“Con il giusto visto,” spiegò Lacey con disinvoltura.
“È… interessante,” rispose Taryn, chiaramente intenta a scegliere le parole con attenzione. “Cioè, quando uno straniero vuole un lavoro in questo Paese, la società deve fornire prove che non ci sia nessun britannico a ricoprire la posizione. Sono solo sorpresa che non si applichino le stesse regole anche alla conduzione di un’attività commerciale…”
Lo sdegno nella sua voce si stava facendo sempre più palese. “E Stephen ha fatto il contratto a te, una sconosciuta, così su due piedi? Dopo che il negozio si è svuotato… quand’è stato… solo due giorni fa?” La cortesia che si stava sforzando di assumere stava rapidamente svanendo.
Lacey decise di non lasciarsi toccare da quell’atteggiamento.
“In effetti è stato un colpo di fortuna. Stephen era casualmente in negozio quando sono entrata per dare un’occhiata. Era devastato per la fuga del precedente affittuario che l’ha lasciato con un sacco di debiti, e immagino che ci sia semplicemente stato il giusto allineamento cosmico. Io sto aiutando lui e lui sta aiutando me. Dev’essere destino.”
Lacey notò che il volto di Taryn era diventato rosso.
“DESTINO?” gridò la donna, mentre la sua aggressività passiva diventava del tutto esplicita. “DESTINO? Erano mesi che avevo un patto con Stephen, che se il negozio fosse diventato disponibile, lo avrebbe venduto a me! Dovevo allargare il mio locale acquisendo il suo!”
Lacey scrollò le spalle. “Beh, non l’ho comprato. Ce l’ho in affitto. Sono convinta che abbia ancora in mente il piano di venderlo a te quando arriverà il momento. Solo che quel momento non è adesso.”
“Non ci posso credere,” piagnucolò Taryn. “Entri qui e lo costringi a un altro affitto? E lui accetta e firma in soli due giorni? Lo hai minacciato? Hai fatto una specie di rito voodoo su di lui?”
Lacey non si lasciò scuotere. “Dovrai chiedere a lui il motivo per cui ha deciso di affittare a me piuttosto che vendere a te,” le disse, ma nella sua mente stava pensando: Magari perché sono una persona carina?
“Mi hai rubato il negozio,” concluse Taryn.
Poi se ne andò di gran carriera, sbattendosi la porta alle spalle, i lunghi capelli scuri che oscillavano sulla schiena mentre si allontanava.
Lacey si rese conto che la sua nuova vita non sarebbe stata idillica come aveva sperato. E che la sua battuta sul fatto che Taryn fosse la sua gemella malvagia combaciava effettivamente con la realtà. Beh, c’era una cosa che poteva fare.
Chiuse a chiave il negozio e percorse con passo baldanzoso la strada fino ad arrivare al salone della parrucchiera, dove entrò. La donna, una rossa, se ne stava seduta a sfogliare una rivista, evidentemente in pausa tra un cliente e l’altro.
“Posso aiutarti?” chiese a Lacey quando la vide entrare.
“È ora,” disse Lacey con determinazione. “Ora di darci un bel taglio.”
Era un altro sogno che non era mai stata abbastanza coraggiosa da realizzare. David aveva adorato i suoi capelli lunghi. Ma non aveva la minima intenzione di rimanere così somigliante alla sua gemella malvagia per un solo secondo ancora. Era giunto il momento. Il momento per un bel taglio. Il momento di eliminare tutto ciò che era stata la vecchia Lacey. Questa era la sua nuova vita, e lei aveva intenzione di seguire le proprie nuove regole.
“Sei sicura di voler accorciare?” chiese la donna. “Cioè, mi sembri determinata, ma devo chiedertelo. Non vorrei che te ne pentissi.”
“Oh, sono sicura,” disse Lacey. “Non appena l’avrò fatto, avrò realizzato tre dei miei sogni nello stesso numero di giorni.”
La donna sorrise e afferrò le forbici. “Allora va bene. E facciamola questa tripletta!”
