“Maschio o femmina, forte o debole, nessuna idea sulle caratteristiche fisiche.” Sospirò Shelley. “Sarebbe fantastico se prima o poi spuntasse un testimone. Che ne dici? Qualche idea su come iniziare a delineare un profilo?”
Zoe scosse leggermente la testa. “Un’opzione vale l’altra. Nella maggior parte delle circostanze, una tale ferocia verrebbe associata a un colpevole maschio. Le donne, come sappiamo, tendono a optare per metodi di aggressione meno fisici. Ma d’altro canto, è chiaro che Lorna Troye non si sentisse preoccupata al momento dell’attacco. Potrebbe addirittura essersi fidata dell’aggressore o essersi sentita al sicuro accanto a lui. Questo farebbe propendere per una donna.”
“La cosa che mi colpisce maggiormente di tutta questa faccenda è l’idea di commettere l’omicidio in bella vista.”
“Sa di sicurezza,” disse Zoe. “O di follia. Una qualche sorta di sensazione a garantirgli che non sarebbe stato catturato. Forse i tagli mancavano di potenza perché non sono stati fatti con la fretta. L’assassino si sentiva invincibile in quel momento. Come se il mondo si fosse fermato per permettergli di colpire.”
“Già,” concordò Shelley, appoggiandosi alla fredda pietra dell’edificio. “Dobbiamo trovare un modo per restringere un po’ di più il campo. Farci un’idea di cosa stia succedendo qui.”
“Allora speriamo che la sorella di Lorna Troye possa darci una mano,” disse Zoe, avanzando con riluttanza verso il feroce calore del sole in direzione dell’auto.
La sorella di Lorna Troye viveva in un piccolo appartamento vicino al centro della città, sopra un negozio di ferramenta. Dopo aver attraversato l’ingresso, si ritrovarono in un corridoio verniciato di un giallo vivace, e quindi in un soggiorno che aveva diverse sfumature di rosa e soprattutto velluto.
“Siete sicure che non possa offrirvi niente?” Daphne Troye, sorella maggiore di Lorna, lo chiese per almeno la sesta volta.
“Sì, signorina Troye, stiamo bene così,” le assicurò Shelley, rivolgendole un luminoso sorriso.
“Oh, è signora Troye.” Daphne ricambiò il sorriso, girando la mano per mostrare loro un anello d’oro che luccicava opacamente. “Mia moglie ha preso il mio cognome quando ci siamo sposate.”
“Signora Troye,” si corresse Shelley. “So bene che questo deve essere un periodo stressante per lei. Vogliamo soltanto farle un paio di domande per vedere di riuscire a catturare chiunque abbia fatto questo a sua sorella.”
Il sorriso sulle labbra di Daphne, già fragile, si frantumò in tanti piccoli pezzettini. “Sì,” disse, appoggiandosi completamente allo schienale della sedia e, a quanto pare, accettando il fatto che non fosse necessario alzarsi a prendere qualcosa. “Certo. Fate pure.”
“Cosa può dirci a proposito di ieri?” domandò Shelley. “Si è sentita con Lorna?”
“Poco.” Gli occhi di Daphne si spostarono per un attimo su una porta chiusa dall’altra parte del corridoio, prima di tornare a posarsi su di loro. “Lorna e Rhona, mia moglie, non andavano molto d’accordo. Non parlavamo molto, ultimamente. Almeno non di persona. Ma le ho inviato un messaggio al mattino.”
“Sapeva che avesse in programma di uscire per un’escursione?”
“Sì.” Daphne prese la propria tazza, piena di un liquido lattiginoso che avrebbe potuto essere tè o caffè a giudicare da quanto fosse diluito, e fece un piccolo sorso. “Me lo aveva detto. Avrebbe dovuto andarci con un’amica, ma ha annullato all’ultimo minuto.”
“Ha il nome di quell’amica?” domandò Zoe, aprendo il suo taccuino.
“Uhm,” Daphne fece una pausa, toccandosi il ponte del naso e chiudendo gli occhi mentre pensava. “Fatemi … Cora! Il suo nome è Cora.”
“Cognome?”
Daphne scosse la testa. “Non lo conosco, mi spiace.”
