“Dobbiamo farlo,” disse Kevin. “Luna sta raccogliendo provviste, ed escogiteremo un piano per arrivare lì sani e salvi. Potresti restare qui se vuoi. Non serve che tu venga con noi se non pensi che sia abbastanza sicuro.”
“Non vuoi che venga con voi?” disse Chloe, e ora sembrava irritata come prima.
“Non è questo che ho detto,” disse Kevin.
“Ma è quello che intendevi, no?” ribatté Chloe.
“No,” rispose Kevin. “Ho solo pensato che poteva essere che tu non volessi venire. L’hai detto tu stessa che potrebbe essere pericoloso.”
Chloe scrollò le spalle. “Come vuoi.”
“Chloe,” disse Kevin, “non voglio…”
“Come vuoi,” ripeté Chloe con tono neutro. “Fate quello che volete. Non me ne frega niente. Vai a fare i tuoi stupidi preparativi.”
“Chloe…”
“Vai!” esclamò seccamente.
Kevin obbedì, sperando che lasciare Chloe da sola per un po’ la rendesse propensa a dialogare meglio più tardi, o qualcosa del genere. Era questo che faceva la gente, no? Parlavano delle cose e sistemavano tutto?
Per ora sapeva di dove probabilmente aiutare Luna a trovare le scorte per il loro viaggio. Avrebbero avuto bisogno di ogni genere di cose, dal gas per l’auto che avevano lasciato fuori, a vestiti e mappe. Passò oltre una porta con la parola “Armeria” stampata sopra e provò la maniglia, ma era chiusa a chiave. Forse era meglio così. Dubitava che lui e Luna potessero farsi strada in mezzo a un’orda di gente controllata, indipendentemente da quante armi avessero. E poi, solo il pensiero gli faceva venire in mente sua madre che correva verso di lui, o gli scienziati dell’istituto, o i genitori di Luna. Non pensava di essere in grado di poter fare del male a nessuno di loro.
Ci stava ancora pensando quando sentì degli allarmi scattare in direzione della stanza di controllo.
Kevin la raggiunse di corsa, sperando che fosse un falso allarme o un danno minore, ma in cuor suo sapeva che non era così. Sapeva esattamente chi era il responsabile di quell’allarme, e non voleva pensare a cosa lei stesse facendo.
Vide Chloe quando arrivò nella stanza di controllo. Stava premendo pulsanti sui computer con il volto rigato di lacrime, colpendoli con le dita come se spingendoli con maggior forza lì potesse far funzionare meglio.
“Chloe, cosa stai facendo?” chiese Kevin.
“Non sono tenuta a fare quello che dici. Non sono tenuta a fare quello che chiunque dice,” disse con tono determinato. “Non puoi tenermi qui. Devo uscire!”
“Nessuno sta tentando di…”
“Pensavo di piacerti. Pensavo che potessi essere mio amico, ma sei come tutti gli altri. Me ne vado. Non puoi fermarmi!”
Premette qualcos’altro, e il tono degli allarmi mutò. Delle parole generate dal computer risuonarono dagli altoparlanti.
“Procedura di emergenza avviata. Apertura porte. Prego uscire dalla base in maniera ordinata.”
“Cosa?” disse Kevin. “Chloe, cos’hai fatto?”
“Cosa sta facendo adesso?” chiese Luna arrivando di corsa nella stanza. Aveva in spalla uno zaino che stava ovviamente usando per raccogliere le provviste, ancora mezzo aperto nella fretta di arrivare lì. Non aveva un’espressione felice.
Ma non era comunque infelice come sembrava essere Chloe. “Intendevate abbandonarmi qui come una specie di… di prigioniera,” disse, e il suo tono era ansioso, arrabbiato e spaventato allo stesso tempo. “Non mi terrete qua dentro. Me ne vado da mio cugino. Vado a vedere cosa gli è successo. E poi andrò dai Sopravvissuti.”
Dietro di lei la grossa porta che dava sull’intercapedine si stava spalancando. Con shock di Kevin, lo stesso stava facendo la porta esterna, entrambe all’unisono disegnano un chiaro percorso verso l’uscita. Kevin vide all’esterno il sentiero di montagna, e gli alberi. Peggio, vide delle figure che si muovevano là fuori e che si voltavano tutte insieme sentendo quel rumore.
