“Deve tenerti piuttosto occupato,” commentò Harry. Zoe non aveva mai capito questo genere di convenevoli, e neanche ora ci riusciva. Per quale motivo Harry non si limitava a chiedere quello che voleva sapere davvero? Tutti che cercavano di nascondere le proprie intenzioni dietro domande vaghe e cortesi per tentare di capire. Zoe era felice di essere in rapporti abbastanza stretti almeno con John e Shelley da non dover ricorrere a ciò.
“Abbastanza occupato,” rispose John, accennando un sorriso. Posò momentaneamente la forchetta per passarsi una mano tra i suoi cortissimi capelli castani, un gesto abituale. Zoe notò la flessione dei muscoli del suo braccio e della spalla sotto la camicia, e ricordò a se stessa di concentrarsi. “Ho appena finito di lavorare a un caso davvero pazzesco. Due fratelli in lotta per la proprietà del defunto padre. Quei due stavano quasi per venire alle mani per qualche metro in più. A quanto pare non riuscivano ad accettare le cose per come le aveva decise il loro vecchio.”
Shelley scosse mestamente la testa. “Non so come facciano le persone a essere così insensibili,” disse. “La famiglia è tutto. Non è giusto scontrarsi così.”
“La famiglia non è tutto per chiunque,” disse sottovoce Zoe. “Ad alcune persone non interessano i legami di sangue.”
Shelley le rivolse uno sguardo attonito e dispiaciuto. Aveva indubbiamente dimenticato, in quell’istante, il rapporto travagliato – o per meglio dire, la mancanza di qualsiasi tipo di rapporto – tra Zoe e sua madre. “Hai ragione,” disse. “Certo. Suppongo sia io a considerare brutta l’idea di rivoltarmi contro la mia stessa famiglia in quel modo.”
“Questo perché hai un cuore grande,” disse Harry, stringendo la mano di sua moglie sul tavolo. Per un istante si guardarono a vicenda con amore; Zoe distolse lo sguardo da quello che le sembrava un momento privato, guardando John, che a sua volta la stava osservando con un sorriso curioso stampato sul suo viso.
“C’è spazio per il dessert?” domandò John, sistemando con cura il coltello e la forchetta nel piatto vuoto.
Harry e Shelley si scambiarono uno sguardo significativo prima di annuire all’unisono. “Perché no?” disse Harry. “Cercherò di attirare l’attenzione di qualcuno perché ci porti i menu.”
“Bene,” rispose Shelley, mettendo il tovagliolo sul tavolo accanto al piatto. “Mentre tu fai questo, Zoe e io faremo un salto al bagno delle signore.”
Zoe esitò. “Non ho bisogno di andare in bagno,” disse, perplessa dal fatto che Shelley avesse compreso anche lei.
Shelley le rivolse uno sguardo evasivo, piegandosi leggermente sulla propria sedia per sussurrare all’orecchio di Zoe. “Non devi averne bisogno tu. Ne ho bisogno io. E tu verrai con me.”
“Perché?” domandò Zoe, sempre più stupita.
“Per farmi compagnia,” disse Shelley. Dopodiché, con un gesto spazientito e un leggero brontolio di frustrazione, aggiunse: “Per spettegolare sui nostri uomini dove non possono sentirci. Andiamo.”
Zoe non era ancora del tutto sicura di aver compreso, ma si alzò comunque. Seguì la sua partner con passo alquanto vacillante, dovuto non tanto all’incertezza di andare con Shelley – dopotutto si fidava abbastanza di lei da assecondarla – ma al fatto di indossare i tacchi, cosa che aveva dimenticato fino a quando non si era alzata dal tavolo, e quella sensazione estranea alla base delle gambe non aveva ripreso a mettere a dura prova il suo equilibrio. Shelley, dal canto suo, camminava con sicurezza sui suoi tacchi a spillo, con quei fianchi formosi che oscillavano da una parte all’altra con grazia.
“È per questo che le donne vanno sempre al bagno insieme?” domandò Zoe, mentre aprivano la porta della toilette, notando la presenza di alcune donne che si lavavano le mani e si guardavano attentamente agli specchi collocati sopra i lavandini.
“Sì,” disse Shelley, ridendo. “E per comodità e spirito di compagnia. Perché è una cosa piacevole. E poi gli uomini cacciano in branco, quindi perché noi non dovremmo fare altrettanto?”
