Obiettivamente non c’era un modo imparziale di determinare cosa era successo perché era impossibile registrare un Sogno e visionarlo in un secondo momento. Ogni Sogno era realizzato dal vivo e svaniva nella memoria alla chiusura. Diventò uno scontro tra la parola di Spiegelman e quella di chi recriminava. A quel punto era entrata in scena la Commissione Federale Comunicazioni, sempre sensibile al tema della manipolazione politica dei media.
Spiegelman era stato sospeso immediatamente, in attesa di una revisione del caso. Per un po’ era sembrato che sarebbero stati sospesi pure Schulberg, Bill DeLong e lo sceneggiatore; alcuni tra i cittadini più inviperiti avevano chiesto che fosse revocata l’intera licenza dello Studio. La Commissione Comunicazioni aveva deciso di non fare un passo tanto lungo, ma aveva nominato un proprio uomo, Gerald Forsh, critico navigato dell’industria Onirica, perché indagasse sull’incidente.
Quando Wayne era stato assunto per sostituire Elliott Spiegelman lo Studio era in pieno fervore. L’industria in generale, e la Dramatic Dreams in particolare, temevano che il caso potesse avere ripercussioni serie. Per attenuare le paure peggiori, le indagini di Forsch erano avanzate con deliberata lentezza. Lo stesso Forsch sarebbe arrivato di lì a un paio di giorni per sentire la versione dei fatti fornita dallo Studio. Dietro consiglio del suo avvocato, Spiegelman non rilasciava dichiarazioni pubbliche. Nell’industria Onirica era opinione unanime che Spiegelman sarebbe stato gettato in pasto ai lupi come vittima sacrificale. Gli avrebbero addossato tutte le colpe; sarebbe stato bandito per sempre da Onirica e la Dramatic Dreams ne sarebbe uscita con un semplice rimprovero duro. Ma il povero Mort Schulberg non l’avrebbe avuta vinta in nessun caso; anche se avesse salvato la sua attività il genero sarebbe stato disonorato e sbattuto fuori dalla professione per sempre. Sì, non c’era da stupirsi che Schulberg fosse abbattuto dall’affare Spiegelman.
Eppure la persona per cui Wayne si sentiva veramente dispiaciuto era Elliott Spiegelman. I Sognatori diventavano professionisti perché avevano delle visioni interne che dovevano esprimere. Nei tempi andati avrebbero potuto essere sacerdoti o scrittori, artisti, attori o insoddisfatti —quelli che vedevano le cose in modo diverso e cercavano di impregnare gli altri con le loro visioni. Nel lungo termine Sognare era un modo di compiere perfettamente quella missione comunicativa. Una volta assaporata quella perfezione, quale Sognatore avrebbe potuto accontentarsi di meno? La vita di Spiegelman comunque non era finita; c’erano altri modi in cui poter esprimere sensazioni ed emozioni. Ma nulla gli avrebbe donato la gloria e il potere che il Sogno portava con sé. Un Sognatore non più in grado di sognare era meno di un intero: il resto della sua vita avrebbe risuonato a vuoto.
Wayne rabbrividì e quel movimento involontario ricondusse i suoi pensieri al presente. Janet stava per uscire dall’ambiente, probabilmente per andare nel proprio ufficio. “Ehi” la chiamò Wayne mentre usciva. “Non so tu, ma io ho una fame da lupo. Perché non ce ne andiamo di sotto a vedere se è rimasto qualcosa nei distributori?”
Janet si fermò e si voltò per guardarlo con l’occhiata più strana possibile, come se cercasse di leggere un qualche significato segreto delle sue parole. “Ah, grazie Wayne” disse infine, “ma veramente io non ho tutta questa fame al momento. Forse un’altra volta.”
“E’ quel che dici sempre”. Le parole gli scivolarono fuori prima di poterle fermare.
Janet sospirò. “Lo so. Scusami. Apprezzo l’invito, davvero, ma…”
Si guardò i piedi evitando il contatto col suo sguardo. “Davvero, non penso di essere una compagnia adatta per nessuno, in questi giorni. Ho un sacco di cose personali da risolvere e non sarebbe giusto fartele pesare.”
Wayne rimase in piedi, incerto su come rispondere. Più di ogni altra cosa avrebbe volute dire: “Ti prego, vorrei che tu mi piangessi sulla spalla, vorrei che tu mi confidassi i tuoi problemi” —ma non sapeva come avrebbe reagito la donna a quell’invasione della privacy. E dicendole che i suoi problemi non lo disturbavano sarebbe parso che non li reputava tanto seri da preoccuparsene; e lei lo avrebbe ritenuto un cinico.
