Fioretti si profuse in discolpe e scuse, e baciandole le dita ingemmate, promise che ve l'avrebbe condotta l'indomani, e la sera appresso, e tutte le sere!
Quindi Nino si accommiatò, con molti inchini e baciamani; e Fioretti lo condusse sino alla porta.
– Chi è? – domandò Nino.
– Una « lady » dell'aristocrazia, – disse Fioretti. – Divorziata.
– Deliziosa, – disse Nino.
– Milionaria, – soggiunse Fioretti; e, stretta rapidamente la mano all'amico, tornò al suo tavolo.
Le tragiche donne del Cossa salmodiavano già le loro nenie quando Nino entrò in teatro. Prese posto in una poltrona di quarta fila; e subito il suo cuore si aprì al suono delle voci italiane. Il suo sangue latino pulsava in perfetto accordo colla sonora dolcezza delle parole familiari, colla graziosa violenza dei gesti noti.
All'improvviso entrò in scena la Villari, e tutto sparve per Nino all'infuori di lei. Fervida e sottile, ardente e leggiadra, ella tenne subito tra le piccole mani calde i cuori del placido pubblico inglese, scuotendone i nervi, costringendoli e attirandoli verso inusitate passioni.
Nino sedeva immobile, col cuore scosso da forti battiti, e si chiedeva se ella lo ravviserebbe. Ricordò la prima volta in cui gli occhi di questa donna avevano incontrati i suoi: al Manzoni, a Milano, quattro anni prima.
Come ricordava quella sera! Gli pareva ieri!… Si dava la « Saffo » di Daudet; e Nino era andato con la zia Carlotta e la cugina Adele in un palco di proscenio. Nel secondo atto egli rideva con Adele della veemenza della scena d'amore quando, all'improvviso, si accorse che la Villari lo guardava. Sì, guardava lui! Lo fissava con grandi occhi penetranti, lungamente, deliberatamente, mentre Jean le singhiozzava ai piedi. Poi ella pronunciò la famosa frase del Daudet: « Toi, tu ne marchais pas encore que moi déjà je roulais dans les bras des hommes », tenendo sempre gli occhi fissi e profondi sul viso di Nino. Capricciosa e bizzarra qual'era, aveva detto quelle parole in francese, in mezzo al dramma italiano, quasi per sottolinearle di più. Poi s'era voltata via ed aveva continuato la sua parte senza più badare a lui. E a Nino pareva di aver sognato. Adele era stata sarcastica ed acidetta tutta sera. Poi – ah, come Nino se lo ricordava! – il giorno seguente egli aveva mandato dei fiori alla Villari. (Essa se li aspettava!)… E una settimana dopo, le aveva mandato un braccialetto con brillanti e rubini, avendo venduto a questo scopo il pianoforte della zia Carlotta durante una sua assenza.
Ed oggi, ecco, ella gli stava davanti ancora, fervida e sottile, ardente e leggiadra, e Nino, immobile, col cuore palpitante, si domandava se essa lo ravviserebbe.
A un tratto ella volse gli occhi verso di lui e lo fissò con sguardo fermo e profondo. Tanto a lungo ella lo guardò che gli parve che tutti dovessero accorgersene, e Nino si sentì mancare il respiro per la commozione.
Quando cadde il sipario, le fece portare in camerino il suo biglietto di visita.
Ma ella si rifiutò di riceverlo. Nè volle vederlo alla fine del dramma. Il giorno seguente le mandò dei fiori (ella se li aspettava)! – ma quando andò a trovarla al suo albergo, gli venne detto che la signora non c'era per nessuno.
Così, egli assistette a nove delle dodici recite; ed ella continuò a non volerlo ricevere. Poichè ella era astuta e fine; e aveva trentotto anni; e conosceva il cuore degli uomini. Conosceva anche il proprio cuore; e più di una volta le era parso di scoprire in esso dei sintomi di ciò ch'ella chiamava una « cotta », una « toquade », per questo giovane Nino dalla testa ricciuta, dal riso leggiero, dagli occhi violenti.
Nunziata Villari temeva le sue « cotte ». E non a torto. Da tempo ne conosceva i disastrosi effetti. Sapeva quanto fossero dannose alla sua carnagione, rovinose pei suoi affari; torturanti nel loro svolgersi, e strazianti alla loro fine. E sopratutto le faceva paura una cotta per Nino; poichè Nino era uno di quelli dal naso di pasta frolla, e quindi sarebbe stato certo una fonte di sofferenze per lei.
