CAPITOLO QUATTRO
Zoe esitò appena fuori il tozzo e squadrato monolita di cemento che era il J. Edgar Hoover Building. Per gli altri, era una brutta opera di architettura che ricordava più la Russia della Guerra Fredda che la gloria Americana. Zoe ne apprezzava le linee e l’uniformità degli interni e degli esterni, ma in quel momento anche lei desiderava trovarsi da qualsiasi altra parte.
“Adesso ci divertiremo un mondo,” borbottò Shelley, abbottonandosi un po’ di più la giacca in modo che coprisse il suo vestito.
Zoe, che non aveva neanche portato una giacca, era incline a concordare. In questo preciso momento, avrebbe dovuto essere impegnata a parlare con John, discutendo del futuro della loro relazione e forse prendendo decisioni che le avrebbero garantito abbastanza felicità per un bel po’ di tempo. Invece, lei e Shelley stavano per attraversare un intero edificio pieno zeppo di loro colleghi in abito e trucco da sera, un’esperienza un po’ troppo simile all’idea di inferno di Zoe.
Avevano appena oltrepassato la porta d’ingresso e stavano aspettando l’ascensore, quando venne rivolto loro il primo commento. Johnson, un agente con la lingua lunga per non dire di peggio, attraversò con aria spavalda il corridoio, dirigendosi verso di loro. “Seratina piccante, signore?” domandò, puntando il dito contro di loro. “È bello che finalmente ammettiate le vostre tendenze.”
Shelley alzò gli occhi al cielo. “Sono felicemente sposata, Johnson. Con un uomo.”
“Oh,” disse Johnson, fingendosi scioccato. “Non mi aspettavo una tale omofobia dal duo femminile del Bureau.”
“Non sono omofoba, sono soltanto …” Shelley sospirò, chiudendo gli occhi per un istante prima di continuare con un tono più calmo. “Non sono lesbica. E Johnson? Fammi un favore, vai a farti fottere.”
Zoe si lasciò quasi sfuggire un sorriso. Non era assolutamente divertente essere prese in giro dai loro colleghi, soprattutto considerando che il più delle volte lei non capiva i riferimenti e le sfumature, ma era comunque uno spasso vedere Shelley turbata da qualcosa. Era qualcosa di diverso, e nonostante Zoe non volesse assolutamente vedere Shelley restarci male, le ricordava che fossero entrambe esseri umani.
Accompagnate da una scia di apprezzamenti e commenti su qualsiasi dettaglio, dalle scarpe ai capelli, le due donne riuscirono infine a raggiungere la porta dell’ufficio dell’Agente Speciale al Comando Maitland. Shelley si fermò un istante, raddrizzando le spalle e spostando all’indietro una ciocca di capelli, prima di bussare.
“Avanti.”
La voce tonante di quell’uomo era uno dei fattori che rendevano minacciosa la sua figura, al pari della sua taglia. Leo Maitland, con il suo metro e novanta centimetri, non si limitava a essere alto: era anche grosso, con bicipiti di trentotto centimetri che sfidavano la sua età. I capelli brizzolati alle tempie erano l’unico indicatore del fatto che avesse circa quarantacinque anni; la sua postura militare era intatta, come se fosse appena uscito dall’esercito.
“Signore,” dissero Zoe e Shelley quasi all’unisono. Era stato lui a convocarle. Sapevano bene di dover evitare inutili convenevoli. L’Agente Speciale al Comando della sede di Washington, D.C. era un uomo occupato, e il suo tempo era prezioso.
L’Agente Maitland continuò a rivolgere la propria attenzione al documento che aveva davanti per qualche momento, aggrottando la fronte mentre si concentrava, prima di firmarlo con un gesto rapido e metterlo da parte. “Agenti Prime e Rose,” disse, frugando in un cassetto traboccante della sua scrivania e tirando fuori un documento. “Ho la sensazione che questo vi piacerà.”
Zoe aggrottò le sopracciglia. Provare piacere per un caso di omicidio? Sembrava alquanto improbabile, a meno che l’assassino non stesse soffocando le sue vittime con lo zucchero filato, e tutte le piste non necessitassero di un’attenta e scrupolosa degustazione. “Signore?” domandò con aria dubbiosa.
“Era sarcasmo, Agente Prime,” disse, con il viso che non lasciò trasparire alcun accenno di sorriso. Teneva il documento in una mano protesa. “Una di voi due ha intenzione di prenderlo o avete entrambe sviluppato una paralisi?”
