«Accidenti,» fece lei storcendo la bocca delusa, «proprio adesso che avevo trovato qualcosa di interessante.»
Fred la rimproverò con lo sguardo, lei si strinse nelle spalle.
«Sappi bene che questo è un ordine, e stavolta cerca di non fare di testa tua o trascinerai tutti quanti nei guai. Pensa a cosa stiamo rischiando, se scoprissero l’identità anche di uno solo di noi avremmo buttato via anni di lavoro... la Setta verrebbe spazzata via come un misero castello di carte.»
«E il Piano?» chiese Shasa guardandolo perplessa.
«Il Piano lo attueremo, ma non adesso. Ci serve ancora un po’ di tempo, ma non appena saremo pronti troveremo il modo di far saltare le Antenne. Quella è la cosa più importante, poi, se avremo lavorato bene, il resto verrà da sé.»
«Come faremo per incontrarci?»
«Quando verrà il momento, Tony attiverà la solita catena. Per ora non possiamo fare diversamente, dobbiamo aspettare.»
«Ma se non possiamo venire più qui, allora il nostro centro operativo cambierà?»
«Lo scopriremo soltanto più avanti, quando sarà il momento di rivederci.»
Shasa si guardò intorno dispiaciuta, dover abbandonare quella vecchia fabbrica in disuso la rattristò.
«Avanti, ora dobbiamo proprio andarcene. Stare qui diventa più pericoloso ad ogni minuto che passa» la esortò Fred cingendole un braccio intorno alle spalle, per spingerla verso la porta.
«Vedi di portare a termine i tuoi esperimenti sugli esplosivi» aggiunse, «ma fai in modo che mai, per nessuna ragione, qualcuno possa sospettare qualcosa.»
«Aspetta un attimo!» esclamò la ragazza puntando i piedi. Corse all’armadio, prese alcuni pacchetti di sigarette e se li infilò nella maglietta, poi chiuse la porta e si mise la chiave in tasca. Dette un’ultima malinconica occhiata in giro, dopodiché spense la luce e si avviò all’uscita.
Nicole non riusciva a stare ferma, il pancione le impediva di trovare una posizione comoda. Era seduta per metà sulla poltrona regolabile della sala d’aspetto vuota, con le gambe distese in avanti, per tentare di distrarsi continuava a sfogliare nervosamente una rivista senza leggerla. Avrebbe voluto potersi finalmente sfogare, mettere da parte paranoie e sentimenti per lasciarsi andare a un lungo pianto liberatorio, senza più pensare a niente. Ma sapeva che da un momento all’altro sarebbero arrivati loro, e lei non intendeva farsi sorprendere con le guance rigate dalle lacrime. Non voleva conceder loro questa ulteriore soddisfazione, voleva scacciare rimorsi e paure per poter guardare dritto in faccia quegli uomini malvagi, per mostrar loro tutto il suo disprezzo. Aveva dovuto accettare di prestarsi al loro folle progetto per proteggere le persone che amava, ma non era sicura che ciò che stava facendo fosse la cosa giusta. I suoi cari non avrebbero neanche saputo che si era sacrificata per loro, gli avrebbe lasciato in eredità soltanto delle vuote menzogne. Aveva dovuto continuare ad alimentare in loro la speranza che tutto sarebbe andato bene, che sarebbero tornati e essere la famiglia felice e perfetta di sempre, quando in realtà sapeva benissimo che non era vero. E ciò che più di tutto le faceva male era non aver potuto salutarli come avrebbe voluto, sebbene fosse consapevole che non li avrebbe mai più rivisti.
«Lieto di rivederla» esordì il dottor Lorentz affacciandosi alla porta. Le sue labbra, dischiuse in un sorriso compiaciuto, lasciavano scoperti i denti gialli e affilati. E’ davvero viscido come un ratto, pensò lei guardando disgustata i suoi capelli unti, che cominciavano a ingrigirsi sulle tempie.