Così, una sera dopo l'altra, Nino seduto nella sua poltrona al Garrick, la guardava e contava i giorni che gli rimanevano prima che ella ripartisse. Ogni sera ella era diversa: era Saffo e Maddalena; era Norah e Fedora; era Fedra e Desdemona. Ogni sera ella era davanti a lui tutta sorrisi o lagrime, tutta amore od odio. La vedeva dolce e spaventosa, feroce e ammaliante. La vedeva abbracciare e uccidere; contorcersi in morti delicate o terribili. Ella era la purità risplendente e il trionfale peccato. Era l'Eterno Feminino, l'immortale Amante – la sempre Desiderante e la sempre Desiderata.
Allorchè dopo l'undecima recita ella gli concesse finalmente di vederla, egli entrò nel camerino, pallido, con le labbra tremanti. Senza una parola di saluto, senza rispondere al sorriso di lei, si lasciò cadere su una seggiola e nascose il volto tra le mani. E ciò fece ridere Marietta.
Ma Nunziata Villari non rise. Comprese d'un tratto che in tutte le sere passate ella non aveva recitato che per questo Nino; che per lui, per lui solo, ella aveva singhiozzato e pianto, riso e delirato. E vedendolo ora davanti a lei, con la faccia tra le mani, chino il bel capo ricciuto, ella si sentì nel cuore quel palpito intermittente che riconosceva e paventava.
– Misericordia! – sospirò. – Ho paura che sia un'altra cotta!
Era un'altra cotta.
IX
Nella Casa Grigia a Wareside, Fräulein Müller leggeva ancora la Divina Commedia all'inconscio zio Giacomo. I fiori dei meli oscillavano nella mite aria primaverile. Le farfalle passavano come fiori alati sul capo di Edith che giaceva in un seggiolone al sole, troppo stanca per muoversi e troppo svogliata per leggere. La piccola Nancy correva per il giardino, coi ricci scompigliati, inseguendo i pensieri e le parole che le balzavano innanzi o le cantavano nella fantasia; e pensieri e parole si dividevano in strofe, si accoppiavano in rime, come fanciulli che danzano.
Sedute nell'ombra le due madri vegliavano; la signora Avory non distoglieva gli occhi dal volto di Edith se non per leggerle qualche libro, di cui presto la fanciulla si stancava. Valeria – placida e pietosa se Nancy era lontana – stringeva le labbra, fosca negli occhi, appena udiva Edith chiamare la piccina; e se questa correva all'appello, subito Valeria la chiamava, e la circondava con braccia gelose.
Allora il volto della madre di Edith si faceva duro e il suo cuore era invaso dall'amarezza. Si alzava rapida, e avvicinandosi ad Edith si chinava su di lei con parole incoerenti, cercando di distrarla, per non lasciarla accorgere delle crudeli paure di Valeria.
Sopra le inconscie teste delle loro figlie gli sguardi delle due donne si incrociavano, ostili e duri, ognuna proteggendo la propria creatura, ognuna accusando l'altra.
– Edith è ammalata, – dicevano gli occhi della signora Avory, – ma non voglio che lo sappia.
– Edith è ammalata, dicevano gli occhi di Valeria, – non voglio che Nancy le stia vicino.
– Non bisogna affliggere Edith, – dicevano gli occhi della signora Avory.
– Non bisogna esporre Nancy al pericolo, – rispondeva lo sguardo di Valeria.
– Mamma, – trillava all'improvviso la limpida voce di Nancy, – credi tu che Maggio sia una fanciulla?
– Cosa vuoi dire, cara?
– Ma sì! il mese di Maggio! non ti pare che sia una ragazza, bionda e inghirlandata, che passa correndo leggiera leggiera sui prati? e dove tocca le siepi col dito fioriscono!
– Sì, sarà così, gioia mia, – rispondeva sua madre, distratta.
– O credi piuttosto che sia un fanciullo, un ragazzo capriccioso e prepotente, coi ricci che gli cadono sugli occhi… Mi pare di vederlo correre all'impazzata per la campagna, scotendo i rami per far guardar fuori le foglioline spaurite e lanciando traverso il cielo gli uccelletti felici e sbalorditi.
– Sì, cara, sarà proprio così…
– Oh! mamma, non dài retta a niente, – rise Nancy, e corse via pel prato, improvvisando