Napoli a occhio nudo: Lettere ad un amico. Fucini Renato. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Fucini Renato
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Книги о Путешествиях
Год издания: 0
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Dopo le ragioni sociali di tanta povertà architettonica, altra più potente ed efficace la troverai passeggiando in un giorno sereno lungo le magiche rive del Golfo, quando ti sentirai forzato ad esclamare con l'animo commosso: «E a che scopo lottare coi nostri piccoli cervelli mortali contro la più bella opera della natura?» Immaginati la cupola di Brunellesco all'ombra del Vesuvio e pensa.

      Mentre, ieri sera, mi perdevo dietro a tali fantasticherie, osservando dal parapetto della Via del Gigante la bruna mole del vulcano che tranquillo mandava al cielo la sua bianca nubeola di fumo, sentii dietro alle mie spalle un rumore nuovo come di molti e forti e lunghi sospiri. L'illusione mi fece credere ad un tratto fossero le ombre dei grandi evocate poco fa dal mio pensiero e mi voltai trepidante per salutarle… Era una mandra di dodici vacche in carne e ossa, sciolte e guidate da un solo guardiano, che tranquillamente scendevano a Santa Lucia, mescolate alla folla dei landaux principeschi, che scintillanti di borchie e di stemmi argentini movevano maestosamente verso la riviera di Chiaja.

      Quella apparizione improvvisa mi ricondusse bruscamente alla realtà, ed avendo gettato di nuovo lo sguardo sulla svariata moltitudine, rimasi qualche tempo ad osservarla ed entrando poi in una carrozzella, mi allontanai per diporto. Queste carrozzelle, quasi tutte incrostate profusamente di piastre d'ottone, sono comode, abbastanza eleganti e tirate da cavalli generalmente piccoli, ma di aspetto robusto; corrono regolatamente, ma assai celeri sotto le redini dei più esperti guidatori d'Europa dopo quelli inglesi. Il cavallo più selvaggio diventa un agnello nelle loro mani, il che deve anche attribuirsi all'esser tenute queste focose bestiole, invece che sul morso, sopra una forte seghetta munita lateralmente di due lunghe aste di metallo che formano due potenti bracci di leva, per mezzo dei quali ogni cavallo è trattato indistintamente come nelle altre provincie d'Italia si trattano per eccezione i più indomiti. Ma in ogni modo i cocchieri sono eccellenti. Con queste carrozzelle corrono, si insinuano in ogni più angusto passaggio e strisciano e s'incrociano continuamente in ogni verso. Ora si ficcano a trotto serrato giù per le più ripide chine ed ora si arrampicano come tarantole su per montate fortissime, e sempre vispi e sempre allegri, animando i loro ronzini con un diluvio di Iaah! Iaah! E mai uno scontro, mai un urto, mai un'arrotatura fra loro, in mezzo alla baraonda continua di altri legni, di pedoni, di cavallerizzi, di mandre di pecore, di capre e di somarelli carichi d'ogni ben di Dio che sgambettano, ragliano, sculettano e fanno tante altre cose che è un vero prodigio il sentire che noi pestiamo tanta roba senza esser mai pestati da loro.

      Spesso calando per una rapida scesa accade di sentire che il cavallo non cammina più, ma patina andandosene giù a rotta di collo di sdrucciolone in sdrucciolone… – Ci siamo! – dici subito fra te – San Venanzio miracolosissimo, eccomi nelle vostre braccia, assistetemi voi… Ehi! vetturino… ma che lavoro è questo? vetturino! – Il vetturino ti guarda e non risponde. – Bà… bada! bada a quella signora, a quel ciuco, a quel ragazzo, a quel ragazzo!.. – Chiudi gli occhi per non vedere un eccidio e ti volti in dietro, ma in quel momento senti rallentare la corsa, il cavallo ha smesso di patinare, cammina regolarmente e siamo in fondo, aaah! – Non hai anche finito il sospiro di consolazione che incomincia una salita del trentacinque o quaranta per cento. Il cavallo s'inerpica meglio d'una capra, si divincola, si ripiega su se stesso, dà falcate e scatta com'un ranocchio, ma il suo piede non attacca sulla lava lustra dall'incessante attrito… – Cocchiere, cotesto cavallo non ce la fa fino in cima. Vuoi tornare indietro, devo scendere? – Cavallo napoletano, signorino, non dubitate di nulla, cavallo napoletano – ei ti risponde, e a forza di tirate di briglia, di iaaah!, e di pizzicotti sotto la pancia, lo rallegra, lo tien ritto prodigiosamente e ti trovi arrivato in cima a certe pettate, dove se i cavalli avessero un po' di religione dovrebbero inginocchiarsi e nitrire un Teddeum a Sant'Antonio miracoloso. San Gennaro e Sant'Antonio devono essere in eccellenti relazioni fra loro.

