Orlando Furioso. Lodovico Ariosto. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Lodovico Ariosto
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Поэзия
Год издания: 0
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nel bosco orribilmente fiero,

      verso la terra ove la lite nuova

      de la donzella de' venir in pruova.

69

      Avean, cercando abbreviar camino,

      lasciato pel sentier la maggior via;

      quando un gran pianto udir sonar vicino,

      che la foresta d'ogn'intorno empìa.

      Baiardo spinse l'un, l'altro il ronzino

      verso una valle, onde quel grido uscìa:

      e fra dui mascalzoni una donzella

      vider, che di lontan parea assai bella;

70

      ma lacrimosa e addolorata quanto

      donna o donzella o mai persona fosse.

      Le sono dui col ferro nudo a canto,

      per farle far l'erbe di sangue rosse.

      Ella con preghi differendo alquanto

      giva il morir, sin che pietà si mosse.

      Venne Rinaldo; e come se n'accorse,

      con alti gridi e gran minacce accorse.

71

      Voltaro i malandrin tosto le spalle,

      che 'l soccorso lontan vider venire,

      e se appiattar ne la profonda valle.

      Il paladin non li curò seguire:

      venne a la donna, e qual gran colpa dàlle

      tanta punizion, cerca d'udire;

      e per tempo avanzar, fa allo scudiero

      levarla in groppa, e torna al suo sentiero.

72

      E cavalcando poi meglio la guata

      molto esser bella e di maniere accorte,

      ancor che fosse tutta spaventata

      per la paura ch'ebbe de la morte.

      Poi ch'ella fu di nuovo domandata

      chi l'avea tratta a sì infelice sorte,

      incominciò con umil voce a dire

      quel ch'io vo' all'altro canto differire.

      CANTO QUINTO

1

      Tutti gli altri animai che sono in terra,

      o che vivon quieti e stanno in pace,

      o se vengono a rissa e si fan guerra,

      alla femina il maschio non la face:

      l'orsa con l'orso al bosco sicura erra,

      la leonessa appresso il leon giace;

      col lupo vive la lupa sicura,

      né la iuvenca ha del torel paura.

2

      Ch'abominevol peste, che Megera

      è venuta a turbar gli umani petti?

      che si sente il marito e la mogliera

      sempre garrir d'ingiuriosi detti,

      stracciar la faccia e far livida e nera,

      bagnar di pianto i geniali letti;

      e non di pianto sol, ma alcuna volta

      di sangue gli ha bagnati l'ira stolta.

3

      Parmi non sol gran mal, ma che l'uom faccia

      contra natura e sia di Dio ribello,

      che s'induce a percuotere la faccia

      di bella donna, o romperle un capello:

      ma chi le dà veneno, o chi le caccia

      l'alma del corpo con laccio o coltello,

      ch'uomo sia quel non crederò in eterno,

      ma in vista umana uno spirto de l'inferno.

4

      Cotali esser doveano i duo ladroni

      che Rinaldo cacciò da la donzella,

      da lor condotta in quei scuri valloni

      perché non se n'udisse più novella.

      Io lasciai ch'ella render le cagioni

      s'apparechiava di sua sorte fella

      al paladin, che le fu buono amico:

      or, seguendo l'istoria, così dico.

5

      La donna incominciò: – Tu intenderai

      la maggior crudeltade e la più espressa,

      ch'in Tebe e in Argo o ch'in Micene mai,

      o in loco più crudel fosse commessa.

      E se rotando il sole i chiari rai,

      qui men ch'all'altre region s'appressa,

      credo ch'a noi malvolentieri arrivi,

      perché veder sì crudel gente schivi.

6

      Ch'agli nemici gli uomini sien crudi,

      in ogni età se n'è veduto esempio;

      ma dar la morte a chi procuri e studi

      il tuo ben sempre, è troppo ingiusto ed empio.

      E acciò che meglio il vero io ti denudi,

      perché costor volessero far scempio

      degli anni verdi miei contra ragione,

      ti dirò da principio ogni cagione.

7

      Voglio che sappi, signor mio, ch'essendo

      tenera ancora, alli servigi venni

      de la figlia del re, con cui crescendo,

      buon luogo in corte ed onorato tenni.

      Crudele Amore, al mio stato invidendo,

      fe' che seguace, ahi lassa! gli divenni:

      fe' d'ogni cavallier, d'ogni donzello

      parermi il duca d'Albania più bello.

8

      Perché egli mostrò amarmi più che molto,

      io ad amar lui con tutto il cor mi mossi.

      Ben s'ode il ragionar, si vede il volto,

      ma dentro il petto mal giudicar possi.

      Credendo, amando, non cessai che tolto

      l'ebbi nel letto, e non guardai ch'io fossi

      di tutte le real camere in quella

      che più secreta avea Ginevra bella;

9

      dove tenea le sue cose più care,

      e dove le più volte ella dormia.

      Si può di quella in s'un verrone entrare,

      che fuor del muro al discoperto uscìa.

      Io facea il mio amator quivi montare;

      e la scala di corde onde salia

      io stessa dal verron giù gli mandai

      qual volta meco aver lo desiai:

10

      che tante volte ve lo fei venire,

      quante Ginevra me ne diede l'agio,

      che solea mutar letto, or per fuggire

      il tempo ardente, or il brumal malvagio.

      Non fu veduto d'alcun mai salire;

      però che quella parte del palagio

      risponde verso alcune case rotte,

      dove nessun mai passa o giorno o notte.

11

      Continuò