Non voleva toccare nulla per paura di danneggiare le impronte digitali. Tuttavia, mettendosi in punta di piedi, vide che grazie a quel pezzo di legno mancante, qualcuno dall'esterno sarebbe riuscito a spingere verso il basso per sbloccare la chiusura della finestra.
Tornò in casa e raggiunse la camera da letto. Non c'erano in apparenza segni che qualcuno fosse entrato dalla finestra. Ma sapeva anche che sarebbe bastata un’ispezione più approfondita per svelare tutta un’altra storia.
“Cosa stai facendo?”
Si voltò e vide Nikki in piedi sulla soglia della camera da letto. Aveva un'espressione scettica sul viso, mentre studiava Chloe.
“Questa finestra è stata manomessa dall'esterno” spiegò Chloe. “Dobbiamo rilevare le impronte.”
“Hai dei guanti per la raccolta prove?”
“No” disse Chloe. Che ironia; se avesse iniziato la sua giornata come da programma, ovvero nella Squadra Ricerca Prove, li avrebbe avuti con sé. Ma dopo che Johnson aveva stravolto i suoi piani, non aveva pensato di portare con sé alcuna attrezzatura per la raccolta di prove.
“Io sì, in macchina” disse Nikki, poi lanciò a Chloe un mazzo di chiavi con espressione seccata. “Sono nel vano portaoggetti. Per favore, chiudilo quando hai finito.”
Chloe mormorò un “Grazie” sommesso mentre le passava accanto uscendo. Si chiese per quale motivo la collega tenesse dei guanti per la raccolta prove in auto. A quanto aveva capito Chloe, ad ogni agente veniva consegnato un kit specifico per il suo dipartimento, direttamente dal Bureau. A Nikki era forse stato recapitato e a lei no? Il suo ingresso non previsto nel ViCAP l’aveva già messa in svantaggio?
Uscì e trovò una scatola di guanti in lattice nel vano portaoggetti di Nikki. C'era anche un kit per la raccolta prove, che prese. Era solo kit di emergenza, ma era meglio di niente. E, anche se dimostrava che Nikki era preparata, indicava anche che non avrebbe fatto nulla per aiutare Chloe. Perché non dirle subito che aveva dei guanti e un kit per la raccolta prove nel vano portaoggetti, se non avesse intenzione di tenerglielo segreto?
Determinata a non lasciarsi distrarre da cose del genere, Chloe si infilò i guanti tornando in casa. Passando davanti a Nikki, le consegnò il kit. “Ho pensato che potremmo aver bisogno anche di questo.”
Nikki le lanciò uno sguardo pungente, mentre Chloe tornava verso la finestra. Controllò l'area che era stata scheggiata e scoprì che la sua prima impressione era stata corretta. Qualcuno dall'esterno sarebbe riuscito a sbloccare la finestra e aprirla.
“Agente Fine?” disse Nikki.
“Sì?”
“So che non ci conosciamo, quindi cercherò di essere più educata possibile: vuoi stare attenta a quello che fai, accidenti?”
Chloe si voltò di nuovo verso Nikki e le rivolse uno sguardo di sfida. “Scusami?”
“Guarda la moquette sotto i tuoi piedi, per l'amor di Dio!”
Chloe guardò in basso e il suo cuore saltò un battito. Lì c'era un'impronta; si vedeva solo la parte superiore, ma era evidentemente l’impronta di una scarpa.
E lei l'aveva calpestata.
Merda...
Chloe arretrò velocemente. Nikki si avvicinò alla finestra, inginocchiandosi per guardare l’orma. “Spero che tu non l'abbia rovinata al punto da renderla inutilizzabile” sbottò.
Chloe trattenne la risposta che aveva sulla punta della lingua. Del resto, Nikki aveva ragione. Non si sa come, era riuscita a non notare qualcosa di così evidente come quell’orma. È perché sono troppo assorta nei miei pensieri. Forse il cambio di dipartimento mi sta influenzando più di quanto pensassi.
Ma sapeva che era una scusa pessima. Dopotutto, fino a quel momento si era trattato unicamente di raccogliere delle prove, che era ciò che aveva sempre desiderato fare.
