Secondo la tradizione de' suoi compatriotti, Maometto76 era insigne per avvenenza, vantaggio esteriore dispregiato soltanto da quelli che nol possedono. Prima di favellare, sia in pubblico sia in privato, si conciliava già il favore degli astanti. Applaudivasi al suo contegno che annunciava un uomo autorevole, alla sua aria maestosa, al suo sguardo penetrante, al suo sorriso piacevole, alla lunga barba, alla fisonomia in cui si leggevano i sentimenti dell'anima, al gesto che cresceva forza alle sue parole. Nella familiarità della vita privata non si dipartiva mai dalla civiltà grave e cerimoniosa del suo paese; i suoi riguardi verso i ricchi e i potenti erano nobilitati dalla condiscendenza e affabilità con cui trattava i cittadini più poveri della Mecca. La franchezza delle sue maniere velava l'astuzia delle sue mire, e l'urbanità prendeva in lui le sembianze d'affetto per la persona a cui parlava, o quelle d'una benevolenza generale. Vasta era e sicura la sua memoria, agevole l'ingegno e adatto alla società, sublime l'immaginazione, e il giudizio chiaro, pronto, decisivo. Aveva coraggio nel pensare come nell'operare, e benchè sia da credersi che i suoi disegni si allargarono gradatamente a seconda del buon esito, la prima idea che concepì della sua missione profetica porta l'impronto d'un ingegno straordinario. Educato in grembo alla famiglia più nobile del paese, avevane preso l'abito di parlare il più puro dialetto degli Arabi; e sapea contenere la facilità e l'abbondanza del discorso, e accrescerne il pregio con un silenzio usato a luogo e tempo. Con tutti questi doni dell'eloquenza, non era in fin fine Maometto che un Barbaro ignorante: non se gli era insegnato quand'era giovane, a leggere, nè a scrivere77; la universale ignoranza lo assolvea da vergogna e da rimprovero; ma fra limiti angusti era imprigionato il suo spirito, e mancava di quegli specchi fedeli che riflettono su la mente nostra i pensamenti de' saggi e degli eroi. Veramente il gran libro della Natura stava aperto davanti a' suoi occhi; nondimeno debbonsi attribuire agli autori della sua vita le osservazioni politiche e filosofiche che ne' suoi viaggi gli prestano78. Lo veggiamo, la mercè loro, fare confronti di tutte le nazioni e di tutte le religioni della terra, scoprire la debolezza della monarchia della Persia e di quella di Roma, osservare con isdegno e compassione il suo secolo degenerato, e formare il divisamento di unire sotto uno stesso re e uno stesso Dio l'invitto valore e le virtù prische degli Arabi. Più esatte indagini ci avvertono che Maometto non avea veduto le Corti, gli eserciti, i Templi dell'oriente; che consistettero i suoi viaggi nell'attraversare la Siria andando due volte alle fiere di Bostra e di Damasco; che avea soli tredici anni quando accompagnò la caravana dello zio, e dovè ritornare alla casa di Cadijah tosto ch'ebbe spacciate le merci da lei affidategli. Nelle sue corse precipitose e negligenti potè l'occhio acuto del suo grande intelletto penetrare cose invisibili pe' suoi rozzi compagni: potè quello spirito fecondo ricevere i semi di varie cognizioni; ma l'ignoranza in cui era dell'idioma siriaco avrà poi repressa moltissimo la sua curiosità, e di fatto io non iscorgo nella vita e negli scritti di Maometto che siensi mai allargate le sue mire oltre i confini dell'Arabia. La divozione e il commercio conduceano ogn'anno alla Mecca pellegrini da ogni Cantone di quella romita parte del globo. Per le libere comunicazioni vigenti fra questa moltitudine di persone poteva un cittadino qualunque aver modo di studiare nella lingua nativa lo stato politico e il carattere delle varie tribù, la dottrina e la pratica de' Giudei e de' Cristiani. Poteano gli Arabi aver avuta occasione d'esercitare l'ospitalità con alcuni stranieri utili ad essi, colà guidati da genio o da necessità, e i nemici di Maometto nominarono un Giudeo, un Persiano e un Monaco siriaco come cooperatori secreti nel comporre il Corano79. Il conversare arricchisce d'idee l'intelletto, ma la solitudine è la scuola del grand'uomo, e l'uniformità di un'opera annuncia la mano d'un autor solo. Si era dato Maometto interamente alla contemplazione religiosa; ogni anno si allontanava dalla gente non che dalle braccia di Cadijah nel mese di Ramadan; si ritraeva nel fondo della spelonca di Hera, distante tre miglia della Mecca80: quivi consultava lo spirito di frode o quello del fanatismo, il soggiorno del quale non è già in cielo, ma nella mente del profeta. Non vi ha che un Dio, e Maometto è l'appostolo di Dio: tale è la fede, che sotto nome d'Islam, predicò egli alla sua famiglia e alla sua nazione, e che così comprende una verità eterna, ed una favola evidente.
