— Sì, a Fathma. Come la trovasti tu?
— Mi pareva avere dinanzi…
Voleva aggiungere una uri di Maometto, ma le parole gli morirono sulle labbra.
— Una bella donna, vuoi dire.
— Presso a poco. E come mai tu pensi a lei?
— Perchè?… Credo di non dir troppo, se ti confesso che i suoi occhi mi hanno affascinato e che la sua voce mi toccò il cuore.
Se fosse stato giorno Notis avrebbe potuto vedere le labbra dell’arabo contrarsi e la sua faccia diventare cinerea.
— Ah!… si sforzò di dire Abd-el-Kerim.
«Quella creatura ti ha morso il cuore?
— Di’ invece che vi ha gettato una scintilla dentro.
— E questa scintilla sarebbe?
— D’amore.
L’arabo diede un sì violento strappo alla correggia che il mahari fu forzato ad alzare la testa. Notis se ne accorse.
— Che diavolo hai Abd-el-Kerim?
— Nulla, ho sostenuto il cammello che stava per inciampare contro un sasso.
— Uh! fe’ il greco. Non so come un sasso possa trovarsi fra questi terreni.
La conversazione finì li. I due mahari che avevano per un istante rallentata la corsa, la ripresero più velocemente salendo e discendendo le colline cosparse d’erbe spinose chiamate dagli indigeni alfèh, arse dai cocenti raggi del sole equatoriale
La pianura, rotta qua e là da radi ed intristiti palmizi e da qualche torrente pantanoso, andava allora allargandosi fiancheggiata all’est dalle selve che seguono il Bahr-el-Abiad nel tortuoso suo corso e all’ovest da piccole catene di montagne, dietro le quali giganteggiavano i monti Arab, Mussa, Scemela e Mantara.
A mezza notte avevano già percorso più di mezza via, e stavano per rallentare la corsa per dare un po’ di riposo ai due animali, quando in lontananza scoppiò improvvisamente una detonazione.
Abd-el-Kerim a quello scoppio sussultò.
— Hai udito, Notis? chiese egli, staccando dalla sella il remington.
— Distintamente, amico mio, rispose il greco senza scomporsi.
— Può essere qualcuno che corre un pericolo.
— E può essere stato anche un cacciatore.
— È impossibile.
— E perchè di grazia? M’hanno detto che in queste contrade amano cacciare il leone e tu sai meglio di me che quest’animale non si caccia che di notte.
— Tuttavia…
— Aggiungi che siamo in un paese sollevato a rivolta e che le spie dei ribelli non di rado vengono a ronzare attorno agli accampamenti egiziani. Lascia Abd-el-Kerim, che colui che tirò la moschettata si appicchi.
L’arabo non rispose, però eccitò il mahari e si sollevò maggiormente guardando innanzi a sè. Fu appunto elevandosi che scorse un’ombra giallastra galoppare furiosamente per la pianura.
— Oh! oh! Sta in guardia, Notis, che abbiamo un leone vicino, diss’egli.
— Quando è così, credo che faremo bene ad armare i remingtons. Spero che il signore del deserto non ardirà d’assalirci. Eh!…
Una seconda detonazione risuonò in lontananza, poi una terza un momento dopo.
— Ah! Notis, non è un cacciatore! esclamò Abd-el-Kerim. Te lo dico io.
— Hai delle idee strane, quest’oggi. Ti commuovi per due o tre fucilate!
— Abbiamo dinanzi a noi un mahari, Notis.
— Ebbene, e che vuol dir questo?
— Non sai… lo monta una donna, un uri…
— Chi? Chi?…
— È Fathma!
— Il mio amore! Vola, Abd-el-Kerim! Accorriamo!
La faccia dell’arabo si sconvolse trucemente a quelle esclamazioni, però non disse parola alcuna, Montò il remington e sferzò il cammello curvandosi in sella.
I due mahari partirono come il vento e salirono una collina che impediva di scorgere la sottostante pianura. Un quarto colpo di fucile ruppe il silenzio della notte e così vicino, da credere che colui che l’aveva esploso fosse appena a un cinquecento metri dalle alture.
Quasi subito s’udì un terribile grido:
— Aiuto!… Aiuto!…
— Ah! qual voce! esclamò Abd-el-Kerim, Corri Notis, corri!
Giunsero sulla cima della collina, e di là videro rovesciati in mezzo alla pianura un cammello e un uomo che si dibattevano disperatamente fra le sabbie, e a pochi passi da loro una donna, la quale mirava un gigantesco leone che volteggiavale vertiginosamente attorno con salti mostruosi.
— Notis!… È Fathma! gridò Abd-el-Kerim.
Con un salto da tigre si precipitò di sella, s’inginocchiò e puntò il remington. Il colpo partì. Il leone ferito alla testa fece un balzo di quindici piedi, gettando uno spaventevole ruggito.
S’arrestò colla criniera irta che lo faceva parere due volte più grosso. Sfuggì alle moschettate di Notis e di Fathma e s’avventò contro l’arabo che aveva tratto l’jatagan.
L’urto fu terribile. Uomo e leone caddero al suolo, l’uno gettando urla selvaggie e l’altro ruggendo orrendamente.
Notis volò coraggiosamente in aiuto di Abd-el-Kerim, ma prima che potesse giungervi vicino, questi erasi già sollevato coll’jatagan lordo di sangue fino all’impugnatura, calmo, sorridente, e con un piede sul corpo del leone che era morto sul colpo.
— Sei ferito?… Tu mi fai paura!
— Non aver timore, Notis, disse Abd-el-Kerim. Il leone è morto senza che abbia avuto il tempo di toccarmi le carni.
— Tu sei stato pazzo assaltarlo coll’jatagan.
— In questa notte e in questo posto avrei lottato con dieci leoni.
Afferrò il suo mahari per la correggia e si diresse a rapidi passi verso Fathma che si era inginocchiata accanto all’uomo. Notis lo seguì.
– Es-selàm-alekom (la salute sia con te) disse l’arabo all’almea.
Fathma alzò il capo, lo guardò per alcuni istanti con quei due occhi che fiammeggiavano, si rizzò in piedi e tendendo la sua piccola mano verso di lui.
— Sei un eroe! gli disse.
— Grazie, Fathma.
L’almea gli si avvicinò ancor più.
— Ah! tu sei quello che vidi a Machmudiech.
— Non t’inganni. Ecco qui il mio compagno.
— Allàh vi compensi del bene che mi avete fatto. Senza di voi sarei a quest’ora morta.
— E della tua morte non me ne sarei giammai consolato, adorabile creatura, disse galantemente Notis.
L’almea crollò il capo e un sorriso sfiorò le sue labbra, ma parve un sorriso amaro, forzato e forse anche ironico.
— Dove ti rechi? le chiese l’arabo.
— Al campo d’Hossanieh.
— Come noi. Mi pare che il tuo mahari e il tuo schiavo sieno morti,
—