Imbarazzata e infuriata, Chloe uscì dalla stanza per riprendere fiato e pensare.
“Gesù” commentò Nikki osservando l’impronta. “Fine... perché non provi a trovare qualcosa di utile? Ci sono dei fori di proiettile nel muro della cucina che non ho avuto la possibilità di studiare, mentre tu eri fuori. Qui ci penso io... ammesso che sia ancora possibile.”
Di nuovo, Chloe dovette trattenere una rispostaccia. Era nel torto, e questo significava che doveva lasciar perdere il suo astio verso la collega. Quindi tacque e tornò nella zona giorno dell'appartamento, sperando di trovare un modo per riscattarsi.
Andò in cucina e vide i fori di proiettile menzionati da Nikki. Vide i bossoli infilati parecchi centimetri nella parete. Era sicura che sarebbe stato possibile scoprire che tipo di pistola fosse stata usata basandosi unicamente su quelli. Quindi, secondo Chloe, i fori dei proiettili erano un vero e proprio indizio: un indizio facile che avrebbe dato loro le informazioni sufficienti per far progredire le indagini.
Forse però c'è qualcos'altro, pensò.
Tornò verso il corridoio e si fermò dove questo si collegava con la zona giorno. Se l'assassino fosse davvero entrato dalla finestra della camera da letto, probabilmente era in quel punto che doveva essere iniziata la sparatoria. La mancanza di sangue o segni di colluttazione nella camera da letto indicava che là dentro non era successo nulla.
Guardò il divano e vide lo spruzzo di sangue sul pavimento di fronte. Probabilmente è il primo colpo, pensò. Si guardò intorno e le sembrò di vedere chiaramente la scena nella mente. Il primo sparo aveva ucciso qualcuno sul divano, facendo scattare in piedi l’altra persona seduta lì, scaraventando il tavolino. Il sangue e la bibita dall'altro lato del tavolino indicavano che questa seconda persona non era riuscita ad allontanarsi in tempo.
Chloe avanzò lentamente verso il soggiorno, seguendo la probabile traiettoria dei proiettili. La quantità di sangue secco e materiale organico sul retro del divano era abbastanza per provare che la persona seduta lì era morta sul colpo. Non vedeva il foro d’uscita sul divano, il che significava che il proiettile doveva essere rimasto da qualche parte nella testa della vittima.
Poteva facilmente vedere due fori di proiettile nel muro della cucina, a circa otto centimetri di distanza. Riusciva a vederli dal divano. Ma se c’erano due spari lì, forse ce ne erano altri da qualche altra parte. Trovandoli, forse avrebbero potuto dare una ricostruzione più precisa della scena.
Andò al tavolino e si accovacciò. Se qualcuno ci era inciampato prima di essere colpito, l'assassino avrebbe dovuto mirare in basso. Si guardò intorno in cerca di altri colpi vaganti, ma non ne vide. L'assassino aveva apparentemente centrato il suo obiettivo.
Tuttavia, vide qualcos’altro, che non aveva nemmeno cercato. C'era una piccola scrivania contro il muro alla sua destra. Sopra c’erano un vaso e una foto incorniciata. Tra i piedi della scrivania c'era un cestino di vimini con vecchie lettere e libri. E infilato tra il cesto e le gambe di dietro della scrivania, c'era un cellulare.
Lo raccolse e vide che era un iPhone. Premette il pulsante di accensione e lo schermo si illuminò. La schermata di blocco era una foto di Black Panther. Premette il tasto Home, aspettandosi che venisse visualizzata la schermata del codice di sblocco. Invece, con sua sorpresa, non era bloccato e si aprì senza problemi.
Dev’essere il cellulare del figlio, pensò. E forse i genitori l'hanno truccato per impedirgli di inserire un blocco, così da avere libero accesso.
Le ci volle un momento per capire cosa stava guardando. Vide la faccia di un giovane ragazzo con delle strane fattezze simili a zombie, disegnate sopra la foto. Si accorse che era la schermata di Snapchat. Quello che aveva davanti era un video (o meglio, uno “Snap") che non era ancora stato inviato.
“Santo cielo” sussurrò.
Poi si rese conto di quanto fosse caldo il telefono. Guardò l'indicatore della