Notò poi che Taryn aveva parcheggiato in modo che il grosso furgone impedisse la visuale dal negozio di Lacey alla pasticceria di Tom, dall’altra parte della strada. Anche quello era stato fatto decisamente apposta!
“Capito,” rispose Taryn con falsa allegria. “Quando porterò gli abiti della collezione autunno inverno vedrò di guidare più piano. Ehi, dovresti fare un salto dentro quando avrò sistemato questa roba. Dare una rinfrescata al tuo guardaroba. Viziati, te lo meriti.” Squadrò Lacey da capo a piedi. “Ed è certamente ora di farlo.”
“Ci penserò,” disse Lacey con tono indifferente, emulando il falso sorriso di Taryn.
Nel momento in cui voltò le spalle alla donna, il suo sorriso si trasformò in una smorfia. Taryn era davvero la regina dei complimenti equivoci.
Quando fu tornata nel suo negozio, Lacey scoprì che l’anziano signore ora stava aspettando al bancone e una seconda persona era entrata: un uomo in abito nero. Stava osservando lo scaffale con tutti gli articoli nautici che Lacey intendeva mettere all’asta il giorno dopo, mentre Chester sorvegliava attento. Anche a distanza si sentiva il profumo del dopobarba dell’uomo.
“Sono da lei fra un momento,” disse Lacey al nuovo cliente mentre si affrettava a raggiungere l’altra parte del negozio, dove l’anziano gentiluomo stava aspettando.
“Come sta la sua mano?” le chiese l’uomo.
“Benissimo,” rispose lei guardando il graffietto sul palmo, che già aveva smesso di sanguinare. “Scusi se sono uscita così di fretta. Dovevo…” scelse le parole con attenzione, “occuparmi di una cosa.”
Lacey era determinata a non permettere a Taryn di schiacciarla. Se avesse concesso alla proprietaria della boutique di farla arrabbiare, sarebbe stato come farle segnare punto.
Mentre scivolava dietro al bancone, Lacey notò che l’anziano signore vi aveva posato sopra la statuina rotta.
“Vorrei acquistarla,” disse.
“Ma è rotta,” ribatté Lacey. Era evidente che l’uomo stava cercando di essere gentile, anche se non aveva motivo di sentirsi in colpa per il danno. Non era davvero stata colpa sua.
“La voglio comunque.”
Lacey arrossì. Era davvero ostinato.
“Può almeno permettermi di provare ad aggiustarla?” gli chiese. “Ho della colla super forte, e…”
“Non se ne parla!” la interruppe l’uomo. “La voglio così. Vede, ora mi ricorda ancora di più mia moglie. Era proprio quello che stavo per dire, quando poi mi è caduta. Lei era la prima ballerina della Royal Ballet Society, con una disabilità.” Sollevò la statuina, facendola rigirare alla luce, che fece brillare il braccio destro, ancora elegantemente disteso, anche se interrotto e spezzato al gomito. “Ballava con un braccio.”
Lacey inarcò le sopracciglia e rimase a bocca aperta. “Davvero?”
L’uomo annuì compiaciuto. “Assolutamente! Non capisce? È stato un segno da parte sua.”
Lacey non poteva che essere d’accordo. Lei stesse stava cercando i suoi fantasmi, dopotutto, nello specifico suo padre, quindi era particolarmente sensibile ai segnali dell’universo.
“Allora ha ragione. Deve prenderla,” gli disse. “Ma non posso fargliela pagare.”
“È sicura?” le chiese l’uomo, sorpreso.
Lacey lo guardò raggiante. “Dico sul serio! Sua moglie le ha inviato un segno. La statuina è sua di diritto!”
L’uomo parve commosso. “Grazie.”
Lacey iniziò ad incartare la ballerina con della carta-tessuto. “Assicuriamoci che non perda altri pezzi, eh?”
“Vedo che terrà un’asta,” disse l’uomo, indicando la locandina appesa alla parete, alle sue spalle.
