Arrigo il savio. Barrili Anton Giulio. Читать онлайн. Newlib. NEWLIB.NET

Автор: Barrili Anton Giulio
Издательство: Public Domain
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Жанр произведения: Зарубежная классика
Год издания: 0
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lo apre il signor cavaliere. —

      Il vecchio stette alquanto sovra pensiero; quindi osservò con molto giudizio:

      – La scienza è arcana, ed ama nascondersi. Aggiungi che alle persone di riguardo certe attenzioni bisogna usarle. Come ti chiami?

      – Happy, secondo l'uso di casa; Felice, secondo il registro battesimale della Mirandola.

      – Concittadino del tuo padrone, dunque!

      – Sì, illustrissimo, e ci siamo conosciuti, dirò così, da bambini.

      – Ah, meglio così! Tu devi amarlo molto, e conoscerlo… egualmente. Senti, Happy Felice, tu mi sembri un giovanotto d'ingegno svegliato.

      – Se ella lo dice…

      – I fatti lo dimostrano; la patria lo vuole; dovresti chiamarti Pico, senz'altro. Ho già avuto un saggio delle tue cognizioni in araldica. Il metallo che non si può mettere sopra un altro metallo… A proposito, scommetto che ti piacciono i marenghi. —

      E il vecchio Gonzaga avvicinava, così dicendo, il pollice e l'indice della mano destra al taschino della sottoveste, secondo la buona usanza degli antichi.

      – Scommetta pure, illustrissimo; – rispose Pico della Mirandola. – Guadagna di certo; specialmente adesso.

      – Perchè adesso?

      – Eh, si figuri! C'è l'aggio sull'oro. Stamane il listino porta novantaquattro centesimi, con tendenza spiccata a salire, essendoci molta domanda per i pagamenti all'estero.

      – Tu sai di cambio come d'araldica; – gridò il vecchio, ammirato. – Bravo! Vedi questo, se gli è di peso.

      – E di pregio, caspita! – rispose Happy, dopo avere osservato il marengo che gli aveva offerto così liberalmente il Gonzaga. – Conio del 1849, con l'Italia libera sull'esergo; questi si vendono cari per le raccolte.

      – E di numismatica come di cambio! – esclamò il Gonzaga, ridendo. – Ma già, che cos'è il cambio? Numismatica applicata al contante. Suvvia, arca di scienza, io ti ho aperto; – proseguì, mettendosi a sedere; – parla dunque, ti ascolto.

      – Di che cosa debbo parlare, illustrissimo?

      – Di tutto quello che sai. Sono lo zio, una specie di zio d'America, quantunque venuto dall'Asia, e posso, e devo, e voglio sapere ogni cosa. Il tuo padrone è in conferenza; ne avrà ancora per un pezzo; occupiamo dunque il tempo a parlare di lui. Come vive mio nipote?

      – Bene. – rispose il servitore.

      – Ma, dico a te che lo conosci da bambino, ha debiti? —

      Happy fece un gesto di meraviglia, e, se volete, anche di orrore.

      – Debiti, il mio padrone? Ohibò! Queste cose si lasciano ai figli di famiglia.

      – Ah! tu dici?.. Ma sai che mi levi un gran peso dallo stomaco? Sul serio, non ha debiti?

      – Neanche per sogno. E chi ha potuto darle ad intendere una simile sciocch… Oh, scusi, illustrissimo!

      – Dilla, dilla intiera; – replicò il vecchio giubilante. – E prendi quest'altro, in ricompensa della tua buona notizia. È un Luigi XVIII; servirà per la raccolta. Non ha debiti, dunque? Ma sai che è una maraviglia?.. —

      Il servitore si strinse nelle spalle, dopo avere intascato religiosamente la seconda moneta.

      – Ma che debiti! – esclamò. – Roba d'un secolo fa. Chi è che fa debiti, ora? Il mio padrone ha crediti, e molti; oserei dire fin troppi. —

      Il Gonzaga fu per mettere la terza volta le mani al taschino, ma si trattenne, per non dare nella caricatura,

      – Con le tue buone notizie tu saresti capace di rovinarmi, – rispose. – Dunque gli è un Creso?

      – Eh, – disse il servitore, – se lo intende per ricco sfondato, metta pure.

      – E che fortuna gli fai? sentiamo.

      – Così su due piedi, non saprei.

      – Prendi una sedia; non far complimenti.

