La commessa tornò con le braccia cariche di vestiti. Lacey notò l’impeccabile paletta di colori: carne, nero, blu navy e rosa cipria.
“Voleva provarli?”
Lacey scosse la testa. Ora aveva fretta e non vedeva l’ora di completare gli acquisti e correre dalla porta accanto. Continuava a controllare l’uscita alle sue spalle.
“No. Se sono uguali a questo, mi fido che lei abbia fatto la scelta giusta. Può confezionarli insieme, per favore?” Parlava rapidamente. La sua impazienza era letteralmente udibile. “Oh, e tengo anche quello che ho addosso.”
La commessa non parve per niente colpita dal modo in cui Lacey stava cercando di metterle fretta. Si prese il tempo per confezione con cura ogni abito, avvolgendolo in carta tessuto.
“Aspetti!” esclamò Lacey, mentre la donna tirava fuori una borsa di carta per mettervi dentro i vestiti. “Non posso andare in giro con un sacchetto del negozio. Avrò bisogno di una borsa. Una buona borsa.” I suoi occhi sfrecciarono sulla fila di borse che si trovavano sullo scaffale alle spalle della donna. “Può scegliermi quella che starebbe bene con questi vestiti?”
L'espressione della commessa lasciava intendere appieno la sua convinzione che davanti a lei ci fosse una donna impazzita. Ad ogni modo si voltò, considerò con cure le borse e poi ne tirò giù una grande in pelle nera con una fibbia dorata.
“Perfetto,” disse Lacey, molleggiando sulle punte dei piedi come uno scattista che aspetta il segnale di partenza. “Mi faccia il conto.”
La donna obbedì alla richiesta e iniziò a riempire la borsa con i vestiti.
“Quindi in tutto sono…”
“SCARPE!” gridò Lacey all’improvviso, interrompendola. Che stordita. Erano state le sue orride enormi scarpe e portarla in quel negozio. “Mi servono delle scarpe!”
La commessa parve in qualche modo ancor meno impressionata. Magari pensava che Lacey la stesse prendendo in giro e che alla fine di tutto se ne sarebbe scappata via.
“Le nostre scarpe sono da quella parte,” disse con tono freddo, indicando con una mano.
Lacey guardò la piccola selezione di scarpe con i tacchi di ottima fattura dello stesso stile che avrebbe indossato a New York, dove era stata solita considerare le caviglie gonfie un rischio sul lavoro. Ma ricordò a se stessa che le cose erano diverse adesso. Non serviva che indossasse calzature dolorose.
L’occhio le cadde su un paio di scarpe nere basse in vernice. Sarebbero state benissimo con la qualità androgina dei suoi nuovi abiti. Lacey andò dritta a prenderle.
“Queste,” disse, lasciandole cadere sul bancone davanti alla commessa.
La donna non si preoccupò di chiedere a Lacey se voleva provarle, e le confezionò subito, tossicchiando mentre il prezzo a quattro cifre compariva sul display della cassa.
Lacey tirò fuori la sua carta, pagò e si infilò le scarpe nuove. Ringraziò la donna e saltellò fuori dal negozio, per infilarsi subito in quello vuoto adiacente. La speranza le gonfiava il petto al pensiero che nel giro di pochi momenti, una volta prese le chiavi da Stephen, diventando la nuova vicina dell’indifferente commessa di negozio, avrebbe fatto pieno ingresso nella sua nuova vita.
Quando entrò, Stephen parve non riconoscerla.
“Pensavo avessi detto che sembrava un po’ trasandata,” disse in un sussurro la donna accanto a lui, che doveva essere sua moglie Martha. Se stava tentando di essere discreta, stava miseramente fallendo. Lacey sentì ogni singola parola.
Indicò il suo nuovo outfit. “Ta-da. Le avevo detto che sapevo quello che stavo facendo,” disse con tono ironico.
Martha lanciò un’occhiata a Stephen. “Di cosa ti preoccupavi, vecchio sciocco? Questa è la risposta alle nostre preghiere! Falle subito il contratto di affitto!”
