Lui annuì, come se avesse capito. Chloe si accorse anche che si guardò lentamente intorno nel locale e vide che era l'unico a rimanere. Questo le fece pensare che forse Riggins aveva alcuni fantasmi personali con cui stava lottando.
“Abbi cura di te, agente Fine. Ti auguro che domani tu possa avere lo stesso successo di oggi.”
Chloe uscì dal locale, già facendo programmi per il resto della serata. Aveva ancora degli scatoloni da disfare, un letto da montare e una assortimento di biancheria da lavare e di utensili di cucina da mettere via.
Non è esattamente la vita eccitante che mi aspettavo, pensò con un po’ di sarcasmo.
Mentre si dirigeva verso la sua auto, ancora nel parcheggio sotto il quartier generale dell'FBI, il suo telefono squillò. Quando vide il nome sul display, si sentì invadere dalla rabbia e fu tentata di non rispondere.
Steven. Non aveva idea del perché la stesse chiamando, e fu proprio per questo che decise di rispondere. Sapeva che, se non l'avesse fatto, quella domanda l'avrebbe fatta impazzire.
Rispose alla chiamata, detestando sentirsi immediatamente nervosa. “Ciao, Steven.”
“Chloe. Ehi.”
Chloe aspettò, sperando che si sbrigasse a dirle cosa volesse. Ma non era da Steven arrivare dritto al punto.
“Va tutto bene?” chiese lei.
“Sì, è tutto a posto. Scusa... non ho nemmeno pensato a cosa avresti potuto pensare vedendo la mia chiamata...”
Smise di parlare, ricordando a Chloe uno dei suoi tanti piccoli e fastidiosi difetti, che non si era mai reso conto di avere.
“Cosa vuoi, Steven?”
“Voglio che ci troviamo per parlare” disse. “Così, giusto per riallacciare i contatti e aggiornarci.”
“Non credo proprio che sia una buona idea.”
“Non ho secondi fini” le assicurò. “Te lo giuro. È solo che... sento che ci sono alcune cose di cui devo scusarmi. E poi ho bisogno... anzi, tutti e due abbiamo bisogno di una chiusura. Non credi?”
“Parla per te. Le cose sono già sistemate per me. Non è necessaria alcuna chiusura.”
“D’accordo, allora consideralo un favore. Voglio solo una mezz'oretta. Mi piacerebbe togliermi alcuni pesi dal petto. E a dirla tutta... mi piacerebbe vederti ancora una volta.”
“Steven... sono occupata. La mia vita è incasinata adesso, e...”
Si fermò, non era nemmeno sicura di come proseguire. In realtà, non è che avesse un’agenda fitta di impegni che le avrebbe impedito di incontrarsi con lui. Sapeva che a Steven anche solo fare quella telefonata doveva essere costato uno sforzo enorme. Aveva dovuto umiliarsi, il che non era qualcosa che gli fosse mai riuscito bene.
“Chloe...”
“Va bene. Mezz'ora. Ma non verrò lì da te. Se vuoi vedermi, devi venire tu a Washington. Le cose sono incasinate qui, adesso, e non posso...”
“Ok, vengo io. Quando sarebbe un buon momento per te?”
“Sabato. All’ora di pranzo. Ti scriverò dove per messaggio.”
“Per me va bene. Grazie mille, Chloe.”
“Prego.” Sentì che avrebbe dovuto dire qualcos’altro, una cosa qualunque per alleviare la tensione. Ma alla fine, tutto quello che disse fu “Ciao, Steven”.
Terminò la chiamata e rimise in tasca il telefonino. Non poté fare a meno di chiedersi se avesse ceduto solo perché si sentiva piuttosto sola. Pensò all'agente Moulton e si chiese dove fosse andato insieme alla sua amica. Ma soprattutto, si domandò perché le importasse così tanto.
Raggiunse l’auto e tornò a casa, mentre le strade di Washington cominciavano a scurirsi nel crepuscolo. Era una città straordinaria; nonostante il traffico e la strana fusione di storia e commercio, era in qualche modo bellissima lo stesso. Quel pensiero rese Chloe malinconica, mentre si dirigeva verso il suo appartamento – un appartamento nuovo, che si era ritenuta fortunata a trovare, ma che ora le sembrava un’isola lontana da tutto e da tutti.
