“Come posso dire che mi piace tirare con l’arco se non l’ho mai provato e quando accade il gesto mi risulta facile e corretto? Come posso altrettanto affermare di saper interloquire o esprimermi ad un vasto pubblico quando non l’ho mai fatto, però quando mi ritrovo di fronte a centinaia di persone mi sento a mio agio e pieno di me? Come posso sentirmi unico e speciale e tutte le persone che mi circondano me ne danno conferma? Come posso desiderare di conoscere una cultura e una civiltà completamente diversa dalla mia a partire dalla storia, seguendo con la lingua, alle usanze e ai caratteri somatici, a tutto ciò che caratterizza una popolazione da un’altra, e poi studiandola trovarla straordinariamente affascinante e famigliare. A volte non ci sono spiegazioni a determinate cose, esistono, si provano e si portano avanti con la consapevolezza che non si possa dare a tutto una spiegazione, a volte bisogna vivere e farsi trasportare dal nostro cuore e dalla nostra anima, perché questi ultimi conoscono cose e mondi che noi non riusciremo mai a comprendere.”
Le notizie alla tv susseguivano come le canzoni, ma erano solo da contorno ai miei pensieri. Avevo appena terminato di mangiare e ora mi preparavo a uscire, oggi sarebbe stato il mio primo giorno di palestra e speravo che un po’ di fortuna m’avrebbe aiutato, sebbene non riponevo in essa il mio futuro.
CAPITOLO CINQUE – Incontri inaspettati –
Praticamente la quota d’iscrizione e i primi tre mesi d’abbonamento, il minimo richiesto, mi scipparono tutto il malloppo, lasciandomi in tasca la cifra per una pizza. Con la mia bella tenuta, mi ero preparato con estrema calma, avviandomi agli attrezzi. Sbrigate le pratiche con il personal trainer, cominciavo a mettere in moto muscoli da tempo inutilizzati. Cercavo di perdere più tempo possibile, anche perché, oltre a non esserci molta gente, non avevo nient’altro da fare e l’unico mio obbiettivo per oggi era riuscire ad incontrare e conoscere il mio futuro collega di lavoro. Giusto per scaricare un po’ i nervi e visto che era passata più di un’ora, mi misi a correre un po’ sul tapis roulant ascoltando la musica diffusa dall’impianto centralizzato. Non mi garbava moltissimo, ma certo, non avevo a disposizione un Ipod, quindi mi sarei dovuto accontentare.
Mentre era intento a guardare il video che passava nel monitor posizionato di fronte a me della canzone “Welcome to Saint Tropez”, fantasticando sulla mia vita futura. Con gli occhi pieni ancora di quelle splendide ragazze, ecco che si era sovrapposta nella traiettoria del mio sguardo una creatura mitologica, Medusa. Rimasi impietrito al solo suo sguardo. Non una parola riuscii a pronunciare inizialmente, e la sorpresa mi fece quasi inciampare suoi miei passi. Lei se n’era accorta e aveva accennato un leggero sorriso, nascondendolo immediatamente con l’estremità delle dita. Era così carina e spontanea da provocarmi una tenerezza immensa.
“Ciao, non sapevo frequentassi questa palestra, ma è da molto che vieni?”
“Ciao, che sorpresa. Non sapevo che fossi iscritta qui, anche perché se lo avessi saputo sarei venuto decisamente prima. Comunque sì, direi che oggi è il mio primo giorno, vuoi farmi da personal trainer?”
“Eh eh, non credo che tu ne abbia bisogno, e poi Paolo laggiù potrebbe essere geloso, non so se capisci, appena l’ho salutato era indaffarato a guardare il tuo lato B, io starei attento…a meno che…”
“A meno che…cosa? Non vorrai mica scherzare, non che abbia qualcosa in contrario contro gli omosessuali, anzi, più ce ne sono e meglio è per me…visto che sono single…tu che dici?”
