Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10. Edward Gibbon. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Edward Gibbon
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Зарубежная классика
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a pregare nel tempio della Mecca. Ivi facea le sue abluzioni colle acque dello Zemzem; depose successivamente le sue carte su la cattedra e su la tomba dell'appostolo, e dalle quattro Sette ortodosse de' Sonniti fu approvata quell'Opera109.

      Da prodigi strepitosi era stata confermata la missione di Mosè e di Gesù, e gli abitatori della Mecca e di Medina eccitarono più volte Maometto a dare ugual pruova per la sua, a far discendere dal cielo l'Angelo e il libro che diceva d'averne ricevuto; a creare un giardino in mezzo al deserto, o a distruggere la città miscredente con un incendio. Tutte le volte ch'egli si sentia così cimentato da' Coreishiti, se ne sottrasse, vantando in modo oscuro il dono di visioni e di profezia; se ne appella alle pruove morali della sua dottrina, e si mette a coperto dietro la Providenza, la quale nega que' segni e quelle maraviglie che scemano il merito della fede, e la colpa aggravano della infedeltà; ma dal tuono modesto, o collerico, delle sue risposte trapela la debolezza e l'imbarrazzo suo, e que' passi sciagurati non lasciano dubbio veruno intorno all'integrità del Corano110. I suoi Settari parlano de' suoi miracoli più asseverantemente di lui, e la franchezza della loro credulità va crescendo quanto più son lontani all'epoca e al luogo delle sue imprese spirituali. Credono essi, o assicurano, che andassero gli alberi ad incontrarlo; che fosse salutato da' sassi; che scaturisse acqua dalle sue dita; che nudrisse miracolosamente i famelici, sanasse gl'infermi, risuscitasse i morti; che una trave mandasse gemiti al suo cospetto; che un cammello gli dirigesse lagnanze; che una spalla di agnello lo avvisasse ch'era avvelenata, e che la natura vivente del pari che la morta fossero sottomesse all'appostolo di Dio111. Fu descritto seriamente il suo sogno d'un viaggio che fece di notte, come se il fatto fosse vero e materiale. Un animal misterioso, il borak, lo trasportò dal Tempio della Mecca a quello di Gerusalemme, corse un dopo l'altro i sette cieli in compagnia dell'angelo Gabriele; nelle rispettive dimore dei Patriarchi, de' Profeti, degli Angeli ne ricevette, e restituì loro, la visita. Ebbe egli solo licenza di oltrepassare il settimo cielo; aperse il velame dell'unità; giunse a due tiri di dardo presso il trono di Dio, e tocco nella spalla dalla man dell'Altissimo, ne sentì tal freddo che gli passò il cuore. Dopo questa familiare e considerevole conversazione, calò di nuovo a Gerusalemme, risalì sul borak, tornò alla Mecca, e spese soltanto la decima parte d'una notte a compiere un viaggio di molte migliaia d'anni112. Giusta un'altra leggenda confuse in un'adunata nazionale i Koreishiti i quali gli facevano una maliziosa disfida. La sua prepotente parola divise in due l'orbe lunare; l'obbediente pianeta si rimosse dal suo cammino, fece sette rivoluzioni intorno alla Caaba, e dopo aver salutato Maometto, in lingua Arabica, si impicciolì ad un tratto, entrò pel collo della sua camicia, e ne uscì per la manica113. Queste novelle meravigliose son di trastullo all'uomo volgare, ma i più gravi autori Musulmani imitano la modestia del lor maestro, e lasciano una certa libertà di credenza o d'interpretazione114. Potrebbono rispondere che per predicare la religione non era necessario rompere l'armonia della Natura; che una fede priva di misteri non ha uopo di miracoli, e che la spada di Maometto115 non era men potente che la verga di Mosè.

