Argon rise, un suono profondo e cavernoso che fece scorrere un brivido lungo schiena di Thor.
“Io posso far accadere tutto o niente. Il tuo destino è già stato scritto. Ma sta a te sceglierlo.”
Thor non capiva.
Raggiunsero la cima del crinale e quando furono arrivati Argon di fermò e guardò Thor negli occhi. Thor era solo qualche passo indietro, e la bruciante energia di Argon lo trapassava.
“Il tuo è un destino importante,” disse. “Non abbandonarlo.”
Thor sgranò ancor più gli occhi. Il suo destino? Importante? Si sentì pervadere dall’orgoglio.
“Non capisco. Parli per indovinelli. Ti prego, dimmi di più.”
All’improvviso, Argon svanì.
Thor non riusciva a credere ai suoi occhi. Rimase lì a guardare da ogni parte, in ascolto, dubbioso. Aveva immaginato tutto? Era stata una sorta di illusione?
Thor si voltò ed esaminò il bosco: da quel punto propizio, dall’alto del crinale, poteva vedere ben oltre rispetto a prima. Mentre osservava, scorse del movimento in lontananza. Udì un rumore ed ebbe la netta certezza che si trattasse della sua pecora.
Corse a precipizio giù dal crinale ricoperto di muschio e si diresse rapidamente verso il suono, di nuovo attraverso il bosco. Mentre procedeva non riusciva a togliersi dalla mente l’incontro con Argon. Si capacitava a malapena che fosse successo. Con tutti i posti che c’erano, cosa ci faceva il druido del Re proprio lì? Lo aveva aspettato. Ma perché? E cosa aveva voluto dire sul suo destino?
Più Thor cercava di capirci qualcosa, meno ne veniva fuori. Argon lo stava mettendo in guardia dal continuare, ma allo stesso tempo lo aveva tentato a farlo. Ora, mentre procedeva, Thor avvertì un crescente senso di inquietudine, come se qualcosa di importantissimo stesse per accadere.
Svoltò ad una curva e si fermò pietrificato alla vista di ciò che gli stava di fronte. Tutti i suoi peggiori incubi divennero realtà in un istante. Gli si rizzarono i capelli e si rese conto di aver commesso un grave errore addentrandosi così tanto in Boscoscuro.
Lì di fronte a lui, appena trenta passi più in là, c’era un Sybold. Enorme, robusto, alto – sulle quattro zampe – quasi quanto un cavallo. Si trattava dell’animale più temuto di Boscoscuro, forse del Regno intero. Thor non ne aveva mai visto uno, ma aveva sentito le leggende. Assomigliava ad un leone, ma era più grande, più robusto, con la pelle di un colore scarlatto scuro e gli occhi di un giallo brillante. La leggenda diceva che il suo colore scarlatto derivasse dal sangue di bambini innocenti.
Thor aveva sentito di ben pochi avvistamenti di quella bestia, e anche quei pochi risultavano dubbiosi. Forse perché nessuno era realmente mai sopravvissuto ad un incontro. Alcuni consideravano il Sybold come il Re del Bosco, e un auspicio. Quale fosse quell’auspicio, Thor proprio non riusciva ad immaginarlo.
Fece un cauto passo indietro.
Il Sybold si alzò, la mascella mezza aperta, con la saliva che gocciolava dalle sue fauci, è guardò verso Thor. In bocca aveva la pecora perduta che belava, appesa a testa in giù, con metà del corpo attanagliato dalle zanne. Era quasi morta. Il Sybold sembrava gioire della sua preda e prendeva tempo, sembrava provare piacere nel torturarla.
Thor non riuscì a sopportare i lamenti. La pecora si dimenava, indifesa, e lui si sentiva responsabile.
Il suo primo impulso fu di girarsi e correre via, ma già sapeva che sarebbe stato inutile: quella bestia poteva correre più veloce di ogni cosa. Fuggire l’avrebbe solo incoraggiato. E inoltre non poteva lasciar morire la sua pecora in quel modo.
Esitò, paralizzato dalla paura, sapendo di dover agire in qualche modo.
I suoi riflessi presero il comando. Lentamente infilò la mano nella sua borsa, prese una pietra e la inserì nella fionda. Con mano tremante caricò, fece un passo indietro e lanciò.