      E da questo attrito, da questa enorme agglomerazione di popolo e da qualche cos'altro, resulta tutto quel lordume che ingombra le vie e che fa di Napoli una delle città più sudice d'Europa. Mi è stato detto da qualcuno che da dieci anni in poi è tanto rimpulizzita da non riconoscersi più. Me ne rallegro tanto tanto e non metto in dubbio quanto mi viene assicurato, ma confesso che la mia fantasia, s'arrabatti pur quanto vuole, non arriva ad immaginarsi un sudiciume più sudicio del sudiciume. – Se un cacciatore mi avesse detto che i corvi, dieci anni fa, eran molto più neri di quel che son ora, mi troverei nello stesso imbroglio.

      La monotonia non annoia per certo in questo paese. Ad ogni passo incontri qualche cosa di strano e di bizzarramente nuovo che attira la tua attenzione. Il sistema, per esempio, di utilizzare ogni quadrupede domestico come bestia da tiro, e l'originalità de' connubii che si vedono posti in atto con questi pazienti animali, somministra larghissimo campo al curioso osservatore. Certo non si troveranno i lupi e gli agnelli, i falchi e le colombe aggiogati allo stesso carro, ma un bove e un can mastino che gli faceva da trapelo io gli ho veduti da vero, come ho veduto un bufalo e un microscopico somaro tirare la stessa carretta. Ma questi casi non sono molto comuni. Comunissimi però sono quelli di altri accoppiamenti come: una vacca ed un mulo; un cavallo ed un somaro; due somari e un bove ed altri simili, dove questi filosofi diseredati se ne vanno d'amore e d'accordo, mugliando, nitrendo e ragliando senza rider mai, come se anch'essi la trovassero la cosa più naturale di questo mondo. – E nemmeno gli ovini sfuggono alla utilizzatrice poltroneria dell'Homo sapiens di questi paraggi. Su per una delle gradinate che conducono a Sant'Elmo, vidi una capra bardata di tutto punto con sella all'inglese e briglie e staffe elegantissime che caracollava sotto un cavallerizzo settenne, e in una via del basso porto una pecora che trascinava un piccolo carretto carico d'ortaggio. – Questo parrebbe il non plus ultra dell'originale, parrebbe che tutti dovessero fermarsi e sbellicarsi dalle risa davanti ad ognuna di queste apparizioni grottesche, ma nulla di tutto ciò. Ed è naturale, perchè se ad ogni originalità che ci capita sott'occhio ci dovessimo fermare, si farebbero forse venti passi in tutta la giornata in un paese, dove, fra le altre cose, possono vedersi esposti insieme alla vendita: acque ferruginose e fetz turchi; pane e reggiòle di maiolica; Gesù morti e olive indolcite; e poi miracoli bell'e fatti, eppoi ritratti senza testa e perfino botteghe di barbieri flebotomi, dove in pochi minuti e per pochi soldi ti levano il sangue, i calli, la barba, i capelli e la voglia di tornarvi, e chi sa quante altre belle cose che in tanta baraonda mi saranno sfuggite.

      Venite, correte, o pittori del passato, del presente e dell'avvenire; calate, calate a sfamarvi, o titani dell'arte, ai quali manca un soggetto; qui c'è pane per tutti i denti, perchè senza escire dalla città, anzi senza allontanarvi dal centro, troverete e motivi e soggetti da empir tele quante ne fabbrica l'Olanda. Anfore greche, pompejane ed etrusche; carriaggi andalusi; tipi di beduini e di ateniesi; costumi europei del Seicento come lettighe, portantine e rococò d'ogni genere; trasporti funebri spartani; cocottes parigine; cafoni e mandre della Sila e via e via e via. – Calate, calate, scegliete, scegliete e se avete occhi, mani e pennelli, arruotateli, strusciateli, consumateli fino alle barbe, perchè ora è tempo.

      Fermiamoci un momento ad osservare i venditori ambulanti: ma chi può tener dietro a questa fantasmagoria? Il numero di tutti questi urloni che, dal levar del sole a tarda notte, girano continuamente colla loro merce sulla testa o guidando per la coda piccoli somarelli stracarichi d'ogni ben di Dio, è favoloso. E venditori d'ortaggio, e pescivendoli e ostricari, e maruzzari e acquafrescai, e venditori d'ananassi, e di castagne, e di carubbe; e limonai, e aranciai, e ciabattini ambulanti, e venditori di giornali, di numeri del lotto, di stampe, di libri, di chincaglierie, di mazze, di burattini… ma chi è buono a contarli? E tutti urlano e nessuno si ferma e nessuno si cheta mai, mai, mai. Ogni dieci passi un versetto della loro piagnucolosa cantilena e via! e sopra ogni trivio una brevissima fermata, dove, guardando in aria e arroncigliando le labbra, berciano e gesticolano, finchè non vedono calare il panierino della loro cliente del settimo piano. Allora solamente si chetano, ma non per stare zitti, veh! Dio ne guardi! ma per contrattare la vendita a venticinque o trenta metri di distanza.

      È tale l'abuso che si fa di questo sistema, che assolutamente non mi avrebbe fatto maraviglia l'incontrare un chirurgo a tagliar gambe per la via o un sacerdote con l'altare ad armacollo dire la Messa correndo e il chierico e il popolo dietro per ascoltarla. O che non sarebbero intonate anche queste con tutto il resto? Io dico di sì.

      Il lustrascarpe urla invitandoti e fa tonfi battendo la spazzola su la cassetta;