      – Oh illustrissimo, le pare? Dicevo così per dire. Ma infine, calcolando alla grossa, se sa liquidare a tempo, ha già un milione e mezzo, come è certo che io ho, per grazia di Vossignoria, quarantuna lira e ottantotto centesimi. —

      Il signor Gonzaga non istette a fare i conti sull'aggio dell'oro. All'annunzio del milione e mezzo aveva già dato un balzo sulla poltrona.

      – Hai detto? – gridò, ficcando gli occhi addosso al servitore. – E se non sa liquidare?

      – Oh, non c'è questo pericolo, perchè il cavaliere conosce molto bene i suoi interessi. Ma posto il caso…

      – Sì, poniamo il caso; – disse il Gonzaga, che prendeva gusto alla conversazione.

      – Gli rimarrebbero sempre ottocento o che mila lire; – ripigliò il servitore segretario. – Ecco qua: centomila lire di rendita, comperata a ottantasei, rivenduta a novanta; veda un po' che affar d'oro. Ventiquattro azioni della Banca; le aveva a duemila, e sono ora a duemila trecento sedici. Buon titolo, perbacco; e crescerà, non dubiti, crescerà. La Banca sostiene lo Stato; lo Stato sostiene la Banca. E il Credito mobiliare? Il mio padrone è uno dei pochi che hanno creduto in tempo, e potrei dire che ha fiutata l'aria. Ha comperato ducento azioni a ottocento, ha rivenduto a novecento trentasei; ricavo netto… —

      Il vecchio non volle saper altro.

      – Va al diavolo! – gridò. – Ma come? Che zio d'America sono più io? Qui si nuota, si naviga nell'oro. Mio nipote… il figlio di mia sorella Cecilia… quel ragazzo che ancora tre anni fa, quando io ne ebbi le prime notizie, studiava leggi a Bologna!.. Ai miei tempi, l'oro, dagli studenti, era ancora annoverato tra i metalli preziosi. Si parlava con aria di mistero d'una miniera in Colco, custodita da un drago, che aveva una faccia da strozzino. Basta, meglio così. Quei debiti non erano mica la cosa più bella del mondo. Ci facevano anzi un po' di torto; senza contare che ci obbligavano a certi studi di topografia! I nostri successori, se Dio vuole, hanno mutata la faccia del mondo. Per altro, amano ancora, come noi, – osservò il vecchio, sorridendo. – Qui c'è discretezza e mistero. La conferenza lo dice chiaro. Anche di qua sento l'ambrosia, indizio del Nume. Bravo il mio giovane Arrigo! – seguitò, borbottando tra i denti, ed anche a volte mandando fuori le parole, alla guisa degli uomini che son vissuti lungamente soli e pensano, come suol dirsi, ad alta voce. – Amo chi ama la donna, e più ancora chi, amandola, mostra di rispettarla. Quando ero giovane io… Ma che fai tu, Pico della Mirandola? – diss'egli, interrompendo il monologo, per rivolgersi al servitore, che s'era accostato e tendeva l'orecchio.

      – Scusi, illustrissimo, stavo a sentirla; – rispose quell'altro, col suo ossequio condito di malizia. – È così istruttivo, il suo discorso!

      – Ah sì, vorresti anche imparare la storia antica, briccone? —

      Una scampanellata all'uscio di casa mozzò le parole in bocca a Pico della Mirandola, che già stava per rispondere alla celia del Gonzaga, e fu invece costretto a correre in anticamera.

      Il vecchio riprese la sua rassegna, ma questa volta con animo mutato e intieramente propenso all'ottimismo. Ottocento mila lire! Fors'anche un milione e mezzo! Che si canzona?

      Poco stante, entrava nello studio un nuovo personaggio. Era un uomo non vecchio, nè giovane, e aveva una di quelle facce asciutte a cui dareste trenta o quarant'anni, magari venticinque, o cinquanta, tanto è difficile raccapezzarsi, tra la barba fitta di color ferrigno e la poca carne che apparisce alla vista. L'aspetto poi era severo, quasi triste; gli abiti signorili, l'aria disinvolta, il passo franco dinotavano l'amico di casa.

      – Credo che si stia vestendo, perchè è tornato dianzi dalla sua cavalcata; – gli aveva detto il servitore, pronto alle invenzioni, e senza darsi pensiero della versione più esatta che s'era creduto in obbligo di confidare allo zio del padrone. – Se vuole aspettarlo qui, c'è anche suo zio,