«Tua moglie ti teme… dopo il male che le hai cagionato.»
«Non è forse nella mia mano la vita e la morte della mia casa e dei miei sudditi?»
«La vita di ognuno è nella mano di Allah, non nella tua.»
«Ma Allah ha i suoi disegni, e questi non possono essere cambiati. Se con Maimuna è successo quello che è successo non è forse anche Sua volontà?»
«Dunque anche il fatto che non voglia tornare da te è Sua volontà… accettalo e lasciami andare.»
Mohammed rise e spiegò:
«Nascono diverse sorti di uomini al mondo: vi è chi il proprio destino lo subisce e vi è chi dal destino viene usato per cambiare i tempi, le stagioni e i popoli. Io nobile ci sono nato, e nella mia Siracusa ho saputo farmi grande per poi prendermi mezza Sicilia. Faccio un servizio ad Allah e al Suo imperscrutabile destino, essendo al mondo per cambiare i tempi, le stagioni e i popoli. Non esiste male… non esiste bene, ma solo la volontà di Allah.»
Nadira allora cadde sulle sue ginocchia e col viso a terra lo implorò:
«Ti prego, mio Signore, mia madre gridava quando mi hai strappato dalle sue braccia, e la casa era invasa dal fumo… Fammi andare ad assicurarmi della sua salute, e poi ritornerò da te.»
«Se rivedrai tua madre dipenderà solo da Ali, il tuo Qā’id.»
Nadira perciò alzò lo sguardo, restando comunque inginocchiata.
«Non farmi restare; gli uomini di cui ti circondi sono infidi e criminali… hanno fatto molto male alla gente che vive in questo villaggio.»
«Non ti faranno nessun male, non temere. La sorte di una sposa illustre non può essere paragonata a quella delle comuni villane date per il sollazzo dei soldati.»
«Ma tu fai schiave perfino le nostre sorelle, e questi tuoi soldati hanno massacrato tutti gli uomini!»
«Non tutti… ho lasciato rimanere i contadini cristiani. Circondarsi di infedeli paga molto, visto che riempiono lautamente le mie tasche con la tassazione della jizya. Gli iqlīm orientali, pieni di incirconcisi e giudei, sono una miniera d'oro per le tasche di chi comanda.»
«E lo paghi col denaro della jizya quest’esercito di mercenari?» chiese Nadira con la stessa irriverenza che mostrava con Umar. Adesso infatti capiva che le suppliche non potevano trovare accoglimento nel cuore roccioso di Mohammed.
Lui la fissò attento e serio, quindi rispose:
«Se non fosse per lo scopo per cui ti ho preservato, se non fosse per i tuoi occhi e la tua bellezza, mia cara Nadira, li farei segare anche a te i polsi… e ancor peggio ti farei tagliare quella lingua intromettente. Sei mia prigioniera, ricordalo! Non esiste persona a questo mondo la cui vita possa essere spezzata quanto la tua… un filo di cotone arso dal fuoco che si sfalda al tocco della mia mano.» disse e mimò Mohammed, sfregando indice e pollice tra loro.
«Ti presenterai al mio cospetto sempre al meglio delle tue fattezze; per il piacere dei miei occhi. Non ti permetto di piangere se così rovini il tuo volto. Non ti permetto di digiunare se così smagrisci le tue forme. Se indosserai o no il jilbāb46 in mia presenza sarà solo per mia volontà. Ma non temere, proteggerò il tuo onore, da me e da chiunque altro, affinché Ali non ti disprezzi e ti rifiuti perché non sei più vergine. Il tuo Qā’id è un pezzente, uno schiavo che si è fatto strada con la lusinga e le promesse, ma saprebbe rinunciare alla sua villana se questa non sapesse dargli ciò che spera di prendersi la prima notte. Tu e la tua verginità valete ancora troppo come contropartita da offrire in cambio di mia moglie. Ma se Ali si mostrerà ottuso, allora gli scatenerò contro le forze dell’inferno, devasterò le sue terre, massacrerò i suoi sudditi, porterò via le donne dalle sue città per farne delle schiave e soprattutto farò di te quello che mi aggrada. L’attacco al tuo villaggio è stato indolore per molta gente, poiché rapido e con l’unico scopo di rapire la ragazza dagli occhi zaffiro, ma se Ali non mi ascolterà, allora molti soffriranno e dovranno inchinarsi al loro nuovo Qā’id… se vorranno continuare a vivere.»