La pietra sfrecciò fendendo l’aria e colpì il bersaglio. Era stato un tiro perfetto: la pietra prese la pecora in un occhio, arrivando dritta al cervello.
La pecora si afflosciò. Era morta. Thor aveva risparmiato la sofferenza a quella povera bestia.
Il Sybold si accigliò, incollerito perché il ragazzo aveva ucciso il suo giocattolo. Aprì lentamente le immense fauci e lasciò cadere la pecora, che atterrò a terra con un tonfo. Poi rivolse gli occhi a Thor.
Ringhiò, un suono profondo e malvagio, che gli saliva dallo stomaco.
Non appena iniziò ad avanzare verso di lui, Thor, con il cuore che gli batteva a mille, mise un’altra pietra nella fionda, si inarcò all’indietro e si preparò a lanciare un’altra volta.
Il Sybold fece uno scatto, più veloce di qualsiasi altra cosa Thor avesse mai visto in tutta la sua vita. Thor fece un passo indietro e lanciò la pietra, pregando perché andasse a segno, ben sapendo di non avere il tempo per prepararne un’altra prima che quella giungesse la bersaglio.
La pietra colpì il mostro nell’occhio destro, accecandoglielo. Fu un lancio straordinario, il genere di lancio che avrebbe messo in ginocchio un piccolo animale.
Ma quello non era un animale qualsiasi. La bestia era irrefrenabile. Gridò per il dolore, ma non rallentò minimamente. Anche senza un occhio, anche con la pietra conficcata in testa, continuò a caricare contro Thor. Non c’era niente che Thor potesse fare.
Un attimo più tardi la bestia era su di lui. Prese la mira con i suoi enormi artigli e graffiò Thor su una spalla.
Thor gridò e cadde. Era come se tre coltelli gli avessero trapassato la carne e il sangue caldo zampillò istantaneamente dalla ferita.
La bestia lo teneva fermo a terra con le sue quattro zampe. Il peso era insostenibile, come avere un elefante in piedi sul petto. Thor sentiva le costole che gli si rompevano.
La bestia tirò indietro la testa, aprì al massimo la mandibola, mettendo in mostra le sue zanne, e iniziò ad abbassarle in direzione della gola di Thor.
Subito Thor gli afferrò il collo: era come stringere muscolo puro. Thor riusciva a malapena a tenervisi aggrappato. Le sue braccia iniziarono a tremare mentre le zanne scendevano più in basso, verso di lui. Sentiva in viso l’alito caldo della bestia, la saliva che gli gocciolava sul collo. Un rimbombo giunse dal petto dell’animale, bruciando le orecchie di Thor. Sapeva che sarebbe morto.
Thor chiuse gli occhi.
Ti prego, Dio. Dammi la forza. Permettimi di battere questa creatura. Per favore. Ti prego. Farò tutto quello che vuoi. Ti sarò debitore.
E poi accadde qualcosa. Thor sentì un calore grandioso salirgli dal corpo, scorrergli nelle vene, come un’energia che lo attraversasse con rapidità. Aprì gli occhi e vide qualcosa che lo sorprese: dalle sue mani emanava una luce gialla, e quando premeva indietro la gola del mostro, sorprendentemente era in grado di bilanciare la propria forza con quella dell’animale e tenerlo a bada.
Thor continuò a premere fino a che fu effettivamente in grado di spingere indietro il mostro. La sua forza stava aumentando e sentì un’ondata di energia: un istante dopo il mostro volò indietro, spinto da Thor ad almeno tre metri di distanza. Atterrò sulla schiena.
Thor si tirò su a sedere, incapace di capire cosa fosse successo.
Anche la bestia si rimise in piedi e, piena di rabbia, tornò alla carica. Ma questa volta Thor si sentiva diverso. L’energia gli scorreva dentro, si sentiva più potente che mai.
Quando la bestia balzò nell’aria, Thor si accucciò a terra, la afferrò allo stomaco e la lanciò, lasciando che venisse trasportata dal suo stesso impeto.
Il mostro volò attraverso il bosco, andò a schiantarsi contro un albero e collassò a terra.
Thor si voltò, meravigliato. Aveva appena lanciato in aria un Sybold?
Il mostro sbatté