— Ebbene, Abd-el-Kerim, chiese Notis, come mai non mi chiedi nulla di mia sorella Elenka? Avresti, per caso, dimenticata la fidanzata?
L’arabo trasalì leggermente e sulla sua fronte si disegnò una ruga.
— Ah! perdona, Notis, rispose egli. La tua presenza, la gioia di rivederti, me l’avevano fatta dimenticare. Come sta la mia bella fidanzata?
— Ti porto, innanzi tutto, un monte di saluti e una botte di proteste amorose, disse Notis ridendo. La piccina sta sempre bene, ma smania dalla voglia di rivederti e ha sempre paura che tu la dimentichi o che una disgraziata palla ti colga.
— Ha torto di temere che io l’abbandoni. Dal primo dì che la vidi sempre l’amai e spero ritornare da lei fedele.
— Tu sai già come sono le donne che amano, e quando queste donne sono greche. Sono sempre gelose di tutti e di tutto, gelose persino del sole, dell’aria, della luce.
— Povera Elenka, mormorò l’arabo. Se il Profeta mi conserverà in vita, la farò… felice.
La sua fronte s’abbuiò e la fiamma vivace che brillavagli negli occhi si spense.
— Hai qualche funesto presentimento, Abd-el-Kerim? chiese il greco celiando.
— No, e spero di non averne mai. Sono fatalista come quelli della mia razza, e ciò basta per tranquillarmi anche nei più terribili momenti.
«Cambiando discorso, che si fa a Hossanieh?
— Si ozia sempre. Dhafar pascià senza i rinforzi che devono venire da Chartum non si metterà in campagna. Manchiamo totalmente di artiglierie e tu sai che senza queste non si possono affrontare i ribelli.
— Temo che i rinforzi arrivino molto tardi. La spedizione di Hicks pascià costò dodici milioni ed ora le casse sono vuote. E che nuove dal Sudan?
— Sempre tristi, Notis. Il Mahdi è più forte che mai e non so come lo vinceremo.
— Bah! fe’ il greco, alzando le spalle. Non dò due mesi di vita a quel falso profeta. Aspetta che veniamo alle mani colle sue orde e tu le vedrai squagliarsi come neve al sole.
— Non illudiamoci, Notis, e non disprezziamo troppo quegli insorti che l’anno scorso hanno schiacciato completamente 8000 Egiziani di Yussif pascià e che hanno espugnato El-Obeid. Credi a me, abbiamo un osso duro da rodere.
— Ma coi cannoni e coi remingtons lo si roderà.
— Gli Egiziani hanno paura del Mahdi e dei suoi terribili guerrieri.
— Eh! via! Siamo in molti e bene armati.
— Ma disorganizzati. Allàh non voglia che noi abbiamo ad essere vinti: se veniamo rotti, neppure uno rientrerà in Chartum, te lo dico io, Notis. Non si darà quartiere a nessuno, nemmeno ai feriti.
— Abbiamo Hicks pascià che ci guida, Abd-el-Kerim.
— Peggio che peggio. Questi Inglesi non sono ben visti dagli Egiziani, la maggior parte dei quali ben si ricordano del bombardamento d’Alessandria e dell’eroico Arabi pascià. E poi, che conoscenza hanno del Sudan, gl’Inglesi?
— E Aladin pascià, non lo conti?
— Aladin è un comandante sottoposto agli ordini dell’inglese e dovrà curvare il capo per forza.
— A ogni modo si vedrà.
— E a Chartum che si dice della insurrezione? chiese Oòseir.
— Si ha paura che non la si possa domare, rispose Notis. Eppoi vi sono molti abitanti che parteggiano per il Mahdi, credendo realmente che egli sia l’inviato di Dio.
— Di già?
— Eh! fe’ il greco, alzando una mano e facendo schioccar le dita. Vi sono in città dei partigiani del ribelle, i quali fanno proseliti su larga scala.
— Quel cane di Mohamed Ahmed è fortunato.