      Il politeismo è oppresso e angustiato dalle tante superstizioni che ammette la sua credenza: mille cerimonie venute dall'Egitto erano frammiste alla sostanza della legge Mosaica, e lo spirito del Vangelo s'era dileguato entro la vana pompa del culto. Il pregiudizio, la politica o il patriottismo determinarono il Profeta della Mecca a consacrare le cerimonie degli Arabi, non che l'usanza di visitare la santa pietra della Caaba; ma spirano i suoi precetti una pietà più santa e più ragionevole; l'orazione, il digiuno, la limosina, son questi i doveri religiosi del Musulmano: gli viene data speranza che, nel suo pellegrinaggio verso il cielo, sarà dall'orazione portato a mezza strada, che il digiuno lo condurrà alla porta del palazzo dell'Altissimo, e che le limosine gliene apriranno l'ingresso116. 1. Secondo la tradizione del viaggio notturno, l'Appostolo, nella sua conferenza con Dio, ebbe ordine d'imporre l'obbligo a' suoi discepoli di fare cinquanta orazioni al giorno. Avendogli consigliato Mosè di domandare che scemato fosse questo fardello insopportabile, a poco a poco fu ridotto il numero a cinque, senza che gli affari, i piaceri, i tempi o i luoghi potessero dispensarne. Alla punta del giorno, a mezzodì, dopo pranzo, la sera, e nella prima vigilia della notte debbono i fedeli rinnovare gli atti della lor divozione, e quantunque sia ben menomato il fervor religioso, pure i viaggiatori rimangono edificati tuttavia dalla perfetta umiltà, e dal raccoglimento con cui sogliono orare i Turchi e i Persiani. La pulitezza è una introduzione alla preghiera; sin da' più remoti tempi, usavano gli Arabi lavarsi di sovente mani, viso e corpo: il Corano comanda espressamente queste abluzioni, e in difetto d'acqua permette il servirsi di sabbia. Dal costume e dalle decisioni de' dottori sono determinate le parole e le attitudini, se si debba star seduto, in piedi, o colla faccia in terra; ma consiste la preghiera in brevi e fervide giaculatorie; la pietà non è stancata da una noiosa liturgìa, ed ogni Musulmano, in ciò che lo risguarda, è investito del carattere sacerdotale. Fra i deisti che rigettano le Immagini, si è giudicato conveniente fermare il volo della fantasia fissando l'occhio e il pensiero verso un Kebla, o sia punto visibile dell'orizzonte. Da principio fu tentato il Profeta di prescegliere Gerusalemme, per divenire grato a' Giudei; ma presto si ricondusse ad una inclinazione più naturale, e cinque volte al giorno gli occhi de' Musulmani abitanti in Astracan, in Fez, in Delhi, stanno devotamente rivolti al santo Tempio della Mecca. Non pertanto sono tutti i luoghi ugualmente acconci al servigio di Dio; i Maomettani sono indifferenti a pregare in casa o in istrada. Per distinguerli dai Giudei e da' Cristiani, il lor Legislatore ha consacrato al culto pubblico il venerdì d'ogni settimana; ragunasi il popolo nella moschea, e l'Imano, per lo più vecchio venerando, sale il pulpito, fa l'orazione, indi una predica; ma la religion Musulmana non ha nè Sacerdoti, nè Sagrificio; e dallo spirito independente del fanatismo sono guardati con dispregio i ministri e gli schiavi della superstizione. 2. Le mortificazioni volontarie117 degli ascetici, tormento e vanto della lor vita, erano odiose ad un Profeta che biasima i suoi discepoli perchè han fatto voto d'astenersi dalle carni, dal sonno, e dalle donne, e che avea fermamente dichiarato che non soffrirebbe monaci nella sua religione118. Istituì peraltro un digiuno di trenta giorni all'anno; raccomandò premurosamente di osservarlo come cosa che monda l'anima e assoggetta il corpo, come un esercizio salutare d'obbedienza al voler di Dio e del suo Appostolo. Nel mese del Ramadan, dallo spuntare del sole sino al tramontare, il Musulmano non mangia, nè beve; si priva di mogli, di bagni, di profumi, nega a sè stesso ogni cibo atto a sostenere le forze e a fomentare qualunque piacere che può soddisfare i sensi. Secondo le rivoluzioni dell'anno lunare, il Ramadan cade alternativamente nel maggior freddo del verno, o nel più forte ardore della state, e per dare alla sete una stilla d'acqua, convien penosamente aspettare la fine d'una giornata cocente. Maometto è il solo che abbia fatto una legga positiva e generale119 della proibizione del vino, che nelle altre religioni è speciale per alcuni Ordini di sacerdoti o di romiti; e alla sua voce una parte considerevole del globo ha abiurato l'uso di questo salubre ma pericoloso liquore. Vero è che il libertino non si sottomette a queste disgustose privazioni, e l'ipocrita sa eluderle; ma non si può incolpare il Legislatore che ha posto questi regolamenti di sedurre i suoi proseliti coll'esca de' piaceri sensuali. 3. La carità de' Musulmani s'abbassa fino agli animali; e per quella che concerne agl'infelici e agli indigenti viene più volte raccomandata dal Corano, non solamente come opera meritoria, ma come un dovere assoluto e indeclinabile. Forse Maometto è l'unico Legislatore che abbia assegnata la precisa misura della limosina: sembra varia a seconda del grado e della qualità del possedimento, cioè secondo che gli averi consistono in denaro, in grani o in bestiame, in frutti o in mercanzie; ma per adempiere alla legge, debbe il Musulmano dare la decima delle sue rendite; e se ha peccato di frode, o di estorsioni, è tenuto, quasi per una specie di restituzione, a dare la quinta parte in vece della decima120. Necessariamente dee la benevolenza guidare alla giustizia, poichè ci è vietato di far danno a coloro che siamo obbligati ad assistere. Può bene un Profeta rivelare gli arcani del