«Avanti, mi segua!» si affrettò a ordinarle brusco lui, era risentito per il biasimo che aveva letto in quello sguardo. Lei si alzò con fare indolente, lasciò cadere a terra la rivista tanto per fargli un dispetto e lo seguì a testa alta. Entrarono nell’ambulatorio e oltrepassarono la porta nascosta per passare nella stanza segreta, lì Sir Jonathan e il dottor Lorentz avevano approntato la sala parto, convinti che avrebbero potuto agire indisturbati. Sir Jonathan li stava aspettando seduto in un angolo, ansioso ed emozionato, cercò il suo sguardo ma lei lo ignorò. Tirò dritta fin dietro il separé, indossò faticosamente il camice e andò a distendersi nel lettino, cercando con tutte le sue forze di non pensare a niente. Il dottore collegò vari sensori al corpo di Nicole ed effettuò un ultimo controllo.
«Deve pazientare ancora un po’, signora » la informò in tono confidenziale, per renderla partecipe di quell’assurda atrocità. Al termine del check-up le infilò un ago nell’avambraccio e aprì la valvola della flebo, il blando anestetico prese a scivolarle nelle vene goccia dopo goccia. Nicole cominciò a sentirsi intontita, in quel preciso istante capì il significato della parola “odiare”.
«Non ha niente da temere, vedrà che tutto andrà per il meglio» la rassicurò il dottore vedendo che la donna stava per cedere al panico. L’Anziano osservava estasiato quanto stava accadendo, era intento a registrare mentalmente ogni più piccolo particolare con un’avidità maniacale. Per lui si trattava di un momento unico, uno dei tanti che avrebbe contribuito a incidere per sempre il suo nome nel Grande Libro della Storia dell’Umanità.
«Deve sentirsi orgogliosa di essere stata scelta per il Progetto Cielo, non può avere la più pallida idea di quante fossero le candidate. E deve ritenersi fortunata, tra poco potrà incontrare Dio in persona» disse a Nicole. Lei chiuse gli occhi e non rispose, le contrazioni si stavano facendo sempre più frequenti e il dolore non lasciava più spazio neanche ai pensieri, adesso doveva semplicemente fare il proprio dovere nei confronti della Natura. Non le concessero di tenere in braccio suo figlio neanche per un attimo, la caricarono in fretta su di un’ambulanza per trasportarla in ospedale.
Pur non condividendo la scelta di Nicole di andare fino in fondo, Giuda si era costretto ad accettarla e si era inutilmente sforzato di starle il più vicino possibile. I suoi nervi erano ormai completamente logori, anche quella mattina aveva lasciato l’ufficio con una scusa perché là dentro si sentiva soffocare. Anche se col tempo aveva quasi imparato a controllarsi, talvolta era ancora colpito da saltuarie paralisi a causa dell’instabilità emotiva. Ma ogni volta che il chip interpretava l’eccesso di adrenalina nel suo sangue come una minaccia per sé stesso o per gli altri, interveniva spietatamente per metterlo in stand-by. Qualche tempo prima era stato colto da una crisi mentre era alla guida dell’auto, rendendosi conto che aveva rischiato di fare una strage era corso a far installare il Computer Direzionale, una sorta di pilota automatico. Percorrendo i viali lungo la costa, ornata dai prati ben curati e da snelli palmizi lievemente ondeggianti, si rese improvvisamente conto che era arrivata l’estate. Desiderò con tutto sé stesso trovarsi all’interno di uno di quei corpi rilassati,che si godevano il tepore del Sole attraverso il Filtro Deviante. Si tuffavano nell’acqua cristallina e dopo qualche istante riemergevano per nuotare in mezzo a un mosaico di vele colorate, palloni da sub e tavole da surf. Il suo cercapersone vibrò d’improvviso, lui puntò l’auto e accelerò prontamente in direzione dell’ospedale.
Giuda era ancora aggrappato all’esile speranza che tutto potesse andare bene, ma era più per amore di Nicole che non perché ci credesse davvero. Stava aspettando il verdetto davanti alla porta del reparto, inspirando profondamente per cercare di controllare i crampi alle gambe, che lo facevano barcollare. La porta si aprì e l’ostetrica gli venne incontro con passo lento, scuotendo la testa e senza guardarlo negli occhi. Lui si rese conto di non aver udito alcun vagito e sentì il mondo crollargli definitivamente addosso.
«Nicole!» disse dopo qualche istante, scuotendosi dallo choc che lo aveva come imbalsamato. «Devo vedere la mia Nicole.»
«Per adesso non è possibile, deve riposare perché è molto provata» gli spiegò l’ostetrica porgendogli il bicchiere d’acqua che aveva preso dal distributore automatico.
«Ora