— E anche un grand’uomo, disse Abd-el-Kerim.
— Zitto, dissero improvvisamente alcuni arabi.
— Che c’è? chiese Notis, stizzito da quell’intimazione.
— Udite?…
Al di fuori si suonava un cembalo e tratto tratto s’udivano fragorosi battimani uniti alle grida di:
— Viva l’almea!
— Che succede? domando Oòseir, alzandosi.
— Pare che s’avvicini qualche almea, rispose Abd-el-Kerim. Stiamo qui che verrà a danzare.
— Se la popolazione applaude, deve essere una celebre almea, osservò Notis.
— È Fathma, la più bella danzatrice del Sudan, disse un arabo.
Il suono del cembalo s’avvicinava e si arrestò dinanzi alla porta del caffè. S’udì un fruscio di vesti di seta e un istante dopo una donna entrava nella stanza. I tre ufficiali saltarono in piedi mandando un grido d’ammirazione e di sorpresa.
La donna che entrava era una creatura di bellezza straordinaria, irresistibile, una di quelle creature nelle quali sembra che Dio abbia voluto dare un saggio della forza di bellezza, di seduzione e di incanto a cui può arrivare una donna. Poteva avere appena vent’anni, alta, robusta, vivace, dalle forme voluttuosamente tondeggianti e stupendamente sviluppate.
Era di colorito bruno, ma di un bruno caldo, con una testa superba, con grandi occhi neri, tagliati a mandorla, vivi, scintillanti come neri diamanti, sormontati da folte sopracciglia arcuate, labbra coralline, carnose, procaci che lasciavan vedere i candidi denti, che parevan purissime perle. Dal rosso tarbusch scendevano fluttuanti e profumati capelli che ricadevano come vellutato mantello sulle robuste spalle, tutti cosparsi di monetucce d’oro.
Vestiva una leggera gonnella di seta azzurra, ornata di frange d’oro, stretta mollemente sotto il petto da una ricca cintura tempestata di stellette d’argento e scendente fino ai calzoncini bianchi che le coprivano le gambe; un giubbettino rosso le racchiudeva armonicamente il turgido seno, e nascondeva i nudi e piccoli piedi in babbuccie di marocchino giallo. Gran copia di aurei cerchietti d’oro le rifulgevan attorno alle ignude, bellissime e tondeggianti braccia.
— Ah! l’ammirabile almea! esclamò Notis.
Infatti quella stupenda donna era un’almea araba. Le almee, sono danzatrici e cantanti sparse per l’Egitto e pel Sudan, che per la loro coltura e studiata grazia si considerano come il fiore delle donne egiziane. Esse conoscono le regole della poesia e sanno improvvisare e comporre canzonette e balli a seconda delle circostanze e prendono parte a tutte le adunanze di giocondità e a tutti i festini in cui esse sono sempre il principale ornamento. Formano la delizia delle giovani donne degli harem, alle quali insegnano tutte le moal o elegie che sanno, raccontano storie galanti o danno lezioni di ballo; assistono alle pompe matrimoniali precedendo il corteggio della sposa e seguono persino i funerali cantando moal lamentevoli, piangendo e dimostrando un tal dolore che qualcuno potrebbe credere che facciano ciò da senno e di cuore anzichè indotte dal prezzo della mercede.
L’almea, entrata nel caffè, dopo di aver salutato gli astanti con un sorriso affascinante e d’aver dispensato baci colla punta delle sue manine, s’avvolse in un azzurro velo.
Quasi subito entrò un giovane schiavo munito di un cembalo. Egli si assise in un canto e, dopo di aver suonato per qualche minuto, gridò:
— Nahbè ia (ecco l’ape!).
L’almea che aveva di già cominciato a danzare con brevi passi e flessuosi molleggiamenti sui fianchi facendo ondeggiare graziosamente il velo e tintinnare i cerchietti d’oro delle braccia, a quel grido si era subitamente arrestata, guardandosi attorno con profondo terrore.
— Ah! esclamò Notis. Eseguisce la