Soggiunse il duca: – Non sarebbe onesto
che noi volessen la battaglia torre
di quel che t'offerisco manifesto,
quando ti piaccia, inanzi agli occhi porre. —
Resta smarrito Ariodante a questo,
e per l'ossa un tremor freddo gli scorre;
e se creduto ben gli avesse a pieno,
venìa sua vita allora allora meno.
Con cor trafitto e con pallida faccia,
e con voce tremante e bocca amara
rispose: – Quando sia che tu mi faccia
veder quest'aventura tua sì rara,
prometto di costei lasciar la traccia,
a te sì liberale, a me sì avara:
ma ch'io tel voglia creder non far stima,
s'io non lo veggio con questi occhi prima. —
– Quando ne sarà il tempo, avisarotti, —
soggiunse Polinesso, e dipartisse.
Non credo che passar più di due notti,
ch'ordine fu che 'l duca a me venisse.
Per scoccar dunque i lacci che condotti
avea sì cheti, andò al rivale, e disse
che s'ascondesse la notte seguente
tra quelle case ove non sta mai gente:
e dimostrogli un luogo a dirimpetto
di quel verrone ove solea salire.
Ariodante avea preso sospetto
che lo cercasse far quivi venire,
come in un luogo dove avesse eletto
di por gli aguati, e farvelo morire,
sotto questa finzion, che vuol mostrargli
quel di Ginevra, ch'impossibil pargli.
Di volervi venir prese partito,
ma in guisa che di lui non sia men forte;
perché accadendo che fosse assalito,
si truovi sì, che non tema di morte.
Un suo fratello avea saggio ed ardito,
il più famoso in arme de la corte,
detto Lurcanio; e avea più cor con esso,
che se dieci altri avesse avuto appresso.
Seco chiamollo, e volse che prendesse
l'arme; e la notte lo menò con lui:
non che 'l secreto suo già gli dicesse;
né l'avria detto ad esso, né ad altrui.
Da sé lontano un trar di pietra il messe:
– Se mi senti chiamar, vien (disse) a nui;
ma se non senti, prima ch'io ti chiami,
non ti partir di qui, frate, se m'ami. —
– Va pur, non dubitar, – disse il fratello:
e così venne Ariodante cheto,
e si celò nel solitario ostello
ch'era d'incontro al mio verron secreto.
Vien d'altra parte il fraudolente e fello,
che d'infamar Ginevra era sì lieto;
e fa il segno, tra noi solito inante,
a me che de l'inganno era ignorante.
Ed io con veste candida, e fregiata
per mezzo a liste d'oro e d'ogn'intorno,
e con rete pur d'or, tutta adombrata
di bei fiocchi vermigli al capo intorno
(foggia che sol fu da Ginevra usata,
non d'alcun'altra), udito il segno, torno
sopra il verron, ch'in modo era locato,
che mi scopria dinanzi e d'ogni lato.
Lurcanio in questo mezzo dubitando
che 'l fratello a pericolo non vada,
o come è pur commun disio, cercando
di spiar sempre ciò che ad altri accada;
l'era pian pian venuto seguitando,
tenendo l'ombre e la più oscura strada:
e a men di dieci passi a lui discosto,
nel medesimo ostel s'era riposto.
Non sappiendo io di questo cosa alcuna,
venni al verron ne l'abito c'ho detto,
sì come già venuta era più d'una
e più di due fiate a buono effetto.
Le veste si vedean chiare alla luna;
né dissimile essendo anch'io d'aspetto
né di persona da Ginevra molto,
fece parere un per un altro il volto:
e tanto più, ch'era gran spazio in mezzo
fra dove io venni a quelle inculte case
ai dui fratelli, che stavano al rezzo,
il duca agevolmente persuase
quel ch'era falso. Or pensa in che ribrezzo
Ariodante, in che dolor rimase.
Vien Polinesso, e alla scala s'appoggia
che giù manda'gli, e monta in su la loggia.
A prima giunta io gli getto le braccia
al collo, ch'io non penso esser veduta;
lo bacio in bocca e per tutta la faccia,
come far soglio ad ogni sua venuta.
Egli più de l'usato si procaccia
d'accarezzarmi, e la sua fraude aiuta.
Quell'altro al rio spettacolo condutto,
misero sta lontano, e vede il tutto.
Cade in tanto dolor, che si dispone
allora allora di voler morire:
e il pome de la spada in terra pone,
che su la punta si volea ferire.
Lurcanio che con grande ammirazione
avea veduto il duca a me salire,
ma non già conosciuto chi si fosse,
scorgendo l'atto del fratel, si mosse;
e gli vietò che con la propria mano
non si passasse in quel furore il petto.
S'era più tardo o poco più lontano,
non giugnea a tempo, e non faceva effetto.
– Ah misero fratel, fratello insano
(gridò), perc'hai perduto l'intelletto,
ch'una femina a morte trar ti debbia?
ch'ir possan tutte come al vento nebbia!
Cerca far morir lei, che morir merta,
e