***
Quando il cellulare trillò, il mattino dopo, Chloe si sentì emergere dalla foschia di un sogno. Cercò di afferrarne gli ultimi brandelli mentre fuggiva da lei, ma poi si fermò, chiedendosi se ne valesse la pena. Gli unici sogni che faceva ultimamente erano su suo padre, tutto solo in prigione.
Le sembrò di poter persino sentire la sua voce canticchiare un vecchio pezzo di Johnny Cash, che aveva cantato spesso nel loro appartamento quando era bambina. “A Boy Named Sue” ricordò. O forse no. Tutte quelle canzoni iniziavano a sembrarle uguali.
Ad ogni modo, era “A Boy Named Sue” la canzone che aveva in mente quando era stata svegliata. Quando staccò il telefono dal caricatore sul comodino, vide che segnava le 6:05 – appena venticinque minuti prima della sveglia che aveva impostato.
“Pronto, parla l’agente Fine” rispose.
“Agente Fine, sono il vicedirettore Garcia. Vorrei che venisse nel mio ufficio subito. Diciamo entro un'ora. Ho un caso che voglio affidare a lei e all’agente Rhodes il prima possibile, stamattina.”
“Sì, signore” disse, alzandosi. “Sarò lì subito.”
In quel momento, non le importava di dover passare un altro giorno con Nikki Rhodes. Tutto quello che le importava era che, fino a quel momento, il suo punteggio con i casi era 1-0, ed era impaziente di migliorare quel risultato.
CAPITOLO SEI
Chloe arrivò nell'ufficio del vice direttore Garcia tre minuti dopo. Era seduto al piccolo tavolo da riunioni in fondo alla stanza, intento a sfogliare alcuni documenti. Vide che aveva già sistemato due tazze fumanti di caffè nero per loro, ai lati opposti del tavolo.
“Buongiorno, agente Fine” disse vedendola entrare. “Ha già visto o parlato con l'agente Rhodes?”
“Stava entrando nel parcheggio proprio mentre salivo in ascensore.”
Garcia parve pensarci su per un momento, forse confuso sul perché Chloe non avesse semplicemente aspettato la collega all'ascensore, dato che l’aveva vista. Poi si domandò quanto Johnson gli avesse raccontato della piccola lotta di potere che era in atto tra loro.
Poiché aveva già bevuto un caffè in macchina mentre arrivava, Chloe si sedette davanti a una delle tazze e si limitò a sorseggiarne un po’. Preferiva il caffè macchiato e leggermente zuccherato, ma non voleva apparire capricciosa. Stava ancora sorseggiando, quando Nikki Rhodes entrò nella stanza. La prima cosa che fece fu lanciare a Chloe un’occhiata irritata. Poi si sedette davanti all'altra tazza di caffè.
Garcia le guardò entrambe, apparentemente intuendo la tensione tra loro, ma poi scrollò le spalle. “Abbiamo un omicidio a Landover, nel Maryland. È un caso che all'inizio è apparso abbastanza normale. La polizia del Maryland se ne sta già occupando, ma hanno chiesto il nostro aiuto. Dovreste anche sapere che Jacob Ketterman, degli affari pubblici della Casa Bianca, conosceva la vittima. Un tempo lavorava con lei. Ci ha chiesto di esaminare il caso, come favore. E poiché è coinvolta la Casa Bianca, dovremo tenere la cosa riservata. Dovrebbe essere semplice, con questo caso. A quanto sembra, si tratta di un semplice omicidio. È uno dei motivi per cui abbiamo deciso di mettere in campo dei nuovi agenti. Sarà un buon test, e non sembra esserci fretta di chiudere il caso, anche se ovviamente preferiremmo che fosse risolto il prima possibile.”
Fece scivolare due copie del verbale verso di loro. I dettagli erano concisi e diretti. Mentre Chloe leggeva, Garcia ripeté ciò che aveva appreso.
“La