“Va benissimo,” disse Shelley. “Cora non è un nome comune. Sono sicura che riusciremo a risalire a lei.”
“Vorrei mostrarle una foto, se mi permette,” disse Zoe. Vedendo gli occhi di Daphne spalancarsi e la sua mano iniziare a tremare, aggiunse immediatamente: “Non della scena del crimine. Non si preoccupi. È la foto di una donna. Vogliamo soltanto chiederle se la riconosce, e soprattutto se ha mai visto Lorna con lei.”
Prese la foto stampata di Michelle Young dal retro del suo taccuino e la fece scivolare sul tavolo, lasciando che Daphne la guardasse bene.
“Io … Io non credo,” disse Daphne, dopo un lungo istante, alzando lo sguardo. “Chi è?”
“Si chiama Michelle Young,” disse Zoe. “Riconosce questo nome?”
Daphne scosse la testa. “È … è la persona che pensate lo abbia fatto?”
C’era un accenno di paura nella sua voce, ma anche di speranza. Conoscere il colpevole sarebbe stato senza dubbio un sollievo. Un passo avanti per capire il motivo per cui sua sorella le fosse stata portata via. A Zoe dispiacque non poterle dare quel conforto.
“No, signora Troye,” disse Zoe, riprendendo la foto. “Abbiamo motivo di credere che questa donna possa essere un’altra vittima dello stesso assassino.”
Daphne rimase quasi senza fiato per un istante, come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco. “Non è successo soltanto a Lorna?”
“Non possiamo ancora esserne assolutamente sicure,” disse Shelley con un tono consolatorio, una risposta programmata, frutto del suo periodo di addestramento. Mai garantire nulla prima che il caso sia chiuso. “Ma le scene del crimine presentano alcune similitudini. È una strada che stiamo vagliando.”
Daphne deglutì a fatica, e i suoi occhi caddero sulla tazza che aveva davanti. Non disse nient’altro. Sembrava che stesse avendo difficoltà a elaborare quell’informazione.
Zoe scambiò uno sguardo con Shelley. Aveva la sensazione che questa fosse la fine del loro interrogatorio, e quando Shelley le rivolse un leggero cenno, capì di avere ragione. “La ringrazio, signora Troye,” disse. “La lasciamo alle sue cose, ora. Se le viene in mente qualcos’altro, la prego di non esitare a contattarci.”
Non ci fu alcuna risposta dalla donna seduta di fronte a loro, tranne un leggero cenno del capo e una scrollata di spalle quasi impercettibile. Shelley e Zoe si alzarono, entrambe esitanti all’idea di lasciarla, sebbene sapessero che non fosse sola. Nella stanza che aveva la porta chiusa, sicuramente per dar loro un po’ di privacy, doveva esserci sua moglie; si sarebbero fatte forza a vicenda.
Anche se probabilmente l’avrebbero superata prima, almeno secondo l’esperienza di Zoe, se avessero avuto informazioni concrete sulla persona che aveva portato via la loro cara, e la possibilità di vedere fatta giustizia.
“Meglio andare alla centrale di polizia e allestire una sede per le indagini,” disse Zoe, facendo una pausa appena prima di entrare nell’auto a noleggio. “Abbiamo bisogno di trovare una pista il prima possibile. E a quanto pare abbiamo qualcuno da cui iniziare: Cora, l’amica di Lorna.”
“Magari saremo fortunate,” disse Shelley, facendo dell’umorismo nero. “Chissà, forse la colpevole è proprio lei.”
Ma mettendosi al volante, Zoe pensò tra sé e sé che non ci fosse alcuna possibilità di essere così fortunate.
CAPITOLO SETTE
“Ok,” disse Zoe, sistemandosi davanti al tavolo che avevano creato unendo due scrivanie. “Cos’abbiamo finora?”
Shelley diede un’occhiata ai documenti che avevano sparso su entrambi i lati del tavolo. Da una parte Michelle Young, dall’altra Lorna Troye. “Abbiamo due giovani donne, più o meno della stessa età. Entrambe uccise durante il giorno, il che dimostra un certo livello di sicurezza da parte dell’assassino. Entrambe nello stesso territorio, seppur in due diverse città, all’interno dello stesso Stato.