“Sei sempre il solito. Certo che molte volte sono proprio uno spreco, ce ne sono molti di così carini…va beh…fa nulla…ora però ti devo salutare, vado, ho il corso di step che mi aspetta, quanto rimani ancora?”
“Ad esser sincero non lo so, però un’altra oretta sicuramente.”
“Bene allora, ci vediamo quando esco, anche se sarò irriconoscibile e puzzolente.”
Beh, secondo me sarai ancora più carina, era quello che avevo pensato ma che non ero riuscito a dirle perché oramai si era allontanata.
Era stata una vera e fortunata coincidenza. Non mi sarei mai aspettato di vedere Isabel in quella palestra, anche perché non avevo la minima idea di dove abitasse e cosa facesse nella vita. L’avevo conosciuta una sera in discoteca, accompagnata a casa e poi mai più richiamata. A essere sincero non le avevo nemmeno chiesto nemmeno il numero di telefono, per quello ero rimasto pietrificato quando l’avevo vista. Coincidenze della vita, pensai, anche se a esser sincero, credevo che queste, non esistevano affatto. Erano come i tasselli del Tetris, i quali girandoli e guardandoli sotto prospettive diverse riuscivano a incastrarsi perfettamente con situazioni e luoghi a volte improbabili, divenendo una volta posizionati, semplici e naturali. A volte non provocavano alcuna reazione, lasciando il gioco immutato, altre volte lo scombussolavano, semplificandolo all’invero simile, o complicandolo in modo irreparabile, o almeno facendolo sembrare così.
Una serie di meccanismi e ingranaggi dai quali non possiamo rifiutarci di intrometterci perché così facendo smetteremo di vivere, ma anche allora, quell’ingranaggio continuerebbe nella sua macchinazione, e in modo prestabilito, irromperebbe nella nostra vita in modo semplice o tragico, ma sicuramente inaspettato, magari citofonando alla porta per una promozione pubblicitaria o passando sotto casa portando a spasso il cane.
Quando però queste coincidenze accadevano nella mia vita, ovvero mi si erano presentate d’avanti, ed io, solamente dopo qualche ora, o qualche giorno, rimembrando su ciò che mi era accaduto, e rendendomene conto a mente lucida, cercavo di darne una spiegazione logica e razionale, e se non ci riuscivo, ovvero ogni occasione, basavo la mia fiducia sul fato, sul destino peccaminoso e crudele che si abbatteva su ognuno di noi. La mia persona si smaterializzava dal corpo e come un burattino comandato da fili invisibili in mano ad una forza superiore, si lasciava guidare e comandare senza nulla potere o nulla fare, se non acconsentire a ogni ordine e movimento impressomi, anche perché se decidevo di intraprendere un’altra strada credevo che la stessa era già stata prestabilita in principio. Insomma tutto ciò che avevo fatto, che facevo, e che un domani avrei fatto, lo immaginavo scritto in un foglio invisibile che potevo solamente scoprirlo giorno dopo giorno. E vedendola sotto questo punto di vista, nulla sarebbe stato nuovo o lasciato al caso e tutto ciò che mi avrebbe circondato, le persone, i paesaggi, gli animali, era parte anch’essi di questo percorso, e volente o nolente non lo potevano cambiare, forse scegliere, anche se quella scelta sarebbe stata esclusivamente e psicologicamente relativa.
“Sai, non credevo mi aspettassi.”
“A dire il vero, nemmeno io. Caspita è passata più di un’ora e non me ne sono accorto, tra un esercizio e un altro il tempo è volato. Ma fatti guardare. Ma tu non dovevi uscire sconvolta, sudatissima e irriconoscibile?”
“Perché non lo sono?”
“Beh si, però era per dire che hai rispettato le tue premesse, però sei carina ugualmente.”
“Grazie, che carino che sei, ma non ci starai mica provando?”
La domanda mi aveva lasciato, come dire spiazzato, e solamente perché ero già accaldato dalla corsa sul tapine roulant che non arrossì maggiormente.
“Certo che no, se volevo provarci con te, t’invitavo a cena, non credi.”