– Sicuro, una fanciulla. Ma che strana tenerezza vi ha presa, che volete dappertutto quel fiorellino appena sbocciato? A teatro con voi; in carrozza con voi; a casa, non se ne parla neanche. E al solito capiterà per la prima. Badate, Giovanna; una marchesa che amai, quando ero giovane, cioè, quando ero più giovane, mi diceva…
– Qualche storiaccia delle solite!
– Bene, vi farò grazia della storia, vi riferirò soltanto la morale: “Noi donne abbiamo il torto di non esser gelose delle ragazze; e queste, frattanto, si prendono la nostra bellezza, si vestono della nostra grazia, e ci rubano il posto.„
– A me, – disse Giovanna, – non ha da rubar nulla.
– E non parlo per voi, moralizzo in genere; – rispose il conte. – Ma io, ora, vi faccio perdere un tempo prezioso, e dimentico di avere anch'io qualche cosa da fare. A rivederci tra un'ora, mia dolce amica, e non vi adirate con la mia esperienza. Quando saremo vecchi, ci servirà. —
Vispo come un ramarro, saltellante come una cutrettola, il ritinto Alcibiade se ne andò a prendere una boccata d'aria, non senza l'intenzione di dare una scorsa al suo circolo. La contessa si ritirò nelle sue camere per abbigliarsi. Mai, come quella sera, Giovanna di Castelbianco aveva avuto così poca voglia di mettersi in abito di ricevimento. Piuttosto, ne aveva molta di piangere; e non poteva, pur troppo, perchè la cameriera doveva venire a vestirla, e una padrona di casa, giovane e bella, non ha da farsi vedere mai con gli occhi rossi dalla sua gente di servizio.
La contessa Giovanna era pur da compiangere. I suoi ricevimenti, le sue feste, l'avevano gradevolmente occupata da principio, mettendo un po' d'allegrezza nei primi anni di un matrimonio malaugurato. La donna è così lieta di brillare, che per un tratto dimentica perfino di non esser felice. Ma l'uso, ahimè, toglie il pregio alle cose; si acquista l'abito della società, e i balli e i lieti ritrovi non hanno più quell'attrattiva che li faceva tanto desiderare dapprima. Sebbene, diciamolo, in quella scuola ristretta e geniale del mondo, quanto meno si gode lo spettacolo superficiale, tanto più s'incomincia ad osservare molte cose non vedute, o troppo leggermente, in principio, e si paragona, e si giudica, non sempre a proprio vantaggio, in mezzo a tanti esempi di colpe fortunate, di gioie effimere, ma non meno gradite, e di ebbrezze profonde. Crediamo così volentieri alla felicità degli altri, quando non ce n'è ombra per noi! Allora una povera donna, piena di sentimento e turbata da vaghe sollecitudini che nessun rimorso è ancora venuto a condannare, incomincia, senza volerlo, a cercare per sè. La cosa non è neanche difficile, poichè è lei la cercata, è lei la desiderata, e le tentazioni, sotto la veste dell'ammirazione, dell'omaggio, della preghiera, volano a lei come uno sciame d'amorini.
Fra i molti che la circondano e le dicono tante cose, anche quando non dicono nulla, c'è il prode capitano, che ha deposte le armi, terror dei nemici, per segnare il suo nome nel taccuino dalla guardia di madreperla; c'è il brillante gentiluomo, che alterna maravigliosamente i trionfi di salotto coi meets, il turf e lo sport; c'è l'uomo illustre ed ammirato, che sa interrompere una pagina destinata ai posteri, per iscrivere un madrigale sull'angolo d'un ventaglio; c'è il cavaliere pensoso, e sopra tutti pericoloso, che, mostrando di non saper nulla di nulla, accenna di esser disposto a commettere ogni pazzia; c'è, infine, il buono e compiacente giovanotto, che ambisce gli uffici del servitore, non aspettando altra ricompensa che il titolo d'amico, e lascia intorno a sè un profumo di modestia, che può farlo ricercare, in un momento di poetica tenerezza, come si ricerca all'odore la violetta de' campi. E che gioia, quando si crede di aver trovato! Che turbamento ai primi incontri, che battiti di cuore, che angosce, che contrasti dolorosi e cari! Ma la passione prorompe; non si resiste alla piena, e giova dar colpa di ogni cosa al destino; poi, quando si è travolti, avviene come in fondo a certe cascate della favola, che sotto allo scroscio vorticoso delle acque irrompenti nascondono un laghetto tranquillo, angolo riposto e felice, illuminato di miti trasparenze, non offeso dai raggi del sole, in cui si dimentica volentieri e si confida di essere dimenticati dal mondo. Vita, son queste le tue oasi verdeggianti. Ognuno reca ai primi incontri le sue doti migliori, la bontà serena, la grazia ingenua, la delicatezza squisita, la generosità commovente, infine, che vi dirò? l'anima vestita a festa. Ma non è festa ogni giorno: e giungono pur troppo, seguaci non prevedute ma certe, le ore della stanchezza, in cui la finzione si tradisce e l'inganno si scopre. Maschere geniali, addio; la commedia è finita. E v'hanno cuori che non si spezzano, alla triste scoperta, che non disperano, che cercano ancora, errando di delusione in delusione; tanta è la sete del vero! Ma, allora miei poveri cuori! A correrne parecchie, di queste prove dolorose, come giungerete laceri, irriconoscibili, o miei poveri cuori, alla meta!
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