Diversamente dai grezzi poster fatti a mano che avevano pubblicizzato la sua ultima asta, Lacey aveva fatto preparare queste professionalmente. La locandina presentava immagini prese dal mondo della nautica: barche e gabbiani, con un contorno blu e bianco che ricordava il simbolo di Wilfordshire, in onore della sua ossessione per la cittadina.
“Giusto,” confermò Lacey, sentendo l’orgoglio che le gonfiava il cuore. “È la mia seconda asta. La organizzo esclusivamente per articoli navali antichi. Sestanti. Ancore. Telescopi. Venderò una completa gamma di tesori. Magari può farle piacere partecipare?”
“Può darsi che venga,” rispose l’uomo con un sorriso.
“Le metto un volantino nel sacchetto.”
Lacey completò la confezione e porse all’uomo la sua preziosa statuina. Lui ringraziò e uscì.
Lacey lo guardò allontanarsi, ancora toccata dalla storia che aveva condiviso con lei. Poi ricordò che aveva un altro cliente di cui occuparsi.
Si voltò per offrire all’uomo la propria attenzione, ma si accorse che se n’era andato. Era scivolato fuori silenziosamente, senza farsi notare, prima ancora che lei avesse la possibilità di vedere se avesse bisogno di aiuto.
Si avvicinò alla zona che il cliente aveva osservato: lo scaffale più basso dove aveva messo gli scatoloni pieni degli articoli che intendeva vendere all’asta il giorno dopo. Un biglietto scritto da Gina diceva: Nessuno di questi articoli è in vendita. Verrà messo tutto all’asta! Aveva aggiunto sotto quello che sembrava lo scarabocchio di un teschio con due ossa incrociate, evidentemente confondendo la tematica navale con quella piratesca. Lacey sperava che il cliente avesse visto il biglietto e che sarebbe quindi tornato l’indomani per fare delle offerte sull’articolo a cui era interessato.
A quel punto, prese uno degli scatoloni con gli oggetti che ancora non aveva valutato e lo portò sulla scrivania. Mentre tirava fuori un articolo dopo l’altro, allineandoli sul bancone, non poteva evitare di sentire l’eccitazione che le scorreva in corpo. La sua ultima asta era stata magnifica, sebbene temperata dalla ricerca di un assassino. Questa se la sarebbe potuta godere appieno. Aveva davvero avuto la possibilità di mettere alla prova le sue doti da banditrice d’asta, e ora non vedeva l’ora di ripetere l’esperienza!
Si era appena immersa completamente nel processo di catalogare e valutare gli articoli, quando fu interrotta dal trillo acuto del suo cellulare. Un po’ seccata dall’interruzione, considerato che poteva benissimo trattarsi della melodrammatica sorella più giovane, Naomi, in piena crisi da genitore single, Lacey lanciò un’occhiata allo schermo del telefono, che era posato sul bancone. Con sua sorpresa il nome che vi lampeggiava sopra era quello di David, il suo ex marito dal quale si era da poco separata.
Lacey fissò per un momento lo schermo illuminato, pietrificata dalla sorpresa. Uno tsunami di emozioni diverse le scorse dentro. Lei e David non si erano praticamente scambiati una sola parola da quando avevano divorziato – anche se sembrava che lui dialogasse apertamente con la madre di Lacey – e avevano gestito tutte le pratiche per mezzo degli avvocati. Ma che la chiamasse di persona? Lacey non sapeva neanche da dove iniziare a ipotizzare una motivazione per cui lui stesse facendo una cosa del genere.
Nonostante la sua mente le dicesse di fare il contrario, rispose.
“David? Va tutto bene?”
“No, per niente,” rispose la sua voce acuta, riportando a galla circa un milione di ricordi latenti che erano rimasti assopiti nei meandri della sua mente.
Lacey si irrigidì, preparandosi alla bomba che David stava per scagliare contro. “Cosa c’è? Cos’è successo?”
“Non mi stai pagando gli alimenti.”
Lacey ruotò gli occhi al cielo. Soldi. Ovvio. Non c’era niente che interessasse di più a David che i soldi. Uno dei più ridicoli aspetti del suo divorzio da David era il fatto che lei dovesse pagargli gli alimenti perché nella coppia era quella con lo stipendio più alto. E a quanto pareva l’unica cosa