Praticamente non appena il passaggio fu libero, Chloe sfrecciò attraverso la porta, verso la montagna. Kevin era troppo scioccato da tutto ciò che era successo per tentare di fermarla, e Luna si stava mettendo in fretta e furia la maschera a gas, ovviamente ancora insicura se fidarsi o meno dell’aria esterna.
“La porta, Kevin!” gridò Luna mentre si affrettava a infilare la maschera. “Dobbiamo chiudere la porta!”
Kevin annuì. “Si, adesso.”
Almeno sperava di farcela. Poteva vedere la gente all’esterno che avanzava verso la porta: erano più di quanti avrebbe immaginato, dato che aveva pensato che gli alieni avessero ormai preso la gente. C’erano soldati ed escursionisti, intere famiglie che si muovevano in una sorta di silenziosa e innaturale coordinazione.
Kevin premeva pulsanti sul computer, sperando di rimediare a ciò che era stato fatto. Niente sembrava avere alcun effetto. Non aiutava il fatto che lui non avesse la più pallida idea di come funzionasse il sistema di computer. Non era che tutto fosse etichettato per chiunque volesse utilizzarlo. E poi sospettava che un’apertura di emergenza come quella non fosse così facile da invertire, in caso la gente restasse imprigionata all’interno. Colpiva i tasti del computer, sperando di trovare una qualche combinazione che potesse generare un qualche effetto.
Niente funzionò. Le porte rimasero aperte, un chiaro passaggio nei confronti dell’esterno, e ora, lungo il sentiero, la gente controllata dagli alieni, avanzava imperturbabile.
Stavano arrivando.
E se avessero raggiunto il bunker, Kevin era terrorizzato di ciò che sarebbe potuto accadere.
CAPITOLO QUATTRO
“Scappa!” gridò Kevin mentre la gente mutata dagli alieni si avvicinava pericolosamente al bunker. Luna stava già apparentemente ascoltando il suo suggerimento, lanciandosi verso i confusi meandri di quel posto, così veloce che Kevin faceva fatica a starle dietro.
Comunque erano sempre stati bravi a scappare. Ogni volta che finivano nei guai per essere andati in qualche posto dove non dovevano andare, riuscivano sempre a tenere testa a chiunque li inseguisse. Beh, almeno la maggior parte delle volte. Beh, almeno più della metà. Questa volta però Kevin sospettava che avrebbero avuto a che fare con qualcosa di ben peggiore che una severa lavata di capo, se le creature dietro di loro li avessero raggiunti.
Poteva sentire il tonfo dei loro piedi sul pavimento del bunker mentre li rincorrevano, il suono del loro inseguimento silenzioso eccetto che per il ticchettio degli stivali sul cemento. Non parlavano né gridavano mentre li inseguivano, non emettevano alcun suono, urlo o richiesta di fermata a Luna e Kevin. In qualche modo questo rendeva tutto più spaventoso.
“Da questa parte!” gridò Luna, conducendolo sempre più a fondo nella base. Passarono oltre l’armeria e ora Kevin provò il desiderio di avere qualche genere di arma, semplicemente perché gli sembrava l’unico modo per poter uscire da lì tutti interi. Dato che però non ne aveva una, decise di rovesciare ogni cosa incontrasse sul suo passaggio, spingendo un carrello in mezzo davanti alla gente che avanzava, chiudendo le porte dietro di sé. I colpi gli dicevano quando i loro inseguitori andavano a sbattere contro quegli ostacoli, ma fino ad ora niente di tutto questo parve essere in grado di rallentarli neanche un po’.
“Zitto adesso,” sussurrò Luna, tirando Kevin in un altro corridoio e rallentando, mettendosi a camminare in punta di piedi. Un gruppo di soldati ed escursionisti passò velocemente oltre un secondo dopo, muovendosi con tutta la velocità e la forza che sembravano derivare dall’essere controllati dagli alieni.
“Perché sono così veloci?” sussurrò Kevin cercando di trattenere il fiato. Non gli sembrava giusto che lo fossero. Il minimo che si sarebbe