Era ancora impietrito per l’indecisione quando Bill DeLong arrivò lentamente nella stanza. Il coordinatore dei programmi era un uomo alto e dinoccolato, sulla cinquantina. I segni dell’età che portava sui capelli grigi a spazzola contrastavano con la scintilla di giovinezza che portava negli occhi. Vestiva casual, maglione e calzoni; era amichevole e alla mano, ma ciò non nascondeva la mente acuta che celava in sé.
“Coordinatore dei Programmi” era un titolo generico che copriva una moltitudine di peccati. DeLong era capo sceneggiatore, capo censore, responsabile della programmazione e consulente dello Studio a tutto tondo. Mentre Schulberg gestiva la parte finanziaria dell’attività, DeLong era il gerente della parte creativa. DeLong non era un Sognatore, ma era amico di tutti i Sognatori dello staff. Nel caso fosse richiesto, fungeva anche da padre confessore per chiunque avesse bisogno di un orecchio amichevole. Se Schulberg era il capo della Dramatic Dreams, DeLong era la sua anima.
“Janet, sono contento di averti trovata” la chiamò DeLong. Il suo accento aveva tracce riconducibili al Texas e all’Oklahoma. “Ho pronta per te la tua prossima sceneggiatura.” Le tese un blocco di carta fermato da una molla.
Sollevata per averla passata liscia, lei tornò rapidamente al suo solito carattere chiacchiericcio. “Non ci posso credere. Una volta tanto una sceneggiatura in anticipo? So che non è un regalo di compleanno perché il mio compleanno è stato tre mesi fa…. Cos’ho fatto per meritarmelo?”
“Accidenti, mica lo so. Oggi pomeriggio è arrivata Helen e ha detto che aveva avuto un’ispirazione che l’aveva fatta sbrigare. E’ pure buona. Qualcuno dovrebbe ispirare quella donna più spesso: quando ci si mette d’impegno è una buona scrittrice.”
“Bene. La guardo subito. Grazie.” Janet sorrise a DeLong poi si voltò e lasciò la stanza allontanandosi dal disagio che era rimasto nell’aria tra lei e Wayne.
“Jack ha promesso che la tua sarà pronta per domani pomeriggio” disse DeLong, voltandosi verso Wayne. “E’ un Western se ricordo bene.”
“Oh no, un altro” gorgogliò Wayne.
“Beh, non è che possiamo fare sempre l’Amleto. Perlomeno i Western sono veloci e apolitici.”
“Lo so. E’ che mi sembra di segnare il passo. Mi piacerebbe avere la possibilità di allungarmi un po’, di mostrare ciò che posso fare, invece di sprecare tempo ed energie su roba da scribacchini.”
“Ascolta me che ne so qualcosa,” disse con cortesia DeLong. “In qualsiasi professione creativa i migliori sono quelli che iniziano col lavoro sporco e poi fanno carriera. Shakespeare, Dumas, Dickens, Michelangelo e da Vinci erano tutti scribacchini. Prima di poter costruire cose più grandi hai bisogno di fondamenta solide. Ho visto un sacco di superstar accendersi dal nulla e abbagliare tutti per un po’; alla fine finiscono per spegnersi altrettanto rapidamente. Così forse sei lento, ma cavalchi un cavallo su cui scommettere.”
“Ma nel frattempo è tutto talmente frustrante” disse Wayne.
“Sì lo so. Senti, ma non stavi proponendo di andare a mangiare qualcosa mentre arrivavo? Non sono carino come Janet, ma mandar giù un boccone ci starebbe proprio bene, se ti va di aver compagnia.”
Wayne sogghignò. “Certo perché no? Andiamo.”
I due lasciarono lo Studio e uscirono dall’androne. L’edificio che ospitava la Dramatic Dreams non era ne’ nuovo ne’ particolarmente antico. I quadrati di linoleum bianco e marrone del pavimento avevano perduto splendore ma non erano ancora talmente malconci da dover essere cambiati. I muri bianchi e nudi erano graffiati e rigati ma erano danni a cui ci si abituava presto e poi non si notavano più. I pannelli di plastica chiara sul soffitto mostravano delle crepe e i tubi fluorescenti che arrivavano all’ascensore per due terzi