Shelley scattò in avanti, prendendo il dossier. “Scusi, signore.”
“Ecco i dettagli del caso. Il vostro volo partirà tra quattro ore,” disse, proseguendo come se nulla fosse. “Troverete i biglietti nel fascicolo. È il primo aereo per il Nebraska che è stato possibile prenotare.”
Quella parola percorse la schiena di Zoe come un fulmine. Nebraska. Lo Stato in cui era nata. Non che quello volesse dire qualcosa: in fondo si trattava di un posto enorme. Era improbabile che finissero vicino a dove era cresciuta.
“Due donne sono state trovate decapitate negli ultimi due giorni. Sembra che stia assumendo i contorni di un caso seriale, quindi abbiamo bisogno che voi due vi rechiate sul campo il prima possibile. Sono spiacente per il volo notturno, ma così facendo arriverete in città di prima mattina e potrete mettervi subito in contatto con il dipartimento di polizia locale,” continuò Maitland. “Abbiamo due scene del crimine in due città diverse, quindi è possibile che il colpevole si stia spostando. Dovrete chiudere questa faccenda il più velocemente possibile. Non vogliamo che l’assassino esca dallo Stato e faccia perdere le sue tracce.”
Shelley era intenta a sfogliare il dossier, e trasalì vedendo alcune foto. Zoe, sporgendosi alle sue spalle, riuscì a notare un considerevole schizzo di sangue prima che Shelley voltasse pagina.
“Faremo del nostro meglio, signore,” disse Shelley, con voce leggermente distante mentre la sua mente era già concentrata sul caso.
“Il vostro meglio non è sufficiente,” disse Maitland con un’espressione torva. “La stampa ci andrà a nozze con questo caso. Risolvetelo, prima che l’intera faccenda si trasformi in un circo e io sia costretto a spiegare al nostro superiore, oltretutto davanti alle telecamere di tutto il mondo, per quale motivo abbiamo lasciato che venissero commessi altri omicidi.”
Zoe reggeva il telefono con una mano, cercando di tenerlo in equilibrio contro il collo in modo da riuscire a piegare i vestiti mentre parlava. “Mi dispiace davvero,” disse. “A quanto pare potremmo stare via almeno per qualche giorno.”
“Sapevo cosa aspettarmi la prima volta in cui siamo usciti insieme,” la voce di John uscì dal ricevitore, il suo tono era leggero e divertito. “Va tutto bene. Salva il mondo. Sarò qui al tuo rientro.”
Zoe si morse il labbro distrattamente, finendo di piegare l’ultimo vestito e dirigendosi rapidamente verso il bagno per prendere il suo kit da viaggio. La sua voce echeggiò tra le piastrelle quando riprese la parola. “Odio il fatto di continuare a rovinare le nostre uscite,” disse. “Stasera mi stavo divertendo.”
“Anch’io,” disse John, e subito dopo la sua voce diventò più vellutata. “Non vedevo l’ora di accompagnarti a casa. Quel tuo vestito … mi piaceva davvero molto.”
Zoe diede un’occhiata al tessuto rosso, ora gettato sul suo letto, e sentì un leggero brivido in fondo allo stomaco alle sue parole. Lanciò i prodotti da bagno in valigia, guardandosi attorno per vedere cos’altro dovesse metterci. “Magari lo indosserò nuovamente per te quando sarò di ritorno.” Scarpe: spalancò la porta del suo guardaroba e ne tirò fuori un paio, nel caso in cui quelle che stava indossando diventassero scomode.
“Mi piacerebbe.” La voce di John cambiò di nuovo, stavolta assumendo un tono più serio. “In realtà, vorrei parlarti quando tornerai a casa.”
Zoe tentennò. Parlare. Cosa voleva dire? Ora non stavano parlando?
Era forse la cosa che aveva sempre visto nei film, il tanto temuto “parlare”, il momento della rottura?
No … quella di sicuro era soltanto una sua paranoia. John era un uomo adulto. Non aveva paura di rivelarle i suoi sentimenti, e finora non aveva espresso alcuna insoddisfazione.
Sicuramente non lo rendeva felice il fatto che lei stesse nuovamente scappando altrove proprio mentre le cose sembravano andare così bene tra di loro.
“Ok,”