<p>109</p>

Al-Bochari morì, A. H. 224. V. d'Herbelot, p. 208, 416, 827; Gagnier, Nota ad Abulfeda, c. 19, p. 33.

<p>110</p>

V. soprattutto i capitoli 2, 6, 12, 13, 17, del Corano. Prideaux (Vie de Mahomet, p. 18, 19) ha confuso quell'impostore. Il Maracci, che fa maggiore sfarzo di dottrina, ha dimostrato che i passi del Corano in cui si negano i miracoli di Maometto sono chiari e positivi (Alcoran t. I, part. II, p. 7-12), e che sono ambigui e inconcludenti gli altri che sembrano affermativi (p. 12-22).

<p>111</p>

V. lo Specimen Hist. Arabum, il testo d'Abulfaragio (p. 17), le note di Pocock (p. 187-190), d'Herbelot (Bibl. orient., p. 76, 77 ), i viaggi del Chardin (t. IV, p. 200-203). Il Maracci (Alcoran, t. I, p. 22-64) s'è affaticato a raccogliere o a confutare i miracoli, e le profezie di Maometto, che, secondo vari scrittori, ascendono a tremila.

<p>112</p>

Abulfeda (in vit. Mohammed, c. 19, p. 33) narra assai minutamente questo viaggio notturno, ch'ei tratta da visione. Prideaux, che pure ne parla (p. 31-40), aggrava gli assurdi; e Gagnier (t. I, p. 252-343) dichiara, seguendo lo zelante Al-Jannabi, che negare quel viaggio è lo stesso che non credere al Corano. Il Corano peraltro non nomina in quel proposito nè il cielo, nè Gerusalemme, nè la Mecca; non lascia sfuggire che queste mistiche parole; Laus illi qui transtulit servum suum ab oratorio Haram ad oratorium remotissimum (Koran, c. 17, v. I; nel Maracci, t. II, p. 407, poichè il Sale si fa lecita più libertà nella sua versione). Fondamento ben misero per l'aereo edificio della tradizione.