CAPITOLO SETTE
“Ecco,” disse Ivan, strisciando fuori da sotto il lavandino della cucina. “Quella perdita non dovrebbe più darti grane.”
Si rialzò in piedi e tirando in modo impacciato il bordo della maglietta grigia stropicciata che indossava e che era risalita a scoprire la sua pancia candida e leggermente prominente. Lacey fece educatamente finta di non essersene accorta.
“Grazie per la velocissima riparazione,” gli disse, riconoscente nei confronti di questo padrone di casa così premuroso, che sistemava tutti i grattacapi che potevano sorgere nella casa in modo così immediato. E ce n’erano stati già un buon numero. Lacey iniziava a sentirsi anche un po’ in colpa per tutte le volte che l’aveva costretto a venire fino al Craig Cottage: quella salita fino alla cima della scogliera non era esattamente una passeggiata, e lui non era più un ragazzino.
“Vuoi fermarti a bere qualcosa?” gli chiese. “Del tè? Una birra?”
Sapeva già che la risposta sarebbe stata no. Ivan era timido e dava l’impressione che si sentisse sempre di troppo. Lei comunque chiedeva ogni volta.
Ivan ridacchiò. “No, no, va bene così, Lacey. Ho delle carte da sistemare stasera. Non v’è pace per gli empi, come dicono.”
“Dillo a me,” rispose lei. “Ero in negozio alle cinque questa mattia, e non sono tornata a casa prima delle otto di stasera.”
Ivan corrugò la fronte. “Il negozio?”
“Oh,” disse Lacey, sorpresa. “Pensavo di avertelo detto quella volta che sei passato a sturare le grondaie. Sto aprendo un negozio di antiquariato in paese. Ho preso in affitto il locale vuoto di Stephen e Martha, quello che prima era un negozio di articoli per casa e giardino.”
Ivan parve stupefatto. “Pensavo che fossi qui solo per una vacanza!”
“Era così. Ma poi ho deciso di rimanere. Non proprio in questa casa, ovviamente. Troverò un altro posto non appena ne avrai bisogno.”
“No, a me va benissimo,” disse Ivan con tono davvero felice. “Se sei contenta qui, sono contento pure io. Non dà troppo fastidio se sono spesso qui a sistemare le varie cose, vero?”
“A me piace,” rispose Lacey con un sorriso. “Altrimenti sarei un po’ sola.”
Quello era stato l’aspetto più difficile nel lasciare New York. Non era il posto, o l’appartamento, o le strade familiari, ma la gente che aveva dovuto abbandonare.
“Probabilmente dovrei prendere un cane,” aggiunse con una risatina.
“Mi pare di intendere che non hai ancora conosciuto la tua vicina?” disse Ivan. “Una signora adorabile. Eccentrica. Ha un cane, un Border Collie per gestire le pecore.”
“Ho conosciuto le pecore,” disse Lacey. “Continuano a venire in giardino.”
“Ah,” disse Ivan. “Deve esserci un buco nella recinzione. Vedrò di sistemare anche quello. Ad ogni modo, la signora è sempre a disposizione per un buon tè. O una birra.” Le fece l’occhiolino in un modo affettuoso che le ricordò suo padre.
“Davvero? Non la disturberà un’americana a caso che le capita davanti alla porta?”
“Gina? Per niente. Sarà felicissima. Vai a bussare alla sua porta. Ti assicuro che non te ne pentirai.”
Se ne andò, e Lacey fece proprio come le aveva suggerito, dirigendosi subito verso la casa della vicina. Anche se ‘vicina’ era una descrizione poco accurata. La casa era raggiungibile con una piccola passeggiata di cinque minuti a piedi lungo la scogliera.
Lacey raggiunse il cottage, simile al suo, ma con un solo piano, e bussò alla porta. Dall’interno sentì l’immediato scalpiccio di un cane che correva e la voce di una donna che gli diceva di non fare confusione. Poi la porta si aprì e apparve sulla soglia una signora con i capelli lunghi, ricci e grigi e i tratti del viso