Non dirò di Palermo, ove vi fu non solo costanza da parte dei pochi militi nostri e della inerme popolazione, ma sfacciataggine di cacciar via dalla città ventimila soldati che potevan far l’orgoglio di qualunque generale.
Alle prime prove dell’Italia contro i suoi eterni nemici, vi vorrà un Fabio che sappia temporeggiare: ed il nostro paese è tale da poter guerreggiare come si vuole; accettare o no una battaglia quando convenga, gettando frattanto alle spalle del nemico e su tutte le sue comunicazioni tutta la parte virile della nazione, non in guanti bianchi come soglionsi ricevere gli invasori – ma col ferro e col fuoco – fucilando il traditore che ha dato un bicchier d’acqua ad un assassino. Poichè è assassino chi invade proditoriamente la casa di un vicino e se ne fa padrone.
Allora verrà presto la parte di Marcello della spada di Roma, che potrà senza cerimonie attaccar di fronte il borioso nemico, e finalmente Zama, ove un nuovo Scipione torrà ad esso la voglia di venir ancora a mangiare i nostri fichi.
Anche in questo mi tormenta l’idea del prete, che vuol fare degli Itali tanti sagrestani. – E se l’Italia non vi rimedia, è un affare serio! I gesuiti non ponno far altro che: ipocriti, mentitori, e codardi! Vi pensi chi deve che, per marciare e dar delle splendide baionettate vi vuol gente forte.
Calatafimi sgombro dai nemici fu da noi occupato. La maggior parte dei nostri feriti era stata trasportata a Vita.
A Calatafimi trovammo i più gravi dei feriti nemici, e furon trattati da fratelli. – Avean qualche rimorso queste dominatrici famiglie dell’Italia, nell’aizzare le nostre popolazioni infelici, siccome mastini, le une contro le altre?
Rimorsi! Ma che rimorsi! Tutto il loro studio non era forse d’inimicarle, e tutto il loro interesse? – acciocchè continuasse ad esser difficilissimo, se non impossibile, l’unificazione della patria Italiana?
Sarebbe lunga la storia delle corruzioni e dei tradimenti di codesti signorotti per il diritto divino, oggi felicemente mendicanti per la maggior parte; tuttora però, traditori e pervertitori della nazione.
Le genti della Trinacria frattanto accorrevano ad ingrossar le fila dei Mille. Alcamo accoglieva i vincitori con tutto l’entusiasmo di cui sono capaci quei fervidi Meridionali. – Partinico fece di più: vedendo i nemici che sì crudeli eran stati cogli abitanti, ora sbandati e fuggenti, quella popolazione diede loro addosso, e sino le donne trucidarono di quei disgraziati.
Miserabile spettacolo! noi trovammo i cadaveri dei soldati Borbonici per le vie divorati dai cani!!!
Eran pure cadaveri d’Italiani che, se educati alla vita dei liberi, avrebbero servito efficacemente la causa del loro oppresso paese, ed invece come frutto dell’odio suscitato dai loro perversi padroni, essi finivano straziati e mutilati dai loro proprii fratelli con tale rabbia da far inorridire i Torquemada.
Dalle belle pianure d’Alcamo e di Partinico la colonna ascendeva per Borgetto sull’altipiano di Renne, da dove dominava la conca d’oro e la Regina dei Vespri – che confesso – se fra le sue cento città, Italia avesse una mezza dozzina di Palermo – da molto tempo lo straniero non calpesterebbe questa nostra terra. – E certo il Governo dei birri e delle spie o marcerebbe diritto o il diavolo se lo sarebbe portato via.
Renne sarebbe una posizione formidabile, se nello stesso tempo ch’essa domina lo stradale da Palermo a Partinico non fosse dominata dalle alture immediate a mezzogiorno e tramontana che appartengono ai monti irregolari che circondano la ricca vallata della capitale. Renne è famosa nella campagna dei Mille per due giorni di copiosa pioggia, passati senza il necessario per affrontare le intemperie, ove fu assai incomodata la gente, ma ove quel pugno di prodi provò: esser disposto ai disagi siccome a disperate battaglie.
