Scosse la testa. “Ok, signori, a che punto siamo?” disse Susan. “Che schema avete imbastito insieme all’agente Stone?”
Kurt era in fondo, a mormorare al telefono per tutti gli undici secondi. “Per cortesia, chiuda la porta,” disse a un uomo dei servizi.
“È una missione altamente segreta,” disse Haley Lawrence.
Susan fece spallucce e fece ruotare la mano. “Me lo immaginavo. Quindi ditemi.”
“Mandiamo una piccola squadra in Israele su un aereo del Dipartimento di Stato,” disse Kurt. “Da ieri abbiamo mandato già tre aerei del Dipartimento di Stato, quindi secondo tutti potrebbe fare più o meno lo stesso – diplomatici della crisi in viaggio per cercare di calmare la situazione.”
“Sono sicura che nessuno sospetterà che facciamo entrare delle spie,” disse Susan.
“Arrivata la squadra, avrà ragguagli dall’intelligence israeliana su possibili ubicazioni di siti nucleari iraniani. La squadra si coordinerà con gli israeliani per progettare un’infiltrazione, e poi si farà paracadutare sotto la copertura del buio in Iran. La squadra poi si farà strada, con qualsiasi mezzo disponibile, fino ai siti più probabili, e confermerà o meno l’esistenza di armi nucleari sugli stessi. Se vengono trovate armi, richiederanno attacchi aerei, sulle coordinate specifiche, che distruggeranno le armi nei silos.”
“Attacchi aerei da chi?” disse Susan. “Dagli americani o dagli israeliani?”
“Dagli americani,” disse Pincopanco. “Per definizione, gli attacchi dovranno essere potenti anti-bunker lanciati da alte altitudini. Più probabilmente, bombe MOAB lanciate da bombardieri B-52, e questo se riusciamo a far fuori i bunker tramite armi convenzionali, il che non è garantito. Non crediamo che gli israeliani abbiano capacità del genere.”
“Non crediamo?” disse Susan. “Non dovremmo saperlo?”
“Qui stiamo discutendo con Israele,” disse Pancopinco. “Potrebbero averle, potrebbero non averle. Non sono sempre collaborativi su informazioni come questa. Per ogni eventualità, se gli israeliani si mettono a bombardare silos missilistici iraniani, c’è sempre la possibilità che scoppi la terza guerra mondiale. I russi sono vicini alleati dell’Iran. E i paesi sunniti odiano gli iraniani sciiti. Ma solo quando gli israeliani non li bombardano. Altrimenti sono tutti amici musulmani e l’aggressione israeliana deve essere vendicata. Se bombardiamo noi…”
Fece spallucce. “Penso che possiamo trovare il modo di placare i russi, sulla faccenda. E i paesi sunniti se la metteranno via.”
“Perché gli israeliani non mandano le loro spie in cerca della bomba?” disse Susan.
“Abbiamo parlato con la loro intelligence. Pensano che la missione sia un fallimento sicuro. Preferirebbero bombardare l’Iran indiscriminatamente e distruggere tutte le basi e le infrastrutture militari iraniane, nella speranza di colpire eventuali testate in loro possesso. Noi li stiamo incoraggiando – li stiamo incoraggiando molto strenuamente – ad astenersi da azioni del genere. Ovviamente, il rischio di bombardare l’Iran e lasciare anche un solo missile nucleare operativo è troppo alto da contemplare…”
Susan guardò Luke. “Salve, agente Stone.”
Lui la guardò dritto negli occhi. Era una cosa che lei odiava, la cosa di cui aveva avuto terrore. Voleva fermare il tempo proprio lì e non fargli dire un’altra parola.
“Signora presidente.”
“Ha intenzione di accettare la missione?”
Annuì. “Sì. Certo. È stata una mia idea.”
“A me pare una missione suicida, agente Stone.”