«Ibn al-Ḥawwās saprà riscattarmi dalle tue mani, ne sono sicura. E mio fratello…»
«Tuo fratello è morto! L'ho visto io stesso cadere. Ha avuto quel che si meritava, quel leccapiedi!»
Nadira si gettò sui cuscini e prese a piangere più forte.
«Umar… Umar!» chiamò disperata, piena di dolore e di dispiacere per averci litigato per un giorno intero senza mai potergli dire quanto lo amasse.
«Tuo fratello era un brav’uomo. Sono sicuro che in Paradiso avrà il trattamento riservato ai martiri. Però non piangere, Nadira.» rincuorò cinicamente Mohammed.
«Non piangere!» ripeté poi urlando, rivelando che ciò che gli interessava fosse soltanto che lei la smettesse di piagnucolare.
«Non sopporto questo frignare in mia presenza.» concluse infine.
«Ti prendi cura di me e mi inviti nella tua tenda; ma come pretendi che io stia tranquilla al sentire queste parole? Addirittura mi chiedi di non piangere...»
«Io non desidero la tua serenità, io pretendo che tu finga al mio cospetto. La prossima volta che ti convocherò sorriderai. È un ordine! Adesso vai. Rimarrai con le donne, ma Jamal ti terrà d’occhio.»
Nadira venne riaccompagnata dalle donne che prima l’avevano truccata, e queste, recluse come lei tra quelle quattro mura, cominciarono ad odiarla in quanto, come credevano, rappresentava la ragione di quella guerra e della loro sventura.
Capitolo 10
Autunno 1060 (452 dall’egira), Rabaḍ di Qasr Yanna
Quando Ali ibn al-Ḥawwās lasciò il Rabaḍ per tornarsene a Qasr Yanna, Nadira non volle nessun dono per sé, nonostante il Qā’id le avesse promesso la luna. Infine, dopo mille insistenze, Nadira richiese che le venisse donata una copia del testo del poeta Mus’ab, visto che a lei apparteneva più che agli altri. Bashir, il Visir, fece allora in fretta a scrivere quelle parole su un foglio di pregiata carta proveniente dalle fabbriche di Balarm.
Nadira non aveva molta dimestichezza con la scrittura e dovette fare appello all’imam47 del Rabaḍ, il quale, dopo tre giorni di lettura e rilettura della poesia, dovette cacciare la ragazza spazientito. Intanto lei aveva imparato tutti quei versi a memoria, e di conseguenza anche la servitù fece presto a memorizzare molte di quelle parole che adesso la padrona recitava in loro presenza. “Conosci tu, oh mio Signore, il cielo di Nadira, i confini dei suoi occhi?”, questo fu il verso che con più ricorrenza veniva ricordato.
Come c'era da immaginarsi, la notizia del veniente matrimonio tra Nadira e il Qā’id si sparse con inconsueta velocità fuori dalla casa di Umar. Tra la gente del Rabaḍ si scatenò perciò un entusiasmo così grande che la ragazza faticò non poco di fronte all’imbarazzo di assistere agli inchini e alla sottomissione di gente con cui era perfino cresciuta insieme. E alla fine, la notizia del “cielo di Nadira” e del matrimonio della ragazza col Qā’id giunse pure tra le mura in cui vivevano i cristiani del Rabaḍ.
Un giorno, Alfeo, il capofamiglia, un poveruomo che dimostrava vent’anni in più di quelli che aveva, richiamò attorno al tavolo tutti i suoi figli. Era l’ora di pranzo e quel giorno pure Apollonia e Caterina sua madre avevano seguito gli uomini nell’orto, per dare una mano e per mangiare in famiglia senza dover aspettare la sera. Alfeo e Michele avevano appena finito di irrigare l’orto dei broccoli, e quindi, chiudendo le paratie della saqija48 che passava per il terreno, accantonarono la zappa per andare a mangiare. Michele fischiò a Corrado, il quale se ne stava allo shaduf