Il capitano dei basci-bozuk prese un sentiero aperto in mezzo a un campo di dùrah che conduceva alle grandi foreste del Bahr-el Abiad; Abd-el-Kerim gli si mise dietro, ma senza quasi sapere ove andasse e col pensiero fisso a tutt’altra cosa che alla compagnia dei basci-bozuk.
— Ehi! Abd-el-Kerim, gli chiese Hassarn, dopo qualche tratto di cammino. Che diavolo hai che sei muto più d’un pesce?
— Nulla, rispose l’interpellato seccamente.
— Penseresti per caso, a quella bella ragazza che hai condotta questa notte nel campo?
Abd-el-Kerim trasalì e lo guardò sorpreso.
— Come sai tu questo?
— Bah! fe’ Hassarn, alzando un braccio come uomo che la sa lunga. Credi tu che escano ed entrino nel campo persone senza che io lo sappia? Ti dirò che tu sei arrivato in compagnia di Notis e che la bella almea riposava fra le tue braccia. Dove sei andato a pescare quella urì?
— La trovai venendo da Machmudiech, nel momento che un leone stava per assalirla. Perdette lo schiavo e il cammello, perciò la feci salire sul mio.
— Sulle tue braccia, corresse maliziosamente Hassarn.
— Come vuoi.
— E tu uccidesti il leone?
— Puoi immaginartelo.
— Sfido io! Si trattava di far vedere la propria valentìa dinanzi a Fathma.
— Fathma? La conosci forse tu?
— E da molto tempo, Abd-el-Kerim.
— Chi è? da dove viene? Dove va?
— Corri come i miracoli di Mohammed. Ti dirò innanzi a tutto che è un’almea dagli occhi che paiono diamanti neri, dai piedi lunghi come un petalo di rosa e che ha le mani più piccole di una urì del Profeta.
— Lo so, e poi?
— E poi non ne so di più. Ti interessa molto quell’adorabile creatura?
— Molto, rispose Abd-el-Kerim con slancio appassionato.
— Oh! esclamò Hassarn. Avresti per caso dimenticata la bella Elenka?
— Non parlarmi di lei, Hassarn.
— Bada, che Elenka è una iena.
— Ed io un leone! rispose fieramente l’arabo.
Il capitano gli si avvicinò e ponendogli amichevolmente una mano su di una spalla:
— Abd-el-Kerim, disse. Tu questa notte hai avuto di che dire con Notis.
— Mi spiasti, Hassarn?
— Il campo ha orecchi e occhi. Se non vuoi dirmelo tu, ti dirò che ronzavate tutti e due attorno a una casupola e che questa casupola era l’abitazione di Fathma, poichè fu vista entrare. Sareste rivali?
Abd-el-Kerim non rispose. Egli era diventato improvvisamente cupo.
— Non rispondi, ma leggo nel tuo cuore come legge il Profeta e forse più, Abd-el-Kerim.
— E che leggi?
— Amore, amore e amore per…
— Per chi?
— Per Allah! Amore per Fathma!
— Zitto imprudente, mormorò l’arabo guardandosi sospettosamente attorno.
— Confessi adunque che io lessi giusto.
— Non posso negarlo. Amo Fathma.
— Ed Elenka? E Notis?…
— Cancello l’una e aborro il secondo che minaccia diventare mio rivale!
L’arabo fece un gesto di spavento. Avrebbe voluto riafferrare e ricacciare in gola quelle parole uscitegli imprudentemente dalle labbra. Sentì una fitta al cuore; chinò il capo sul petto e sospirò.
— Povero Abd-el-Kerim! esclamò Hassarn.
— Non compiangermi!… Ah!.... Se tu sapessi qual lotta ferve nel mio cuore! disse ferocemente l’arabo. Quale mai delle due?
— Tu pensi ancora ad Elenka, adunque?
— Forse. Non so, per quanto mi sforzi, non riesco a cancellarla totalmente. L’ho sempre dinanzi agli occhi, bella, divina.... Eppur non l’amo!
D’un tratto si arrestò, afferrando bruscamente la carabina. Erano allora arrivati sul limitare della grande foresta che si estendeva a perdita d’occhio dal sud al nord, seguendo il tortuoso corso del Bahr-el-Abiad.
— Che hai? gli chiese Hassarn, armando per ogni precauzione una pistola.
— Abd-el-Kerim si guardò d’attorno con circospezione, figgendo l’acuto suo sguardo sotto gli alberi che strettamente uniti toglievano quasi la vista.
— Mi sembrò d’aver udito un fruscio fra i cespugli, disse poi.
— Sarà stato qualche scimiotto. Tu sai che in queste foreste abbondano.
— Che ci sia qualche spia?
— Potrebbe darsi. Il Mahdi ha della gente coraggiosa, che non ha paura di avvicinarsi agli accampamenti egiziani.
L’arabo fece cenno al capitano di tirar innanzi, continuando a guardarsi d’attorno e aprendo con precauzione i cespugli. Dopo dieci minuti essi giunsero ad una specie di zeribak, nell’interno della quale stava accampata una compagnia di basci-bozuk a piedi.
Il sergente che la comandava si fece loro incontro.
— Che nuove? chiese Hassarn.
— Nessuna, rispose il sergente. I ribelli fino ad ora non si sono spinti fin qui ma.... non avete incontrato nessuno? Ho veduto....
— Chi? domandò Abd-el-Kerim.
— Una apparizione.
— Spiegati per Allàh! esclamò Hassarn, mosso in curiosità.
— Che so io? Ho veduto passare un fantasma, vestito stranamente, e che potrebbe darsi che fosse un ribelle. È passato or ora a cento passi da qui.
— Oh! oh! fe’ Hassarn. Chi può essere mai? Abd-el-Kerim, sei in vena di accompagnarmi, intanto che i basci-bozuk fanno i bagagli?
— Ho la mia carabina e ciò basta. Ti seguirò fino al deserto di Korosko, se tu lo vuoi.
— Basta così. Tu sergente fa levare il campo e se non ci vedi tornare, incamminati per Hossanieh. Potrebbe darsi che noi tardassimo assai e che prendessimo un’altra via.
Arabo e turco volsero le spalle alla zeribak, internandosi nella foresta, seguendo un sentieruzzo appena visibile pel quale era passato il fantasma. Avevano tutte e due le ali ai piedi come se si trattasse di inseguire qualche persona più che importante.
— Chi può essere mai questo fantasma, si chiedeva Hassarn. Che sia qualche capo di ribelli?
In quell’istante Abd-el-Kerim, che camminava innanzi, tornò ad arrestarsi, urtando bruscamente il turco che gli veniva dietro.
— Fermati, per mille demoni! esclamò egli con voce alterata.
— Che hai veduto? chiese Hassarn sorpreso.
— Zitto!…
In lontananza si udiva il suono del tamburello che l’eco delle foreste ripeteva distintamente. Abd-el-Kerim impallidì come un cadavere.
— Odi Hassarn? domandò