CAPITOLO IX
I PRECURSORI
E tu onore di pianto Ettore avrai
Ove fia santo e lagrimato il sangue
Per la patria versato, e finchè il sole
Risplenderà sulle sciagure umane.
Prima del 5 maggio partivano da Genova due giovani con destinazione alla Trinacria. L’uno bellissimo e castagno di capigliatura, apparteneva a nobile famiglia dell’isola; l’altro avea la bellezza del plebeo meridionale, con una capigliatura d’ebano, un volto regolare ma bronzato, tarchiato e robustissimo. – Egli era, a non ingannarsi, uno di quella casta che la fortuna condanna a menar le braccia per la sussistenza, e che qualche volta stimolati da istinti generosi o dall’ambizione d’innalzarsi, si lanciano al di fuori dell’area in cui la sorte sembrava volerli circoscrivere; e, se coadiuvati dal genio, si vedono transitare dall’infimo della condizione umana ai gradini superiori. – Tali i Cincinnati, i Mario ed i Colombo.
L’Italia incontrastabilmente – paese di non comune intelligenza in tutte le classi – ha forse troppi di questi nobili plebei ambiziosi di migliorare od innalzare la propria condizione: ciocchè, senza dubbio, è causa d’aver essa in proporzione un’esorbitanza di cittadini repugnanti alle manuali occupazioni.
Per esempio, ho veduto in America dei giovani Italiani letterati, ridotti a non trovar impiego e quindi alla miseria; mentre i nostri operai, contadini, carpentieri, ecc., appena giunti eran cercatissimi, impiegati subito con splendidi salari, e vivevano perciò una vita agiatissima.
Nella propensione nostra quindi di salire nella scala umana, v’è bene e male – dipendendo dalla fortuna, accertare o no, l’uno o l’altro. – Comunque io consiglierò sempre a’ miei concittadini d’imparare un’arte manuale qualunque – ove troveranno sempre più robustezza che nelle occupazioni di scrivanie – e più sicurezza di guadagnar la vita in ogni parte del mondo – sopratutto poi, non dimenticar la massima di spender nove quando si possiede dieci.
Nell’anima dei due però, che si lanciavano a morte quasi sicura, v’era la devozione eroica dei Leonida e dei Muzio Scevola. – Rosolino Pilo e Corrao ponno giustamente chiamarsi i precursori dei Mille; e noi li trovammo in Sicilia dopo di una traversata portentosa, facendo propaganda emancipatrice, e solleticando i coraggiosi figli dell’Etna a sollevarsi colla promessa di pronti soccorsi dal continente.
Due individui e non più sbarcavano sulla loro terra – proscritti e condannati a morte – spargendo la loro santa propaganda, e senza esitare dirò: con tanta sicurezza come sulla terra d’asilo!
Sappilo, tirannide! e sappi che questa non è terra da spie! Tu hai perduto il tuo tempo, impiegando ogni specie di corruzione! Qui – su questi frantumi di lava – il tuo potere, brutto di sangue e di vergogna, è effimero!
Butta giù quella tua maschera di Statuto, a cui nessuno più crede, e mostrati col tuo ceffo deforme da Eliogabalo o da Caracalla – qui altro non è che questione di tempo – d’anni – che dico? forse di giorni. – Che s’intendano questi ringhiosi discendenti della discordia e della grandezza, e come nel Vespro, in poche ore, verun vestigio resterà più delle vostre sbirraglie.
Rosolino Pilo in una scaramuccia coi Borbonici – mentre i Mille facevano alcune fucilate nelle vicinanze di Renne – fu colpito da un piombo nemico, mentre si accingeva a scrivermi dalle alture di S. Martino, e stramazzò cadavere.
Italia perdeva uno dei più forti di quella brillante schiera, che col loro coraggio e nobile contegno menomano alquanto le sue umiliazioni e le sue miserie.
Corrao, men fortunato di Rosolino, dopo d’aver pugnato valorosamente in ogni combattimento del 60, morì di piombo italiano per gare individuali.
Il generoso popolo della Sicilia, io spero, non dimenticherà quei suoi due prodissimi concittadini.
CAPITOLO X
LE DUE EROINE
La donna bella, buona e coraggiosa
È un vero portento della natura.
Nel campo di Renne, ove i Mille eran sequestrati da piogge dirotte,