<p>113</p>

Maometto, nello stile profetico che adopera il presente o il passato in vece del futuro, avea detto: Appropinquavit hora et scissa est luna (Koran, c. 54, v. I; nel Maracci, t. II, p. 688). Questa figura rettorica fu presa per un fatto che dicesi confermato da testimoni oculari i più degni di fede (Maracci, t. II, p. 990). I Persiani sogliono sempre celebrare la festa di questo avvenimento (Chardin, t. IV, p. 201); e Gagnier (Vie de Mahomet, t. I, p. 183-234) noiosamente svolge tutta questa leggenda su la fede, per quel che pare, del credulo Al-Jannabi. Nondimeno un dottor Musulmano ha combattuto il testimonio principale (apud Pocock, Specimen, p. 187). I migliori interpreti spiegano il passo del Corano nel modo più semplice (Al-Beidawi, apud Hottinger, Hist. orient., l. II, p. 302); e Abulfeda serba il silenzio che a un principe e ad un filosofo si conveniva.

<p>114</p>

Abulfaragio (in Specimen, Hist. Arab., p. 17); e le autorità più rispettabili citate nelle note del Pocock (p. 190-194) vengono giustificando quello scetticismo.

<p>115</p>

Il buon credente troverà che non era da farsi cotal paragone. (Nota di N. N.)

<p>116</p>

Maracci (Prodromus, part. IV, p. 9-24). Reland (nel suo egregio Trattato De religione mohammedica, Utrecht, 1717, p. 67-123), e Chardin (Voyage en Perse, t. IV, p. 47-195) seguendo i teologi Persiani ed Arabi, danno una relazione autenticissima di que' precetti sul pellegrinaggio, su l'orazione, il digiuno, le limosine e le abluzioni. Il Maracci è un accusator parziale; ma il gioielliere Chardin avea l'occhio d'un filosofo, e il Reland, erudito giudizioso, avea corso l'oriente senza uscire di Utrecht. Il Tournefort narra nella lettera quattordicesima (Voyage du Levant, t. II, p. 325-360, in-8) quel che avea veduto della religione de' Turchi.

<p>117</p>

Maometto (Koran del Sale, c. 9, p. 153) rimprovera i cristiani perchè si sottomettono a' preti e a' monaci, ed abbiano così altri padroni fuorchè Dio. Il Maracci (Prodromus, part. III, p. 69, 70) scusa questo culto, specialmente pel Papa, e cita, collo stesso Corano, il caso d'Eblis o Satano, che fu precipitato dal cielo per non aver voluto adorare Adamo.

<p>118</p>

Koran, c. 5, p. 94, e la nota del Sale, che cita in proposito Jallalodino e Al-Beidawi. D'Herbelot dice che Maometto condannò la vita religiosa, e che i primi sciami di Fakiri, di Dervissi, ec. non comparvero che dopo l'anno 300 dell'Egira (Bibl. orient., p. 292-718).

<p>119</p>

V. le due difese in proposito (Koran, c. 2, p. 25; c. 5, p. 94); l'una nello stile d'un Legislatore, l'altra in quello d'un fanatico. Il Prideaux (Vie de Mahomet, p. 62-64) e il Sale (Discours préliminaire, p. 124) svolgono i motivi particolari e pubblici che indussero Maometto a così ordinare.

<p>120</p>

La gelosia del Maracci (Prodromus, part. IV, p. 33) fa l'enumerazione delle limosine più liberali ancora che si usano da' Cattolici di Roma. Dice che quindici grandi spedali accolgono migliaia di pellegrini e d'infermi; che annualmente sono dotate mille e cinquecento fanciulle; che vi son cinquantasei scuole di carità pe' due sessi, e che centoventi Confraternite recano sollievo a' lor Membri bisognosi, ec. Le carità di Londra sono anche più estese, ma temo non convenga attribuirle più all'umanità che alla religione del popolo inglese.