchi, possibilmente.
Intanto la Lanucci aveva ora l’occasione di parlare in argomento con Alfonso e non sperava poco da questo colloquio. Se il disgraziato, così ella lo chiamava, avesse tradito dubbi, dispiacere o la menoma esitazione, ella avrebbe trovato il modo di salvare Lucia dagli amici di Gustavo.
Egli aveva preso l’abitudine di ritirarsi nella sua stanza anche dopo pranzato per non essere obbligato ad assistere al vuoto chiacchierio dei Lanucci durante la mezz’ora di tempo che aveva prima di andare all’ufficio. Un giorno ella ve lo seguì. Vedendola, Alfonso che s’era già messo al tavolo, si alzò e stettero uno di fronte all’altra fra il tavolo e il letto.
Affettuosa come non era stata da lungo tempo con lui, gli disse ch’essendo già abituata a considerarlo quale figliuolo gli chiedeva un favore di quelli che non si chiedono solitamente che ai propri intimi.
— Dica! dica! — la incoraggiò Alfonso con gentilezza.
— Così presto non si può dire, bisogna che le spieghi parecchie cose.
Amava di parlare e mentre Alfonso con fatica si costringeva ad ascoltarla, ella cominciò a raccontare la storia della sua famiglia, alla quale, ella asseriva, competeva tutt’altra posizione di quella che occupava. Era impoverita per alcuni errori di suo padre, catastrofe ch’ella ingrossò descrivendo il loro stato anteriore come più elevato di quanto fosse stato in realtà.
— Quindi, — il discorso era stato preparato e aveva capo e coda, — non possiamo rassegnarci a vivere in questa posizione mentre se acconsentiamo di maritare Lucia ad un operaio o altra simile gente, — col suo disprezzo le pareva di fondare meglio il suo diritto a superiorità, — è un atto che definitivamente c’inchioda qui. — Continuò con un altro “quindi” mentre Alfonso aveva pur finito coll’interessarsi alla questione perché temeva di vedersi improvvisamente aggredito con un’offerta di matrimonio. Ella indovinò la sua paura al suo aspetto imbarazzato, ma per quanto avesse anche compreso ch’era veramente paura e non speranza, la prova non le parve sufficiente. Dal tinello giungevano i suoni poco aggradevoli di una disputa fra Gustavo e Lucia ed ella fece un passo verso la porta per correre fra due litiganti, ma si fermò non volendo lasciare Alfonso nel sospetto che lo si volesse pigliare per il collo. Lo pregò di condurre in casa dei giovani, magari poveri, ma appartenenti alla classe intelligente. Poi, troppo attenta ad osservare il contegno di Alfonso, non sentì neppure il suono di uno schiaffo caduto certamente sulla guancia di Lucia, perché fu costei che ne accusò ricevuta piangendo e gridando.
— Desidera dunque ch’io conduca degli amici in casa? — chiese lieto Alfonso. — Ma le occorreva prendere una via sì lunga per chiedermi cosa tanto semplice? Non sono, come lo disse lei stessa, di famiglia e non devo, per quanto posso, aiutare ognuno di voi a raggiungere un poco di felicità? Non appena potrò le condurrò quanti amici vorrà.
Non pensava concretamente a nessuno dei suoi amici, ma l’offerta era fatta con spontaneità, e la signora Lanucci dovette ringraziare per quanto la prontezza di Alfonso l’addolorasse. Volontieri lo avrebbe ora esonerato da quell’ufficio, ma decentemente non lo poteva. Volle almeno diminuire il suo zelo:
— Non occorre premura. Abbiamo tutto il tempo necessario per fare le cose con calma.
In tale modo anche la vecchia fu indotta ad acconsentire ai piani di Gustavo ed anzi, nell’ira, le parve che il suo assenso bastasse per portare subito a compimento il matrimonio di Lucia.
— Adesso tocca a te di agire — disse a Gustavo, — e al più presto. Forse che così si riesce ancora a far morire di rabbia qualcuno. — Questo qualcuno era Alfonso.
Quel Gustavo aveva dei brutti amici. Portò per primo un rivenditore di libri usati ma ricchissimo. Alfonso ignorando che anche Gustavo avesse ricevuto l’identico suo incarico non pensava che fosse quell’uomo un candidato alla mano di Lucia. Non avrebbe potuto indovinarlo. Il candidato era cinquantenne, ma dimostrava un’età anche più avanzata avendo la pelle incartapecorita dal sole e dalle intemperie, alle quali, per il suo mestiere, doveva stare esposto. Gli occhi gli lagrimavano e non sapendo ch’era una visita da sposo che gli si faceva fare, aveva omesso di farsi togliere dalle guancie certo pelo bianco, giallastro che vi cresceva irregolarmente.
Quando se ne andò, la Lanucci ridendo guardò il marito e anche questi sorrise. Gustavo se ne sentì offeso e non seppe resistere al desiderio di difendersi subito:
— È però lucente d’oro, — disse. — I gusti delle donne non si sanno mai e sarebbe stata una bella fortuna se a Lucia fosse piaciuto.
Il secondo amico che Gustavo presentò in casa fu il padrone di un macello, benestante, più giovine dell’altro ma non meno sucido. Era vedovo da poco tempo e Gustavo riteneva che cercasse moglie. S’ingannava. Il beccaio bevette di troppo del vino che c’era sul tavolo dei Lanucci e nella somma beatitudine, volendo dimostrare la sua riconoscenza ai novelli amici, esclamò:
— Ah! qui si sta bene! Sempre in compagnia di amici starei io! Adesso che grazie al cielo sono vedovo, posso finalmente permettermelo!
La Lanucci dichiarò che non voleva più rivederlo e desiderava anche che le visite degli amici di Gustavo cessassero. Il giovanetto si difendeva.
— Non posso mica dire ai miei amici di venire in casa mia per fare loro sposare mia sorella. Devo scegliere quelli che più mi sembrano inclinare al matrimonio. Un vedovo come il beccaio, per esempio, mi sembrava adatto. S’era pur sposato già una volta!
Parve ora ad Alfonso che gli altri presentati fossero stati invitati da Gustavo piuttosto per far mostra di avere fra’ suoi amici delle persone rispettabili che per la speranza di vederli innamorarsi di sua sorella. Uno di questi fu il signor Rorli, un ricco fabbricante di paste di Napoli. Gustavo ne aveva da lungo tempo