Zoe dovette ammetterlo, Shelley non aveva tutti i torti. Nascose un sorriso e si appoggiò a un fasciatoio libero e ripiegato, tenendosi più in disparte possibile in quello spazio ridotto. Intravide il suo riflesso in uno specchio collocato accanto alla porta, non riconoscendosi per un istante. Le cure della dottoressa Applewhite avevano esaltato i suoi occhi, e al suo fisico, che spesso pensava fosse mascolino, senza fianchi o petto da mettere in mostra, erano state conferite curve fittizie dal taglio del vestito. In qualche modo, persino i suoi capelli corti apparivano più dolci e femminili questa sera, bilanciati da orecchini pendenti con pietre rosse che sentiva pesanti ed estranei.
Una alla volta, le altre donne finirono di specchiarsi e tornarono in sala, e quando Shelley uscì dal suo cubicolo le due erano rimaste sole.
Shelley iniziò a lavarsi le mani, guardando Zoe in modo da introdurre la conversazione alla quale stava chiaramente mirando. “Stai andando davvero bene,” disse, chiudendo il rubinetto.
“Davvero?”
Shelley la guardò con la coda dell’occhio mentre si asciugava le mani con un asciugamani di carta monouso. “Lo sai bene anche tu. Ma è giusto dirtelo. Sono orgogliosa di te. Quando abbiamo lavorato insieme la prima volta, non avrei mai pensato che saresti stata in grado di fare qualcosa del genere.”
Zoe doveva ammettere che aveva ragione. “Io non avrei neanche mai pensato di desiderarlo, figuriamoci di esserne in grado.”
“Beh, allora sono felice che tu abbia cambiato idea a riguardo,” disse Shelley, finendo di asciugarsi le mani e mettendosi di fronte a lei. “Sei bellissima, Zoe. Mi piace questo tuo nuovo look.”
Zoe sorrise, sentendo un rossore sconosciuto farsi strada sulle sue guance. “C’è voluta un po’ di pratica,” disse, fermandosi appena prima di ammettere di aver avuto anche bisogno d’aiuto. Diede una rapida occhiata a Shelley: era sempre perfettamente truccata ed elegante. I suoi capelli biondi erano raccolti in un chignon leggermente più sofisticato del solito, con curve e boccoli che apparivano complicati, e le sfumature rosa pallido sulle sue palpebre si abbinavano al tessuto del suo abito discreto ma comunque capace di mettere in risalto la sua figura. Insomma era, come sempre, perfetta per l’occasione.
“Beh, la pratica ha dato i suoi frutti,” disse Shelley, raccogliendo la sua borsetta da dove l’aveva posata, accanto al lavandino.
Zoe, rendendosi conto che il momento giusto per restituire il complimento era passato, andò in panico per un secondo prima di decidersi a farlo comunque. “Anche tu stai davvero molto bene.”
Shelley la ricompensò con uno sguardo raggiante, dando al suo riflesso un’ultima occhiata generale prima di voltarsi di nuovo verso Zoe. “Non sono niente male per essere una mamma, eh?”
Zoe stava per dirle che fosse di gran lunga meglio di “niente male” – e per intavolare l’argomento di John e il fatto che volesse soffermarsi per parlare con lui da sola non appena fosse terminata la cena – ma un paio di trilli risuonarono nella stanza, quasi esattamente nello stesso istante, interrompendo la loro conversazione.
Zoe e Shelley si scambiarono uno sguardo. Quel suono era venuto dalle loro borsette – quella di Zoe le era stata prestata dalla dottoressa Applewhite perché si abbinava al suo vestito – e precisamente dai loro cellulari. C’erano soltanto due possibili spiegazioni perché entrambe avessero ricevuto un messaggio nello stesso istante. La prima era che fosse in atto una qualche sorta di emergenza di stato o nazionale e che ne venissero avvisate dal presidente.
La seconda era che fossero state richiamate in servizio per lavorare a un caso.
Zoe pregò che si trattasse di un’emergenza che non avrebbe messo fine alla loro cena, ma ovviamente lei non credeva in Dio, e qualsiasi divinità che udiva una preghiera da parte di un ateo molto probabilmente avrebbe fatto il contrario per dispetto. Tirarono fuori i rispettivi telefoni, leggendo entrambe lo stesso messaggio: Chiamare il prima possibile l’Agente Speciale al Comando Maitland per istruzioni.
Shelley sospirò.