Thor riusciva a sentire le grida delle altre reclute che gli giungevano attutite: tutti si erano disposti a cerchio attorno a loro, vocianti e desiderosi di sangue. Il volto del suo avversario si accigliò, il giovane allungò i pollici e li abbassò, nel tentativo di colpite gli occhi di Thor. Thor non poteva crederci: sembrava che quel ragazzo volesse veramente fargli del male. Voleva sul serio avere la meglio in modo così violento?
All’ultimo momento Thor ruotò la testa schivando il colpo, e le mani del ragazzo non andarono a segno, finendo a terra. Thor colse l’occasione per divincolarsi e liberarsi da lui.
Si rimise in piedi e si piazzò di fronte al ragazzo, che pure si alzò. Il ragazzo si preparò e sferrò un colpo diretto alla faccia di Thor, ma Thor lo schivò all’ultimo momento. L’aria gli sferzò il volto e Thor si rese conto che se l’avesse colpito gli avrebbe rotto la mascella. Allora gli tirò un pugno nello stomaco, ma ottenne ben poco: era come colpire un albero.
Prima che Thor potesse reagire, il ragazzo gli diede una gomitata in faccia.
Thor venne sbalzato all’indietro, barcollando per il colpo. Era come essere colpiti da un martello e le orecchie gli rimbombarono.
Mentre Thor incespicava all’indietro, cercando di riprendere fiato, il giovane lo attaccò di nuovo con un calcio al petto. Thor volò all’indietro e sbatté a terra, finendo steso sulla schiena. Gli altri ragazzi esultarono.
Stordito, Thor cercò di mettersi a sedere, ma appena vi provò il giovane attaccò un’altra volta, colpendolo con un altro pugno e sferrandoglielo forte in faccia tanto da rimandarlo nuovamente a terra, steso sulla schiena.
Thor rimase lì, sentiva le grida esultanti degli altri ed avvertiva il sapore salato del sangue che gli scendeva copioso dal naso, la faccia piena di lividi. Gemette di dolore. Guardò verso l’alto e vide il ragazzone che si voltava e se ne tornava verso i suoi amici, già celebrando la sua vittoria.
Thor voleva arrendersi. Quel ragazzo era enorme, battersi contro di lui era inutile, e non poteva subire ulteriori mortificazioni. Ma qualcosa dentro di lui lo esortò. Non poteva perdere. Non di fronte a tutta quella gente.
Non arrenderti. Alzati. Alzati!
In qualche modo Thor raccolse le forze: gemendo rotolò a pancia in giù e si sollevò reggendosi su mani e ginocchia; poi, lentamente, si rimise in piedi. Sanguinante, gli occhi gonfi tanto da non riuscire a vedere bene, il respiro affannoso, guardò il ragazzo e sollevò i pugni.
Il ragazzone si volt e fissò Thor dall’alto in basso. Scosse la testa, incredulo.
“Saresti dovuto rimanere a terra, ragazzo,” disse minacciosamente, ritornando verso Thor.
“FERMA!,” gridò una voce. “Elden, stai indietro!”
Un cavaliere improvvisamente giunse e si pose fra loro, allungando le mani aperte ed impedendo ad Elden di avvicinarsi ulteriormente a Thor. La folla si acquietò, e tutti guardarono il cavaliere: chiaramente era qualcuno degno di rispetto.
Thor guardò in alto, sbalordito per la presenza del cavaliere: era alto, con spalle ampie, mascella squadrata, capelli castani e ben pettinati, aveva circa vent’anni. Thor provò per lui un’immediata simpatia. La sua armatura di prima qualità, una cotta di maglia in lucido argento, era ricoperta di marchi reali: l’emblema del falcone della famiglia MacGil. La gola di Thor si seccò: si trovava di fronte ad un membro della famiglia reale. Stentava a crederlo.
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