Lacey non ci poteva credere. Che fortuna. Il destino finalmente aveva completato il suo intervento.
Stephen tirò fuori frettolosamente alcuni documenti dalla sua borsa e li mise sul bancone davanti a lei. Diversamente dalle carte del divorzio che aveva fissato incredula in un momento di disincarnato dolore, questi fogli sembravano brillare di promessa, di opportunità. Lacey prese la sua penna, la stessa che aveva usato per firmare i documenti del divorzio, e appose la propria firma.
Lacey Doyle. Commerciante.
La sua nuova vita ora era sancita.
CAPITOLO SEI
Con una scopa in mano, Lacey spazzava il pavimento del negozio di cui ora era orgogliosa affittuaria, il cuore sul punto di esploderle per la contentezza.
Non si era mai sentita così prima d’ora. Era come avere il controllo di tutta la propria vita e del proprio destino, come se il suo futuro fosse ora a portata di mano. I pensieri galoppavano a velocità supersonica, mentre già formulava alcuni grossi progetti. Voleva trasformare la grande stanza sul retro in una sala d’aste, in onore del sogno che suo padre non aveva mai realizzato. Era stata a miriadi di aste lavorando per Saskia (a dire il vero dalla parte dell’acquirente e non del venditore), ma era sicura di poter imparare quello che c’era bisogno di fare. Non aveva mai gestito un negozio prima d’ora, eppure ora era qui. E oltretutto, non c’erano cose che non necessitassero di sforzo per essere conquistate.
Proprio in quel momento vide una figura che passeggiava davanti al negozio e si fermava di colpo, guardandola attraverso la vetrina. Lacey sollevò lo sguardo dal suo lavoro, sperando che si trattasse di Tom, ma si rese conto che la persona immobile davanti a lei era una donna. E non una donna a caso, ma una che Lacey conosceva bene. Magra come un grissino, vestito nero e gli stessi capelli lunghi e ondulati che aveva lei. Era la sua gemella cattiva: la commessa della porta accanto.
La donna entrò nel negozio a grandi passi varcando la porta aperta.
“Cosa ci fai qui?” le chiese.
Lacey appoggiò la scopa al bancone e con sicurezza porse la mano alla donna. “Mi chiamo Lacey Doyle. La tua nuova vicina.”
La donna fissò la mano con disgusto, come se fosse ricoperta di germi. “Cosa?”
“Sono la tua nuova vicina,” ripeté Lacey con lo stesso tono deciso. “Ho appena firmato l’affitto di questo posto.”
La donna reagì come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in faccia. “Ma…” mormorò.
“La boutique è tua o ci lavori soltanto?” la incalzò Lacey, cercando di darle il tempo di riprendersi dal suo stupore.
La commessa annuì come in uno stato di ipnosi. “È mia. Mi chiamo Taryn. Taryn Maguire.” Poi all’improvviso scosse la testa come se avesse ripreso il controllo e si sforzò di rivolgerle un sorriso amichevole. “Bene, è magnifico avere una nuova vicina. È un posto bellissimo, no? Sono sicura che la mancanza di luce agirà in tuo favore, aiutandoti anche a nascondere la pessima condizione del posto.”
Lacey si impedì di inarcare le sopracciglia. Gli anni passati a gestire l’aggressività passiva di sua madre erano stati un buon allenamento.
Taryn rise a voce alta, come in un tentativo di smorzare l’equivoco complimento. “Beh, dimmi, come hai fatto a ottenere l’affitto di questo posto? L’ultima volta che ne ho sentito parlare, Stephen aveva deciso di vendere.”
Lacey scrollò le spalle. “È così. Ma c’è stato un cambio di programma.”
Taryn sembrava aver appena succhiato un limone. Lanciò lo sguardo velocemente in ogni angolo del negozio, il naso all’insù che Lacey aveva già avuto modo di conoscere sembrava essersi allungato ancora di più verso il cielo, mentre il disgusto della donna si faceva sempre più evidente.
“E venderai articoli di antiquariato?” chiese.
“Giusto.