“Ne ho sentite di peggio,” disse Luke. “In ogni caso, è esattamente il tipo di cosa per cui è stato organizzato il nuovo Special Response Team. Ho già parlato con la mia squadra. Possiamo essere pronti a partire in un paio d’ore.”
Tentò una tattica diversa. “Agente Stone, lei è il direttore dello Special Response Team. I miei registri indicano che ha quarantadue anni. La missione non verrebbe gestita meglio da un operativo junior dell’agenzia? Qualcuno di un po’ più giovane, diciamo? Qualcuno di un po’ più energico?”
“Ho in progetto di andare con Ed Newsam,” disse Luke. “Lui ha trentacinque anni. E comunque sono ancora piuttosto energico per un vecchietto.”
“L’agente Stone e l’agente Newsam hanno entrambi un’estesa esperienza operativa nel Medio Oriente,” disse Pincopanco. “Sono entrambi combattenti d’élite veterani, sono stati sotto copertura, e conoscono bene la cultura israeliana, araba e persiana. Se la cavano entrambi benino col farsi.”
Susan lo ignorò. Guardò la stanza. Sembravano fissarla tutti. Volevano parlare del progetto della missione, lo sapeva. Volevano che desse immediatamente il via libera, in modo da raccogliere le risorse di cui avevano bisogno, venirsene fuori con le evenienze in caso di fallimento della missione, sviluppare strategie di negazione plausibile nel caso in cui la cosa fosse diventata di dominio pubblico. Nelle loro menti, non si trattava neanche più di chi stava per partire – la questione era già stata decisa.
“Signori, potete darmi cinque minuti da sola con l’agente Stone?”
* * *
“Luke, sei fuori di testa?”
Gli altri uomini, e tutti i servizi segreti, se n’erano andati.
“Non manderei il mio peggior nemico in questa missione. Dovresti paracadutarti in Iran, e poi vagare per il paese con gente che cerca di assassinarti, finché non trovi delle armi nucleari?”
Sorrise. “Be’, spero che la cosa verrà pensata un pochino meglio di così.”
“Ti farai uccidere.”
Allora lui si alzò, e andò da lei. Cercò di abbracciarla. Lei rimase rigida per un attimo, poi si sciolse nel suo abbraccio.
“Lo sai quant’è ridicolo che la presidente degli Stati Uniti si preoccupi esageratamente per la vita di un agente delle operazioni speciali, che fa esattamente questa roba per tutta la sua vita adulta?”
Lei scosse la testa. “Non mi interessa. È diverso. Non posso autorizzare una missione in cui potresti rimanere ucciso. È follia.”
Abbassò lo sguardo su di lei. “Mi stai dicendo che per stare con te devo mollare il lavoro?”
“No. Sei a capo della tua agenzia. Non devi accettarla. Non devi presentarti come volontario. Manda qualcun altro.”
“Vuoi che mandi qualcun altro anche se pensi che sia una missione suicida?”
Annuì. “Esatto. Manda qualcuno che non amo.”
“Susan, non posso.”
Allora lei si voltò dall’altra parte, e d’un tratto presero a scorrere lacrime di infelicità. “Lo so. Questo lo so. Ma per l’amor di Dio, ti prego di non morirci, laggiù.”
CAPITOLO DIECI
16:45 ora di Israele (9:45 ora della costa orientale)
Covo di Sansone – nelle profondità della terra
Gerusalemme, Israele
“Falli stare zitti.”
Yonatan Stern, il primo ministro di Israele, sedeva sulla sua solita sedia a capotavola nel centro di comando per le crisi israeliano, il mento sulla mano. La stanza era una cavernosa cupola a forma di uovo. Tutt’intorno a lui, il suo esercito e i suoi consiglieri politici si trovavano nel caos, urlavano, recriminavano, si puntavano il dito addosso gli uni con gli altri.
Come si era arrivati a questo? pareva essere la domanda prevalente. E la risposta alla quale era giunta