È lecito agli Apologisti della religione giudaica l'insuperbirsi perchè, in tempo che le favole del politeismo illudevano le nazioni dotte dell'antichità, da' lor semplici antenati serbavasi nella Palestina la cognizione e il culto del vero Dio. Non è agevol cosa81 il conciliare gli attributi morali di Jehovah colla norma delle virtù umane; le sue qualità metafisiche sono esposte in un modo oscurissimo; ma ogni pagina del Pentateuco e dei profeti attesta il suo potere: l'unità del suo nome è stampata su la tavola prima della legge, nè mai il suo santuario è macchiato da veruna immagine visibile della Essenza invisibile. Dopo distrutto il Tempio di Gerusalemme, la devozione spirituale della sinagoga depurò, determinò, illuminò la fede degli Ebrei proscritti; nè basta l'autorità di Maometto a giustificare il rimprovero ch'egli ha sempre fatto ai Giudei della Mecca o di Medina d'adorare Ezra come figlio di Dio82. Ma gli uomini d'Israello più non componevano un popolo, e tutte le religioni del Mondo aveano il torto realissimo agli occhi di quel Profeta, di dare e figli e figlie e colleghi al Dio supremo. Nella goffa idolatria degli Arabi si appalesa senza velo e senza sutterfugio questa pluralità; e malamente si salvavano i Sabei da tale accusa, colla preminenza che davano nella gerarchia celeste al primo pianeta o intelligenza; e nel sistema de' Magi la lotta de' due principii tradisce l'imperfezione del principio vittorioso. Parea che i cristiani del settimo secolo fossero a poco a poco ricaduti nella idolatria83; volgeano preghiere in pubblico ed in secreto alle reliquie e alle immagini che deturpavano i Templi d'Oriente; una folla di martiri, di santi, d'angeli, oggetti della venerazion popolare, offuscavano il trono dall'Onnipotente, e i Colliridii, eretici che nel fertile suolo d'Arabia fiorivano, alla Vergine Maria conferivano il titolo e gli onori di Dea84. Sembra che al principio dell'Unità Divina s'oppongano i misteri della Trinità e dell'Incarnazione. L'idea che naturalmente presentano è quella di tre Divinità uguali, e della trasformazione dell'uomo Gesù nella sostanza del figlio di Dio85. La spiegazione che danno gli ortodossi86 satisfa soltanto un credente: una curiosità, ed uno zelo smoderato aveano rotto il velo del santuario, e ciascuna Setta dell'oriente avea premura di confessare che l'altre tutte meritavano il rimprovero di idolatria e di politeismo. Il simbolo di Maometto non dà su questa materia motivo di sospetto, nè di equivoco. Il Profeta della Mecca rigettò il culto degl'idoli e degli uomini, delle stelle e de' pianeti, per quel ragionevole principio che tutto ciò che si leva dee tramontare, ciò che riceve vita dee morire, ciò che è corruttibile dee guastarsi e dissolversi87. Il suo entusiasmo, regolato dalla ragione, adorava nel Creatore dell'Universo un Essere eterno e infinito che non ha forma, nè occupa spazio, che non ha generato nulla, e a cui nulla si rassomiglia; che è presente a' nostri più occulti pensieri, che esiste per necessità della sua natura, e che da sè trae tutte quante le sue morali e intellettuali perfezioni. I discepoli del Profeta costantemente aderiscono a sì grandi verità88, e gl'interpreti del Corano le spiegano colla precisione de' metafisici. Un filosofo deista potrebbe sottoscriversi al simbolo